13 aprile 1964: 60 anni fa Federico Fellini conquistava il suo terzo Oscar

di ANNA MARIA STEFANINI-

“Fellini mostra che un regista è prima di tutto un tizio che dalla mattina alla sera viene seccato da un mare di gente che gli pone domande alle quali non sa, non vuole o non può rispondere. La sua testa è piena di piccole idee divergenti, di impressioni, di sensazioni, di desideri nascenti e si pretende da lui che dia certezze, nomi precisi, cifre esatte, indicazioni di luogo e di tempo…” François Truffaut

Dopo “La strada” (1954; Oscar nel ‘57), l’incredibile itinerario lungo le strade dell’umanità minore della provincia italiana del dopoguerra della strana coppia del rude Zampanò-Antony Quinn e dalla naïf Gelsomina-Giulietta Masina, in sella a uno strepitoso triciclo a motore (terzo attore dopo i due protagonisti umani), girato quasi integralmente nell’appartata Bagnoregio;
dopo “Le notti di Cabiria” (1958; Oscar nel ’58), un surreale girone dantesco della prostituta Cabiria-Giulietta Masina dentro i bassifondi della perduta (e disperata) gente, con un incredibile riscatto finale; dopo tutto questo, il 13 aprile di 60 anni fa, arriva il terzo Oscar per “Otto e mezzo”, ancora per il miglior film straniero, dal 2020 convertito in “Oscar per il miglior film internazionale”.
“8 ½“ è un film dagli aromi pirandelliani con un personaggio alla ricerca dei fili perduti da riannodare per ricomporre il filo interrotto dell’esistenza, assediato da fantasmi e scocciatori.
Il protagonista Guido Anselmi/Marcello Mastroianni è un regista extra-vagante che ha perso l’ispirazione, in eterno debito col mondo, inseguito da moglie, amante, dal produttore e dalle maestranze di un immaginario film da girare, tutti accomunati da un’unica domanda: “certezze”; certezze per le quali però Guido Anselmi ha esaurito la scorta delle scuse e delle scappatoie.
In “8 ½“ si ravvisano echi autobiografici e in un certo senso il film è impluvio e proiezione dei nodi irrisolti del regista riminese.
Il tentativo di trasformare crisi e molestie esistenziali in una sceneggiatura non trova però d’accordo il suo amico e co-sceneggiatore Ennio Flaiano, il quale giudica impossibile l’impresa di rendere un siffatto deterioramento esistenziale attraverso il dispositivo narrativo di un film, dotato di tempi e bioritmi veloci, destinati a un pubblico di consumatori di massa.
Ma quelli dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences la pensano diversamente e il riconoscimento quale migliore opera cinematografica va al capolavoro felliniano.
Nella medesima sessione viene assegnato l’Oscar per il miglior attore al grande Sidney Poitier – recentemente scomparso – per l’interpretazione ne “I gigli del campo”. Ma probabilmente tutti lo ricorderanno per le parti nei celeberrimi “Indovina chi viene a cena?”, recitato insieme a colonne del cinema mondiale come Spencer Tracy e Katharine Hepburne e “La calda notte dell’ispettore Tibbs” (1967), insieme all’altrettanto grande Rod Steiger.
Una vera “notte da Oscar”.

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