di ANNA MARIA STEFANINI-
VITERBO- Un povero – per scelta – che presta assistenza ai poveri, che la povertà non l’hanno scelta. Umiltà e povertà sono i tratti identitari che accompagneranno per tutta la vita il secondo beniamino dei viterbesi dopo Santa Rosa: San Crispino da Viterbo. In effetti sono molti i tratti comuni fra le due figure viterbesi, separate per periodo storico ma uniti nella sollecitudine e nella cura per le sofferenze del prossimo.
Pietro Fioretti nasce il 13 novembre di 356 anni fa, probabilmente in contrada Bottalone (in alcune fonti “Bottarone”), da Ubaldo e Marzia Fioretti. La frequentazione della povertà comincia presto: giovanissimo rimane orfano di padre e va a bottega dallo zio Francesco ciabattino col quale si era risposata la madre Marzia. Fortunatamente anche lui incontra il suo san Crispino nelle vesti di un frate carmelitano il quale gli procura un posto presso una scuola dei gesuiti, dove potrà studiare. Pietro continua a fare il ciabattino e nel frattempo studia e all’età di 25 anni si sente pronto per una scelta impegnativa: vestire l’abito dei frati minori cappuccini (Ordo fratrum minorum capuccinorum), uno dei tre ordini mendicanti della galassia francescana, presso lo storico convento di Sant’Antonio alla Palanzana (detto anche di Bagnaia), a lungo importante centro di noviziato.
La povertà, da accidente della vita diviene così consapevole scelta e vocazione e come nome adotta un nome semplice: “Crispino”, il patrono dei calzolai, a memoria perpetua delle sue umili origini. Per sempre e per tutti sarà San Crispino da Viterbo.
L’anno successivo, nel 1694, viene confermato, prende i voti e da Viterbo è destinato all’importante convento dei Padri Cappuccini della Tolfa, oggi sede del Centro Studi italo-norvegese. Il suo primo incarico conventuale è quello di cuoco.
Le cronache attribuiscono al periodo della Tolfa la sua prima manifestazione taumaturgica: la guarigione di una donna da una grave malattia contagiosa, probabilmente una grave forma virale che aveva causato la morte di molti tolfetani. Come succedeva spesso nel passato Crispino diviene rapidamente famoso e i suoi superiori, per prudenza, nel 1697, ne dispongono il trasferimento a Roma, dove però si ammala; secondo alcune fonti, di tubercolosi. Per questo motivo i superiori lo destinano al più salubre ambiente di Albano. Le fonti sono scarse ma Crispino doveva aver raggiunto già una certa considerazione pubblica perché ad Albano si reca a trovarlo personalmente papa Clemente XI in occasione dei suoi soggiorni a Castel Gandolfo. Dopo essersi ripreso viene mandato a Monterotondo dove rimane per sei anni per essere assegnato, nel 1709, all’età di 41 anni, a Orvieto dove resterà per circa 40 anni quasi ininterrotti.
Nella città umbra intraprende un’intensa attività assistenziale: con la questua e una discreta pratica da ortolano si procura cibo e un po’ di denaro e con questo provvede al mantenimento degli ospiti di un ospizio pochi chilometri fuori Orvieto e dei neonati che venivano abbandonati, come usava allora, presso la porta del convento. La cosa sorprendente è che accompagna questa forma di prossimità sociale e umana con un comportamento sempre garbato e gioioso, insaporito con aneddoti, aforismi, massime, citazioni, battute argute che però non sempre saranno compresi e accettati. Ai suoi assistiti dona non soltanto cibo e assistenza ma anche sorriso, buon umore e, insieme a questi, accettazione, fiducia e speranza.
Al periodo orvietano risalgono anche diverse guarigioni ritenute miracolose.
Come si vede Orvieto e Viterbo, oltre la comune radice etimologica (entrambi i toponimi derivano dai termini latini vetus urbe, diversamente combinati) si trovano a condividere anche la prossimità storica con un importante santo dell’agiografia cattolica.
Come accaduto a tanti altri santi, le sue condizioni di salute peggiorano e compaiono anche diverse manifestazioni dismetaboliche; negli ultimi due anni di vita è costretto a letto. Malgrado questo troverà sempre la forza per recarsi a visitare i suoi ricoverati all’ospizio.
Il 13 maggio 1748 rientra a Roma per curarsi; muore di polmonite il 19 maggio 1750 all’età di 82 anni.
Verrà beatificato nel 1806 da papa Pio VII e proclamato santo da Giovanni Paolo II il 20 giugno 1982.
Dal 1983 riposa nella chiesa di San Paolo ai Cappuccini di Viterbo.