24 febbraio 2003: muore Alberto Sordi, eccellenza dell’italiano medio

di ANNA MARIA STEFANINI-

“La pennica è sacra: un’ora e mezza a letto ogni giorno dopo pranzo. Sto disteso e godo nel sentire i clacson in lontananza. Quelli della gente che sta in macchina in coda, suda, si affanna. Io ridacchio fra me e me e penso: ma ‘ndo annate?”

Alberto Sordi saluta tutti il 24 febbraio di 22 anni fa. Massimo interprete dell’italiano medio, “l’Albertone nazionale” resterà per sempre icona italiana e nostro inestinguibile fratello di sangue, di carne e di ajo ojo e peperoncino.
Uno come Sordi non poteva che nascere trasteverino “de Roma”; per la cronaca il 15 giugno 1920.
Il padre, Pietro Sordi da Valmontone, è musicista suonatore di tuba contrabbassa nell’orchestra del Teatro dell’Opera di Roma mentre la madre, Maria Righetti da Sgurgola, insegna.
Le interferenze con il mondo dello spettacolo sono precocissime: già nella paterna cittadina di Valmontone comincia a inventare mini-recite di marionette; dal momento che ha una voce acuta viene scelto come “soprano” nel coro di voci bianche della Cappella Sistina; un ruolo che però dovrà lasciare presto perché la sua voce ripiega rapidamente sui toni bassi.
Un cambiamento che Alberto trasformerà in risorsa nella successiva carriera attoriale.
Esperienza parallela inevitabile, voluta dalla madre, è studiare da ragioniere, il titolo perfetto per chi è destinato a interpretare il ruolo di italiano medio ma le speranze di spiccare successo in questa diramazione professionale saranno inesorabilmente frustrate dal forte accento romanesco.
La vita di Sordi imbocca la via del cinema nel 1937, quando comincia a lavorare come comparsa a Cinecittà e, subito dopo, quando sarà scelto per doppiare in italiano Oliver Hardy. Il ragazzo Alberto non ha alcuna esperienza da doppiatore ma il suo talento innato gli permette di prestare la voce a star come Anthony Quinn, Robert Mitchum e attori italiani come Franco Fabrizi e Marcello Mastroianni.
La pratica gli fa bene e poco dopo si cimenta nel teatro di rivista dove intrattiene una breve ma intensa esperienza insieme ad Aldo Fabrizi, con il quale porta in giro “Ma in campagna è un’altra…rosa” nella stagione teatrale 1938-1939.
L’esperienza teatrale prosegue per tutti gli anni della guerra arrivando a guadagnare il ruolo di attore con Wanda Osiris.
Gli anni del dopoguerra sono aspri e duri e in questo periodo gramo condivide fame e fama con un altro giovane talentuoso venuto a cercar fortuna a Roma: Federico Fellini.
Sono gli anni che gli spalancano le porte per una nuova esperienza: quella della radio, per la quale lavorerà dal 1946 al 1953 ottenendo una buona notorietà, al punto che una sua satira sugli ambienti cattolici: “I compagnucci della parrocchietta” verrà trasformata in film per la regia di Vittorio De Sica.
La transizione verso il mondo del cinema si compirà con “Lo sceicco bianco” (1952) e “I vitelloni” (1953), diretti dal compagno di mezze porzioni Federico Fellini.
Un altro regista che si innamora di Sordi è Steno (pseudonimo di Stefano Vanzina; padre dei celebri fratelli Enrico e Carlo), per il quale recita in “Un giorno in pretura” (1953) e in “Un americano a Roma” dove interpreta l’immortale gag del ragazzo filo-americano alle prese con l’altrettanto famosissimo piatto di spaghetti: “«Maccarone m’hai provocato e io ti distruggo adesso, io me te magno!”.
Quando giunge la magica stagione della “Commedia all’italiana” Alberto Sordi è al massimo delle sue qualità attoriali: Sordi non sarà attore della commedia all’italiana; sarà la commedia all’italiana.
Non essendo possibile censire tutte le sue partecipazioni ai film di quella prodigiosa stagione è inevitabile circoscrivere l’attenzione intorno a una rosa rappresentativa di quei capolavori: eroe involontario, insieme a Vittorio Gassman, ne “La grande guerra” (1959), diretto da Mario Monicelli; “Tutti a casa”, di Luigi Comencini, dove recita anche Eduardo De Filippo, “Il medico della mutua” (1968), di Luigi Zampa; “Detenuto in attesa di giudizio” (1971), di Nanni Loy e tanti altri.
Alberto Sordi sarà anche regista, come in “Fumo di Londra” (1966) e nella trilogia in cui compare con Monica Vitti: “Amore mio aiutami” (1969), “Polvere di stelle” (1973) e “Io so che tu sai che io so” (1982).
Tra le sue maggiori interpretazioni come non ricordare “Il vigile”, del 1960, diretto da Luigi Zampa, girato a Viterbo e “Contestazione generale” (1970), anche questo diretto da Luigi Zampa, girato a Civita di Bagnoregio, in cui interpreta la parte del parroco.
Non solo cinema: Alberto Sordi sarà anche mattatore televisivo nel fortunato format di allora chiamato “varietà”, programma che prevede la presenza “dell’ospite d’onore”. Leggendario il suo “tuca tuca” con Raffaella – anche lei massima icona nazionale – passerà alla storia.
Nella fase della maturità stabilisce un forte legame professionale e di amicizia con Carlo Verdone, che tanti considerano suo erede e continuatore.
Malgrado il successo, Sordi manterrà sempre una vita privata riservatissima, lontana dai riflettori e le cronache raccontano di una personalità schiva e appartata, mai convolato a nozze, tollerante solo della sorella e di una ristrettissima cerchia di amici, tra i quali il citato Carlo Verdone.
“Se vedemo”, carissimo Albertone.

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