di ANNA MARIA STEFANINI –
Lucio Battisti appartiene a quella speciale categoria di personaggi per i quali sarebbe meglio far parlare i numeri piuttosto che replicare già ascoltate litanie biografiche. Cosa raccontano i numeri? Raccontano di 25 milioni di dischi venduti, 22 singoli, 20 album, 70 raccolte e un mai completamente censito numero di primi posti nelle hit parade.
Quello che le biografie non di rado trascurano sono il carattere schivo e riservato, l’attenzione maniacale per la precisione e i dettagli e la doppia biografia artistica: quella con Mogol prima e quella successiva, molto poco raccontata, con il poeta Pasquale Panella.
Un elemento comune agli esordi di tante star musicali è una chitarra ricevuta in regalo e l’ascolto di dischi inglesi e USA; questa combinazione farà di Lucio Battisti un prodigioso autodidatta.
All’età di 20 anni si compie un altro rito di passaggio: entra come chitarrista in una band amatoriale.
In realtà saranno diverse le band con cui suonerà nei locali italiani e mentre suona affina la sua sensibilità musicale e comincia a farsi un nome.
Nella prima metà degli anni ’60 si trasferisce definitivamente a Milano, allora laboratorio musicale per tanti giovani talenti ed è qui che comincia a scrivere canzoni.
L’anello successivo della catena del successo – anche questo assai ricorrente in molte biografie musicali – è il provino per una casa discografica alla ricerca di talenti freschi: il 14 febbraio 1965 prova per la Ricordi ed è qui che conosce Giulio Rapetti, in arte Mogol. Da quel giorno comincia una parabola artistica e umana che ha interferito con l’esistenza di decine di milioni di giovani contribuendo al percorso identitario di un’intera generazione.
È verso la metà degli anni ’70 che la sua biografia artistica ha un’inattesa sterzata: comincia a rifiutare interviste e intervistatori e non accetta più di posare per i fotografi. Il mondo dei mass media non la prende bene e non si contano le critiche e le stroncature e Lucio Battisti scivola sempre più nel cono d’ombra del silenzio mediatico; un’eclissi che lo stesso Battisti ricerca e favorisce.
Il 25 marzo 1973 nasce il figlio di Lucio e della compagna Grazia Letizia Veronese; qualche giorno dopo due fotografi irrompono a sorpresa nella stanza della clinica dove la famiglia si trovava dopo il parto e cominciano a scattare a raffica; la cosa finisce in rissa.
La rivista Novella 2000 riporterà che il musicista è diventato tirchio e burbero e che “ha paura anche delle ombre”.
Il 3 settembre 1976 Lucio e Grazia Letizia si sposano civilmente.
Questo un suo pensiero del 1979, molto rappresentativo del nuovo ciclo esistenziale e artistico: “Tutto mi spinge verso una totale ridefinizione della mia attività professionale. In breve tempo ho conseguito un successo di pubblico ragguardevole. Per continuare la mia strada ho bisogno di nuove mete artistiche, di nuovi stimoli professionali: devo distruggere l’immagine squallida e consumistica che mi hanno cucito addosso. Non parlerò mai più, perché un artista deve comunicare solo per mezzo del suo lavoro. L’artista non esiste. Esiste la sua arte.”
Sul Battisti “canzonettaro” cala il sipario, semmai sia esistito veramente un Battisti canzonettaro.
Il nuovo profilo artistico di Battisti è incompatibile con quello di Mogol e “Una giornata uggiosa” del 1980 è l’ultimo lavoro a portare la firma dei due.
Nel biennio ’82-’83 intraprende la collaborazione col poeta romano Pasquale Panella – detto anche Lino e Vanera – con il quale produrrà cinque nuovi album, stilisticamente molto avanzati e curati, per la musica e per i testi, essendo Panella un virtuoso nella composizione verbale e un raffinato artigiano della parola.
L’attaccamento generazionale al “vecchio” Battisti, il silenzio dei media e il rifiuto del musicista a ingaggiare iniziative pubblicitarie faranno di questi album un tesoro nascosto.
Ma chi ha amato il genio di Poggio Bustone non dovrebbe privarsi dell’esperienza musicale, estetica ed esistenziale del loro ascolto.