di ANNA MARIA STEFANINI –
Racchiudere il senso della vita e del pontificato di Giovanni Paolo II in poche parole non è difficile; è impossibile. Tuttavia se si dovessero ricercare le parole che meglio restituiscono l’essenza del percorso di testimonianza della sua missione pastorale sono queste: “non abbiate paura”.
Dalla guerra, alla dittatura, all’attentato sino alla malattia, la sfida alla paura è stato lo stigma identitario dell’arco esistenziale e missionario di Karol Wojtyla.
Karol Jòsef Wojtyła nasce il 18 maggio 1920 in Polonia a Wadowice, cittadina non lontana da Cracovia.
Nascere in Polonia è già un destino: nazione cattolica, considerata stato cuscinetto fra Europa e Russia fino a tutta la seconda guerra mondiale, sottoposta alle tensioni ed agli appetiti di entrambe le parti.
La vita comincia a mordere il futuro Giovanni Paolo II già da piccolo: la madre Emilia muore di malattia nel 1929, quando Karol aveva 9 anni; il fratello maggiore, Edmund, muore nel 1932 all’età di 26 anni; una terza sorella maggiore, Olga, era morta prima della sua nascita.
Il suo unico punto di riferimento restò il padre Karol Wojtyła senior, ex-ufficiale e fervente cattolico, che si impegnò a far studiare l’unico sopravvissuto della sua famiglia.
Nel 1938 si iscrisse all’università di Cracovia dove studia con grande alacrità, imparando ben 11 lingue straniere, incluse il latino e l’esperanto, trovando anche il tempo per studiare recitazione.
L’anno dopo però, nel 1939, la Polonia venne invasa dall’esercito tedesco e, quando i tedeschi si ritirarono, per effetto degli accordi della conferenza di Jalta, finì sotto l’influenza sovietica. Quelli dell’occupazione tedesca furono anni vissuti da rifugiato ma quello che all’inizio sembrò una disgrazia, un duro lavoro in una cava, si rivelò una fortuna perché la cava era destinata a produrre soda caustica, un materiale molto importante per la Germania nazista, e questo lo salvò dalla deportazione cui invece furono destinati tantissimi suoi coetanei.
Tuttavia furono anni decisivi per la sua formazione: nel 1941 muore il padre e nel 1942 entra nel seminario clandestino di Cracovia.
Il 1944 è l’anno della famosa rivolta del ghetto di Varsavia e la repressione tedesca fu violentissima e non risparmiò neanche Cracovia; il giovane Karol si salvò dai rastrellamenti per puro miracolo.
Nel 1945 i tedeschi, ormai in rotta e incalzati dai russi abbandonarono Cracovia e i seminaristi sopravvissuti rimisero in piedi il seminario semidistrutto.
Il 1° novembre 1946 Karol Wojtyła riceve gli ordini di presbitero, l’equivalente del nostro “sacerdote” ma poco dopo si trasferisce a Roma per frequentare gli studi teologici presso la Pontificia Università San Tommaso d’Aquino dove mette in luce le sue doti di studioso.
Nel 1948 torna in Polonia dove intraprende il suo percorso pastorale affiancando il servizio all’insegnamento presso l’Università, prima di Cracovia, poi di Lublino.
Nel 1958 fu nominato vescovo ausiliare di Cracovia; il 13 gennaio 1963 papa Paolo VI lo nominò arcivescovo della città. Anche dopo il prestigioso incarico Karol affiancò sempre l’attività pastorale con lo studio e la riflessione teologica. Il 26 giugno 1967 venne creato cardinale da Paolo VI.
Nel 1978 partecipa al conclave per la successione a Paolo VI dal quale venne eletto papa Albino Luciani col nome di Giovanni Paolo I. Ma il pontificato di Giovanni Paolo I durò appena 33 giorni; nell’ottobre del 1978 Karol Wojtyla fece così ritorno a Roma per il nuovo conclave non pensando nemmeno lontanamente di poter essere lui il nuovo pontefice. Contrariamente ad ogni aspettativa Karol venne eletto papa col nome di Giovanni Paolo II, il primo papa non italiano 455 anni dopo l’olandese Adriano VI (1522).
La celebre frase “se mi sbaglio mi corrigerete” fu probabilmente l’involontario errore che gli attirò le simpatie degli italiani che, all’inizio, non riuscivano nemmeno a comprenderne il cognome.
Già dagli inizi del suo pontificato si fecero notare alcuni significativi cambiamenti: abrogò il “pluralis maiestatis”, chiese una semplice messa in luogo della cerimonia dell’incoronazione papale e rinunciò al “triregno”, l’imponente copricapo papale preferendo la normale “mitra”.
Le biografie lo accostano alla caduta del comunismo ma Papa Wojtyla non fu meno severo con il capitalismo e il consumismo.
Il 13 maggio del 1981 rimase ferito nel famoso attentato da parte di Mehemet Alì Agca che richiese un difficile intervento chirurgico durato oltre 5 ore. Due anni dopo, il natale del 1983, papa Wojtyla andò a trovare Alì Agca in carcere, concedendogli il perdono.
Pellegrino in tutto il mondo, negli anni ’90 comparvero i primi problemi di salute che lo accompagneranno sino alla fine del suo pontificato: alcune serie cadute, la rimozione di un tumore benigno, un’appendicite acuta e l’insorgenza del morbo di Parkinson, cui si affiancarono problemi articolari e una grave artrosi al ginocchio che gli resero particolarmente difficoltosa la deambulazione.
Malgrado questi problemi rimase lucido e non cessò di esercitare la sua missione; disse di voler “accettare la volontà di Dio”.
Il 1° febbraio 2005 ebbe un aggravamento che lo obbligò al ricovero presso il policlinico Gemelli; ma il 27 marzo, il giorno di Pasqua, si affacciò su piazza San Pietro dove benedisse la folla con la sua mano; cercò di parlare ma non ci riuscì. Ripeté il gesto tre giorni dopo, ma per breve tempo.
Giovanni Paolo II si spegne alle ore 21:37 di sabato 2 aprile 2005, 20 anni fa.