di NOEMI GIACCI-
L’81ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica si è ormai conclusa. Come ogni anno, il Lido di Venezia si è animato tra anteprime di film, attori, registi e scintillanti sfilate sull’iconico tappeto rosso. Partecipare a questo evento ti immerge completamente nel mondo del cinema, facendoti respirare un’atmosfera di condivisione unica.
Oggi ritorno con la rubrica “Cine Talk” per raccontarvi una delle cose che mi è piaciuta di più di questa 81ª Mostra del Cinema. Tra le molte opere che ho potuto vedere, quella che mi è rimasta maggiormente impressa non è un film, bensì un corto. Sto parlando di “Allégorie citadine”, il cortometraggio scritto e diretto da Alice Rohrwacher e JR.
Il mito platonico
Dopo “Omelia contadina” (2020), che aveva avviato la collaborazione tra la regista italiana e l’artista parigino, Alice Rohrwacher e JR tornano a collaborare in un nuovo corto. “Allégorie citadine”, presentato Fuori Concorso, mette in scena il mito della caverna di Platone in una Parigi dei nostri giorni.
Jay (Naïm El Kaldaoui), un bambino di sette anni, è il protagonista che porterà lo spettatore ad andare oltre le illusioni della città frenetica, ossia della caverna. Jay, che ha la febbre e non può andare a scuola, segue la madre (Lyna Khoudri) in una sua giornata di lavoro: la donna deve partecipare a un provino di danza. Arrivata in ritardo, riesce comunque a farsi provinare. Il regista e sceneggiatore Leos Carax, qui nei panni di se stesso come regista dello spettacolo, svelerà il segreto per liberarsi dalle catene della vita al piccolo Jay.
Sono gli occhi del bambino, che vediamo all’inizio guardare il cielo con un caleidoscopio, a svelare le ombre che ci imprigionano. E Jay lo fa materialmente, sollevando quel “velo metaforico” di preconcetti che nasconde la vera essenza della nostra esistenza, rappresentata nel cortometraggio da una carta da parati sui muri della città che nasconde immagini in movimento.
Il commento dei registi
«Il mito immagina un’umanità in catene, che, rivolta verso il fondo di una caverna, osserva le ombre muoversi sulle pareti e crede che quella sia la realtà. Lavoriamo entrambi con le immagini, che possono certamente essere illusioni, ma anche diventare strumenti di lotta e liberazione del pensiero. Così, da questa discussione, abbiamo deciso di creare un cortometraggio. Avevamo alcune idee fisse – la caverna, la danza, la città che ci circonda – e una domanda: cosa succederebbe se riuscissimo tutti insieme a voltarci verso l’uscita della caverna? Forse non basta affermare che le immagini sono illusioni finché le catene che ci legano sono reali.»
In soli 21 minuti, quest’opera riesce a unire molteplici forme d’arte: le immagini del cinema, la pittura della street art, i movimenti della danza. Queste forme si fondono tra loro alla perfezione, in particolare nel quadro caleidoscopico in bianco e nero con persone danzanti verso la fine del corto. Nella sua brevità, “Allégorie citadine” è una favola moderna e allo stesso tempo antica, con un messaggio filosofico che si riesce a cogliere già dalla prima visione, ma che acquista maggior forza con le successive.