Alluvione letteraria: “esondazione” di Susanna Tamaro contro i classici

di ANNA MARIA STEFANINI-

Un’altra alluvione si è abbattuta sull’Italia, dopo quella dell’Emilia Romagna. Un’alluvione meno disastrosa, fortunatamente, ma che ha colpito diverse coscienze, provocando riflessioni e dibattiti. Un’alluvione letteraria.
Con la forza dirompente di un fiume in piena, la scrittrice Susanna Tamaro, è intervenuta sulla questione dell’insegnamento della letteratura italiana nelle scuole, affermando: “Cambierei completamente l’insegnamento della letteratura italiana a scuola, quella è una cosa vergognosa. Basta con Verga, non ne possiamo più”.

“Come si fa a fare appassionare i ragazzi alla lettura con Verga? Ai ragazzi bisogna far leggere cose che fanno loro eco dentro. Cose moderne, contemporanee o no ma che sono adatte per i ragazzi. Non si può far leggere Verga, lo odiavo già io alle medie. Basta”.
Questo è stato l’appello della scrittrice di “Va’ dove ti porta il cuore”, che, spero scherzosamente, ha proposto di essere lei l’oggetto di lezioni di letteratura, sostituendo i grandi classici.

E ha concluso: “La scuola ti disgusta alla letteratura, la odi ferocemente, odi fare Dante, cose difficilissime che già alla mia età erano incomprensibili. Io ho odiato leggere da bambina, capisco perfettamente.”

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Susanna Tamaro

Frequentavo la scuola media Vanni a Viterbo. La mia insegnante di italiano, che forse alcuni ricordano, la prof.ssa Liliana Grattarola, ci consigliò dei libri da leggere durante l’estate. Fra questi, La coscienza di Zeno di Italo Svevo, Il giorno della Civetta di Leonardo Sciascia, Il segreto di Luca di Ignazio Silone e alcuni testi del Verga: La lupa, Storia di una Capinera, i Malavoglia, Mastro Don Gesualdo.
Prima ne avevamo parlato molto in classe e i testi ci avevano incuriositi. Avevamo studiato i luoghi descritti in geografia, visto immagini, commentato insieme.
Era giugno, la scuola era terminata. C’erano i mondiali indimenticabili del 1982. In un pomeriggio afoso, aprendo stancamente, i Malavoglia, in attesa della partita serale, ne fui talmente conquistata che passai l’intero pomeriggio a leggere, mentre le amiche mi chiamavano per fare un giretto in centro col motorino in due, come si usava spesso allora.
Era meraviglioso! Lo rilessi tante volte, lo portai agli esami di maturità, mi accompagna ancora in questi anni.
Padron ‘Ntoni mi è tornato tante volte in mente nella vita e così gli umili pescatori di Aci Trezza.

“Soltanto il Mare gli brontolava la solita storia lì sotto, in mezzo ai faraglioni, perché il Mare non ha paese nemmeno Lui, ed è di tutti quelli che lo sanno ascoltare.”
Le frasi di Verga entrano nell’anima, insegnano, rimangono, come i versi di Leopardi, di Dante, di Pascoli.
Di “Va’ dove ti porta il cuore” ricordo solo il titolo.

Verga nacque in un luogo e in un giorno imprecisato, tra il 29 agosto e il 2 settembre 1840, in una contrada della campagna del catanese, e molti dicono, senza prove certe, a Vizzini, in una Sicilia tradizionalista, conservatrice e contadina, dalle forti connotazioni rurali, che fu scossa improvvisamente da repentini mutamenti politici e sociali. Giovanni Verga si vergognava delle proprie origini “villane”, e da autodidatta si formò con i celebri naturalisti Dumas e Zola. Tentò per tutta la vita di rifuggire dal suo status, abbandonando la sua terra e le sue radici, cui costantemente tornò con l’immaginazione facendola diventare sfondo dei suoi capolavori letterari, in favore di città più grandi e moderne, come Firenze o Milano.

In ‘Ntoni de I Malavoglia o nel Mastro Don Gesualdo la personalità di Verga tenta fino alla fine di innalzare la sua condizione sociale. C’è molto di lui, infatti, nei suoi personaggi: un uomo che crede di poter cambiare la propria situazione di miseria a cui, invece, appartiene. Fu questa insoddisfazione a portarlo verso una depressione causata dalla morte della madre, dai problemi finanziari, e dall’andamento altalenante della critica letteraria, fino a che decise di abbandonare la letteratura proprio nel momento in cui si stava apprestando a completare il Ciclo dei Vinti, dopo I Malavoglia e Mastro Don Gesualdo.

“Come si fa a fare appassionare i ragazzi alla lettura con Verga? “.
È facile. I ragazzi di oggi sembrano smielati, superficiali, contestatori, più di come eravamo noi, ma sanno appassionarsi . Verga è attualissimo: dal tema del bullismo del “brutto e cattivo” Rosso Malpelo, ai vinti, alla storia di una ragazza costretta dalla famiglia a fare ciò che non voleva. Quanti di noi si sono sentiti, e quanti giovani si sentono specialmente durante l’adolescenza, vinti, diversi, costretti a fare qualcosa contro la propria volontà?

L’insegnamento della letteratura a scuola va certamente adeguato ai tempi, dedicando maggiore spazio alla letteratura contemporanea, ma non sui può rinunciare ai grandi classici e alle domande che da essi possono scaturire.

Il piacere che deriva dalla lettura dei grandi libri ha un’intensità, un valore più duraturo, più profondo della superficiale contingente ‘piacevolezza’ che si sottrae alle domande di senso, anche se queste possono apparire ‘difficili’.
È come ascoltare una canzone di Battisti, che non ha tempo, e una di Sangiovanni. Carina, orecchiabile quest’ultima, ma che dura una stagione.

I giovani hanno tendenzialmente bisogno di ‘comprendere’. A tale bisogno può rispondere soprattutto la grande letteratura, mediata dall’insegnamento all’interno di quella comunità interpretante che è ogni classe scolastica.

La letteratura sa rappresentare anche le brutture degli uomini, anche l’inferno, come hanno fatto Dante, Shakespeare, Verga: rendendo però, nelle forme immortali delle loro opere, “bella” anche la cattiveria del mondo.

Verga si sentiva un vinto, sconfitto da una società in costante e troppo rapida evoluzione, una società incomprensibile e deleteria.
Scelse la strada del Verismo, quasi alla francese. Ma emerge da esso il conseguente interesse per le dinamiche sociali, con una forte critica alla società.
Egli stesso era un vinto che riuscì comunque a riscattarsi.

L’ideologia che sta alla base della sua letteratura è una personale ripresa della scientificità, dell’impersonalità e del positivismo dei naturalisti, che si protraggono verso un pessimismo senza alcuna speranza di miglioramento sociale. Ai suoi personaggi umili è negata quasi ogni speranza.

Solo alcuni valori, come la famiglia, il proprio ambiente e il lavoro riescono a far trasparire un po’ di serenità.
Eppure, leggendo i suoi romanzi, si cresce, ci si fortifica, si riflette.
Come leggendo i grandi della letteratura. Leggere e riuscire a fare amare I Promessi sposi e La Divina Commedia è possibile fin dalla scuola primaria. Ne ho le prove.

Tamaro sembra ammantarsi di autoreferenza, forse ironica.
Solo la mediocrità di chi conosce poco, ma crede di avere soluzioni in mano, ecco cosa mi comunica l’uscita infelice di Susanna Tamaro. “Va’ dove ti porta il cuore”, Susanna. A me e a tante altre persone, fortunatamente, porta ancora a rileggere i classici, anche alle giovani generazioni.

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