di CINZIA DICHIARA-
Molto attesa, una lunga fila all’ingresso del Teatro dell’Unione di Viterbo, Beatrice Rana, attualmente la più nota tra le giovani pianiste italiane nel mondo, abito rosso fuoco, lunghe chiome mediterranee, sorriso franco e gioioso, elastiche mani temprate nel virtuosismo,lo scorso sabato 28 settembre ha tenuto inchiodato alle poltrone l’intero uditorio fino all’ultimo dei bis, concessi dopo varie chiamate, tra i quali è emerso quale chicca a sorpresa il Preludio in La magg. op. 28 n. 7 di Chopin. Poche battute, una miniatura delicata e intima, fatta di frammenti dolcissimi che incantano il cuore, tanto che il silenzio, raccolto e del tutto sospeso, è durato ben oltre l’ultima nota, prima dell’applauso scrosciante. Tale l’atmosfera creatasi in teatro; in prima fila, evidentemente felice, l’organizzatore del Festival della Tuscia, il pianista Massimo Spada.
Portentosa, in un programma assortito con gusto e acume, dalle Romanze senza parole di Felix Mendelssohn alla Sonata op. 2 di Johannes Brahms per giungere nella seconda parte a importanti pagine pianistiche di Maurice Ravel, Gaspard de la nuit e La Valse, Beatrice Rana dispiega il filo rosso della sua bravura lungo l’intera esibizione, lasciando sbalordito il pubblico per la tecnica prodigiosa, la viva musicalità, la costruzione dei brani, dei quali valorizza ciascun inciso nell’esatta collocazione e nella luce più consona, grazie a una cognizione formale chiara e consapevole.
Nel suo lavoro sui brani punta alla perfezione del dato tecnico, curando minuziosamente il dettaglio musicale; quindi costruisce in grande, impadronendosi delle strutture e tirando fuori da queste, come da un cilindro magico, una moltitudine di effetti e sfumature, in tutto ciò, giovandosi di una perizia squisita nel dosare i livelli dinamici, qualità che molto si apprezza in lei. Esibisce infatti una gamma tanto ricca di gradazioni che solo la luce dell’iride potrebbe eguagliare. Soprattutto stupisce la sua capacità di graduare le sonorità nel ‘piano’, con una levità che tocca un pianissimo con infinite ‘p’, di una leggerezza pressoché indescrivibile, ultraterrena.
Nel suo pathos, meravigliosamente fusa con lo strumento fino a identificarsi con esso, in simbiosi con i suoni che cava dalla tastiera come da un arco, tutti modulati secondo la volontà interpretativa, sembra intenta a dare vita ad incantesimi.
La sua stessa vita di musicista pare piuttosto sorprendente: inizio degli studi musicali all’età di quattro anni, debutto a nove come solista in orchestra nel Concerto in Fa minore di Bach, quindi a 18 anni vittoria al Concorso Internazionale di Montreal e a 20 anni il Secondo Premio e il Premio del Pubblico alla Van Cliburn International Piano Competition, risultato che l’ha portata ad affermarsi e ad esibirsi nelle migliori sale da concerto, collaborando con i più importanti direttori, fra i quali Pappano, Gergiev, Temirkanov, Nagano e Mehta, accompagnata dalle orchestre più celebrate del mondo.
Basti pensare che negli ultimi due anni, dal 2022 a oggi, Beatrice Rana ha tenuto tournée con i Wiener Symphoniker, la Chamber Orchestra of Europe, l’Academy of St Martin in the Fields, l’Orchestre Philharmonique du Luxembourg, la Filarmonica di Monaco, la Chicago Symphony Orchestra, la San Francisco Symphony e la Filarmonica di Rotterdam, la Philadelphia Orchestra, l’Orchestre de Paris, la New York Philharmonic, la National Symphony Orchestra, la Royal Stockholm Philharmonic, la London Philharmonic e la Philharmonie de Paris, esibendosi in luoghi iconici della musica, dal Konzerthaus di Vienna alla Carnegie Hall di New-York, e registrando in esclusiva per Warner Classics.
Volontà, determinazione e tempra d’acciaio in sensibilità finissima, questa la grande allieva di Benedetto Lupo uscita dall’Accademia di Santa Cecilia. Ravel, l’autore che sembra esserle cucito addosso. In Gaspard de la nuit. Trois Poèmes pour Piano d’apres Aloysius Bertrand sfoggia la sua tecnica straordinaria nella chiave dell’universo simbolista evocante visioni diaboliche e infernali.
In Ondine, ‘Lent’ in Do diesis maggiore dedicato a Harold Bauer (1873-1951, pianista), l’artista leccese si muove nella dimensione del sogno: la fluttuazione lunare di momenti vaghi è la cifra di base che arriva ad imprimere al suono, di un umore liquido evocante il perlage di una flûte, o meglio di una coppa di champagne in una sorta di proustiana Recherce du Temps perdu, ma in atmosfera di Du côté de chez Swann. Su questo ella pronuncia, malinconica, un canto di lontananza. È lei stessa la ninfa che intona la linea melodica tra i guizzi di una scrittura arpeggiata. Immagini soffuse affiorano improvvise nell’evanescenza del tocco, conducendo al risultato di oscillazioni sempre rinnovate, dal sortilegio alla poesia e viceversa.
Nel funereo Le gibet (la forca), ‘Très lent’ in Mi bemolle minore dedicato a Jean Marnold (1859-1935, critico musicale), l’atmosfera assume un clima meditativo spettrale. Tutto è statico. Prevale il senso dell’immobilismo nel quale l’elemento compositivo del ribattuto, che Rana contrassegna via via con efficace dosaggio del suono pedalizzato, misura lo spazio in una visione ferma e immota, ove il tempo è cadenzato dalla lenta serie di accordi in macabra successione. Carattere e fermezza sono le cifre che emergono dalla sua granitica eppure sottile interpretazione. Con l’orrida visione dell’impiccato il suono sembra esaurirsi in sé stesso quale inesorabile segnale di campana, un Si bemolle che scocca rintocchi in quantità. Solo la forma sembra dominare, insieme al destino.
Il protagonista di Scarbo, ‘Modéré’ in Si maggiore dedicato a Rudolph Ganz (1877-1972, pianista e direttore) è un nano spaventoso dalla figura agitata attraverso i virtuosismi di una scrittura rapidissima, tipica del compositore. Beatrice Rana ne affronta con sicurezza e disinvoltura gli effetti continui, fin nei passaggi impervi che Ravel sembra aver confezionato quale sfida alla complessità. In questa pagina ciascun inciso concorre a caratterizzare il macabro personaggio del quale, mediante un pianismo altamente descrittivo, l’artista è in grado di evocare le movenze e rendere visibili le deformità. L’immagine va emergendo via via che la musica procede col ‘parlare’ per contrasti o per iperboli, al punto che sembra di vedere lo gnomo in tutti i suoi tratti, apparire e dileguarsi. Diabolico, grintoso, questo custode di poteri magici uscito dalla fantasia di Aloysius Bertrand, dà modo al virtuosismo della Rana di impressionare riuscendo a comunicare bellezza pur nella funambolica e spaventosa immagine.
Maestria, grande temperamento, forza espressiva, capacità tecniche sorprendenti insieme a finezza interpretativa conducono infine a La Valse. Beatrice Rana dimostra qui grazia, gusto e finanche una vena di garbata ironia nel pronunciare l’idea tematica a tempo di valzer. E subito si aprono le danze. E si capisce che è lei a condurle, schiudendo angoli di luce sfumata sulla melodia languida che a tratti assume una morbidezza deliziosa, per evolvere nella potenza di passaggi di fascinosa agilità. Cosicché, esplorando l’intera tastiera, la pianista si destreggia con effetto reboante tra glissati, passaggi ottavati, scale in successione, arpeggi argentati e tremoli fluorescenti come se fosse in un luna park fin de siècle, tra la viennese ruota girevole del Prater e il parigino-impressionista ‘Bal au moulin de la Galette’ di Renoir. Infine, riprende il ballo e le sue circonvoluzioni in ondate lievi e poi sempre più furiose, strizzando l’occhio al fauvisme della ‘Danse’ di Matisse e così strappando potenti applausi e ovazioni. Una grande prova di talento, intelligenza e valentia.