Brutte notizie dal mondo

di FRANCESCO MATTIOLI-

Spira sul pianeta un vento di nazionalismo, suprematismo, conservatorismo e forse di assolutismo (in Italia si direbbe neofascismo ma sarebbe dizione imprecisa e riduttiva). Lo avverte anche papa Francesco, un argentino che di dittature se ne itende. Trump in vantaggio negli Stati Uniti liberal e democratici (ma con la mania del cow boy pistolero); numerosi paesi europei con una destra trionfante che mette in discussione la vocazione democratica del Vecchio Continente; governi africani e mediorientali –Israele compresa – conservatori e condizionati da una dimensione religiosa più o meno intransigente e sicuramente invadente; paesi sudamericani sempre inclini ad una spolverata dittatoriale; per non parlare delle dittature vere e proprie, come in Cina, in Iran e in Corea del Nord. Perfino in Vaticano, al di là delle esplicite contestazioni di un Viganò, si muove nell’ombra un partito tradizionalista, non solo sul piano teologico, ma anche su quello della gestione politica ed economico-finanziaria del soglio pontificio.
Perché tutto questo? La risposta, come negli anni Venti in Italia (la storia è un continuo ripetersi di avvenimenti, per dirla con Giambattista Vico) è abbastanza chiara. Più o meno vale per tutti gli scenari, ma restiamo in Italia. Le formazioni politiche di centro o di moderato riformismo non hanno programmi precisi, essendo parecchie amano distinguersi (dice che è un valore della democrazia) e quindi, alla faccia del “campo largo”, ognuno esibisce la propria ricetta pretendendo che sia quella vincente; così sono poco chiare nel definire un modello efficiente e discutono fra loro disorientando l’elettorato. Poi c’è l’estremismo di sinistra, ancora appeso ad una visione direi romanticamente di “lotta dura senza paura”; che come tale spaventa una società ormai fortemente caratterizzata da una classe media. Ciò significa che il cittadino vuole cambiare, ma non vuole rischiare e neppure scendere troppo spesso in piazza; passino le manifestazioni trasversali di solidarismo contro le mafie, ma per la politica, suvvia, non speri neppure in qualche risultato; e poi, troppi impegni, sul lavoro, in famiglia, appresso ai social, nei luoghi del consumismo per mettere in discussione tutta la baracca. Pare che in Italia il 70% dei cittadini sia proprietario di immobili: sembra possibile che costoro sottoscrivano l’idea che chi non ha casa possa entrare di diritto nelle abitazioni vuote? Poi c’è l’insoddisfazione di una società dell’incertezza, dove tutto sembra fungibile, mobile, provvisorio, migliorabile e ciò che è pratico, immediato, risolutivo appare confortevole, anche quando affetta la realtà con l’accetta piuttosto che con il bisturi. Tutto questo c’era anche giusto un secolo fa.
Ma oggi c’è anche la dittatura sottile del politicamente corretto. E’ vero, il politicamente corretto esorta alla democrazia, alla giustizia, all’uguaglianza, alla comprensione, alla libertà, la difesa ambientale, tutti ideali per i quali si sono sacrificate milioni di persone, speso rimettendoci la vita, come tanti nostri nonni; ideali che esaltano la vera natura dell’umanità e che coincidono con il patrimonio storico, culturale ed etico dell’occidente.
Ma se questi ideali vengono imposti, marginalizzando gli indecisi, scandalizzandosi con i dubbiosi, punendo verbalmente e qualche volta materialmente chi ha difficoltà a capire, a cambiare, disorientando da un giorno all’altro le abitudini, che sono inevitabilmente parte integrante della costruzione del sé di gente in età (con i giovani si fa prima, ecco perché anche le dittature contano molto sulla “scapigliatura” intellettuale delle nuove generazioni), allora scatta la reazione. Una reazione intima, spontanea, magari neppure consapevole, magari malleabile se potesse godere di comprensione e di spiegazioni piuttosto che subire la condanna intransigente del Torquemada di turno.
Il debordare massimalista del politicamente corretto, quello che trasforma la democrazia in demagogia, si trova ovunque: nei salotti buoni dell’intellettualismo aristocratico di sinistra; nei pronunciamenti di certi Zorro improvvisati; nei ritualismi e negli assolutismi degli ierofanti della democrazia, che interpretano gli ideali democratici e libertari (ripeto: libertari) della Resistenza a modo loro, decidendo con un curioso suprematismo ideologico chi merita e chi no; e via discriminando.
Hai voglia, allora, a tentare di cambiare il mondo difendendo l’uguaglianza, la libertà, la democrazia, i diritti di tutti dai vannacci di turno; a considerare una normalità il colore della pelle, le appartenenze sociali, le preferenze sessuali, la disabilità fisica, a far valere l’equità della giustizia. Si diffonderà piuttosto una singolare “sindrome del fratello del figliuol prodigo” nella maggior parte della gente, che si vede punire dove altri sono perdonati, si vede sottrarre dove altri possono prendere, ignorata dove altri sono esaltati, isolata dove altri sono difesi.
E così, si ricoverano nelle astute e occhiute braccia di chi, sotto sotto, recita i propri mantra preferiti: “tranquillo, risolvo tutto io” ma anche e per lo più, magari in un muovo libro di successo che sembra imitare un famoso balcone, l’altrettanto famoso “Io so’ io, e voi non siete un c…”.

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