Caccia, i dati del CABS: il caso del Lazio

Pubblicato l’annuale rapporto del CABS sui reati venatori. Lo studio prende in esame le comunicazioni istituzionali delle forze dell’ordine, stampa accreditata, interventi delle Guardie venatorie volontarie e trae un bilancio a livello nazionale di cosa debbano aspettarsi quest’anno gli animali selvatici da chi impugna la doppietta o piazza delle trappole.

Il report, la cui prima edizione risale ormai al 2011, include per l’ultima stagione i dati compresi dal primo febbraio 2019, giorno successivo alla chiusura della caccia, fino al 31 gennaio del 2020.

In tutto nell’anno sono stati registrati 434 eventi contro la fauna selvatica (59% in danno della fauna alata, 25% contro mammiferi e restante parte riguardante sequestro munizioni, caccia in periodo di divieto etc.) per un totale di 1147 denunciati, in calo rispetto ai numeri degli anni precedenti. Spicca, tra le diverse tipologie di denunce, l’alta percentuale di specie protette e particolarmente protette uccise da chi viola legge (34%). All’interno di tale percentuale raggiunge persino l’85% la quota spettante alle specie particolarmente protette, ossia a quelle ove massimo è il grado di protezione riservato dalla legislazione nazionale e comunitaria. Seguono, entrambi al 17%, i casi riguardanti l’uso di trappole e richiami elettromagnetici, il mancato rispetto del periodo di divieto (11%), l’uso di altri richiami illegali (8%), la caccia in area di divieto (7%) e le armi modificate (3%).

Premesso ciò, non può che apparire grave come, tra le specie particolarmente protette centrate dai bracconieri, risultino primi gli uccelli rapaci (29%) sia notturni che diurni. Come è noto si tratta di animali ad alta valenza ecologica che si trovano all’apice della piramide alimentare e per questo equilibratori insostituibili delle popolazioni delle diverse prede tra cui i roditori.

Significative poi appaiono le percentuali che distinguono le categorie di persone sanzionate in possesso di licenza di caccia e non. Escludendo un 3% non specificato si tratta rispettivamente del 63% e 34%. Insomma sono principalmente i cacciatori a bracconare, anche se meno che negli anni precedenti, quando raggiungevano percentuali dell’80%. Nel 2019 infatti le forze dell’ordine hanno intensificato i loro sforzi nel controllo del mercato dei falsi uccelli “d’allevamento”, andando a colpire categorie di bracconieri più indirettamente o marginalmente coincidenti con il mondo venatorio.

Eppure l’incidenza del mondo venatorio rimane evidente sotto un altro aspetto. Il 72% dei reati venatori, infatti, vengono registrati nei cinque mesi di svolgimento della stagione di caccia.

Lo studio evidenzia da ultimo, ma non per importanza, l’assenza di controlli in una materia – la caccia – dove si gioca la salute della biodiversità italiana ed europea. Nel rapporto del CABS, infatti, si evince come in un anno 340 delle 1147 persone denunciate (29,6%) siano riferibili all’attività di guardie venatorie volontarie, zoofile o ecozoofile, attivatesi con il supporto di agenti di polizia giudiziaria (CFS, Polizia Provinciale, Carabinieri, Polizia). Il numero più alto di persone denunciate deriva da operazioni dei Carabinieri Forestali (638 persone, 65%), di cui 187 vanno addebitate alla SOARDA, la speciale Sezione Operativa Antibracconaggio Reati in Danno degli Animali. Si riducono, invece, le operazioni dei pochi nuclei rimasti della Polizia Provinciale, falcidiata dalla riforma della pubblica amministrazione. In tre anni sono passati dal 18% del totale ad appena l’8%.

Rispetto a un quadro di certo non confortante in tema di repressione degli illeciti venatori, non si può non sottolineare come gli stessi vengano considerati dalla legge di settore in vigore come semplici reati contravvenzionali invece che sanzionati, come più volte chiesto dal CABS e dalle altre associazioni, con i più incisivi reati delitti. Tale mancata previsione appare ancor più incomprensibile nel momento in cui le previsioni di legge esistenti in Italia in tema di animali d’affezione prevedano l’applicazione di questa seconda più potente categoria di reati. Delle negligenze italiane se ne era evidentemente accorta l’Unione Europea la quale, proprio in merito a ciò, aveva aperto un fascicolo Eu-Pilot ossia un provvedimento propedeutico alla procedura d’infrazione. Dopo anni di inerzia le autorità italiane hanno redatto, in risposta al provvedimento europeo, un piano nazionale contro il bracconaggio. Tale insieme di “riforme” riusciva evidentemente a convincere gli uffici di Bruxelles a chiudere il fascicolo EU-Pilot. Peccato che tale piano sia ad oggi inattuato. Nessuna modifica alla legge di settore, vecchia di quasi mezzo secolo e aggiornata solo per la matematica conversione in euro delle basse sanzioni pecuniarie espresse in lire.

IL CASO DEL LAZIO

Nel Lazio sono stati registrati il 7% dei denunciati per reati venatori nazionali. Tale percentuale colloca la regione al quarto posto dopo la Lombardia, Campania e Calabria, ma il dato complessivo è suscettibile di ulteriori considerazioni. Il 5%, infatti, è relativo alla sola provincia di Roma finora non particolarmente rilevante rispetto ad altre del Lazio che già nel passato si evidenziane soprattutto per il bracconaggio in danno ad ungulati e in aree protette o zone limitrofe a esse. Per la provincia di Roma è invece bastato un mirato intervento antibracconaggio, condotto dai Carabinieri Forestali e dalle Guardie volontarie LIPU, per portare a galla un sottobosco di illegalità finora non emerso. Nel corso dell’operazione “recall”, infatti, sono state denunciate decine di persone per vari reati tra cui, il più diffuso, l’uso del riproduttore elettromagnetico di canti e versi di uccelli, il cui uso venatorio è vietato dalla legge. I volatili vengono attirati dal canto registrato ed una volta radunati attorno ai megafoni, finiti a fucilate.

Alla luce di ciò non può che rilevarsi come carente il rapporto tra cacciatori regionali (51.397, terza regione dopo Lombardia e Toscana) e agenti appartenenti a corpi di viglianza (209, per lo più teorici, in quanto l’attività di contrasto al bracconaggio non è considerata né prioritaria, né di routine).

Più dinamici anche in questa Regione i CC.FF. Questi nel 2018 hanno redatto 95 denunce con 119 denunciati, con un aumento del 300% rispetto ai dati del 2013. I dati non collimano con le procure – comunque non completi, in quanto mancano le procure di Viterbo e Rieti – che danno per il 2017 e 2018 una media di soli 54 procedimenti e 63 indagati. Stanti questi numeri risulterebbe però nulla l’attività antibracconaggio dei 209 agenti di PP, che invece nel 2017 hanno realizzato 7 denunce e 17 nel 2018, in calo rispetto alle 50 di media degli anni intorno al 2010.

foto repertorio CABS

Print Friendly, PDF & Email
Condividi con:
LEGGI TUTTE LE NOTIZIE