di CINZIA DICHIARA-
VITERBO- Con un inno alla meraviglia del creato è iniziata la terza edizione del Festival della Tuscia, prestigiosissima stagione concertistica del territorio ideata da Vittorio Sgarbi e diretta dal pianista Massimo Spada.
La grande musica è quasi sempre associata ad ambiti di grande valenza artistica, ove essa rivive parimenti alla bellezza che è in grado di ricreare al momento in cui si compie il rituale dell’esecuzione. Questa la direzione intrapresa fin dall’inizio dagli organizzatori che hanno inteso puntare alla concomitanza tra la pregevolezza musicale e quella architettonica in cui l’arte musicale viene collocata.
E il Tempo è la tematica scelta quale fil rouge che ispira la formulazione del cartellone e dei programmi, molto interessanti e con nomi d’eccezione. Tra questi, i pianisti Beatrice Rana, nostra gloria nazionale nel mondo, che si esibirà presso il Teatro dell’Unione, nel capoluogo, e il russo Aleksandr Malofeev, altro portentoso giovane pianista che avremo modo di ascoltare presso il Castello Ruspoli di Vignanello. I concerti si svolgeranno infatti non solo a Viterbo ma in diverse località della Tuscia, prestigiose per i loro beni storico-artistici.
Ora, nel caso del concerto-evento di sabato scorso col quale si è inaugurata la terza stagione del festival, il luogo è stato scelto adeguatamente all’ambito spirituale nel quale si ambienta il programma eseguito, tratto dal repertorio sacro di musica antica: l’imponente Santuario di Santa Maria della Quercia, complesso monastico monumentale alle porte di Viterbo. La maestosa basilica accoglie un pubblico foltissimo, che occupa fino all’ultimo posto disponibile, tra opere di Andrea della Robbia del portale e delle lunette laterali esterne, di Antonio da Sangallo il Giovane, autore del progetto dei lacunari con rosoni del soffitto dorato della navata centrale, di Andrea Bregno, autore dell’edicola marmorea al centro del presbiterio, con affreschi del Ghirlandaio e altri affreschi della scuola di Sebastiano del Piombo. Nonché sotto l’egida del nobile stemma farnesiano di Paolo III, del leone di Viterbo e con la benedizione della stessa Madonna della Quercia effigiata in alto. È qui che ha avuto luogo un evento musicale ricordevole.
Altisonante è il nome degli interpreti invitati, The Tallis Scholars, complesso vocale britannico di fama internazionale diretto da uno straordinario musicista, Peter Phillips, che ha saputo operare una reductio ad unum delle diverse voci riconducendole ad uno stesso principio esecutivo di unità pur nel far emergere le differenze delle linee polifoniche. Evidente e percepibile l’intesa fortissima tra il direttore e i coristi, le cui voci paiono sgorgare dalle mani del maestro che indirizzano, domandano, danno attacchi, accenti e inflessioni, riuscendo a intonare le singole parti come unico e molteplice strumento.
Quale afflato circoli tra loro, quale comunione di intenti, è evidente via via che l’esecuzione dei brani si effonde nello spazio delle navate, verso la sommità delle volte della basilica. Tutto si svolge come una celebrazione liturgica della quale il coro sembra toccare la solennità e il misticismo.
Cosicché l’esperienza estetica dell’ascolto diviene vicina alla dimensione ascetica, che assorbe globalmente, catturando ragione e sentimento ed elevando gli ascoltatori al di sopra della soglia sensibile, verso un piano metafisico, nel quale risalta un’intonazione rara a sentirsi. Sorprendentemente nitida, ciascuna altezza della notazione si ode precisamente rispondente ai suoi hertz, rasentando quindi la perfezione assoluta.
La proprietà esecutiva e interpretativa del coro è giunta infatti a livelli rilevanti. Ciò grazie al suo direttore, nonché musicologo e scrittore, che da oltre mezzo secolo dedica il proprio impegno alla ricerca e all’esecuzione filologica della polifonia rinascimentale e barocca, lavorando anche con altri ensemble specialistici quali i BBC Singers, il Collegium Vocale di Ghent, il Vox Vocal Ensemble di New York.
Phillips tiene costantemente corsi corali mirati ad esplorare il repertorio musicale soprattutto antico, affinando sempre più lo stile esecutivo. La sua perizia nel lavoro sull’intonazione e sulla timbrica vocale, differenziata all’interno dell’impasto complessivo, è volta a creare un insieme omogeneo, melodioso e al contempo di quella rara chiarezza che sempre caratterizza le esecuzioni degli ‘Scholars’.
La loro rilevanza artistica è sancita dalla partecipazione ad eventi storici come il concerto nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma per celebrare IV centenario della morte di Pierluigi da Palestrina, e l’inaugurazione dei restauri degli affreschi della Cappella Sistina nel 1994. Nel tempo essi hanno esteso il repertorio finanche alla produzione russa ortodossa e a brani di musica contemporanea di autori come Arvo Pärt, o John Tavener che ha loro dedicato brani nati nel contesto dell’amicizia con Phillips, e inoltre si sono esibiti anche con importanti cantanti pop, come Paul Mc Cartney.
L’ensemble britannico ha al suo attivo migliaia di concerti e, con una propria etichetta, la Gimell Records, decine e decine di premiate incisioni (“Record of the Year” della rivista Gramophone, per la prima volta assegnato ad un complesso di musica antica, e due “Diapason d’or de l’année”).
Nato inizialmente, dalla collaborazione di coristi e chierici laici delle cappelle di Oxford e Cambridge, era il 1973, attualmente si compone di un gruppo di base di dieci cantanti perfezionatisi nel repertorio a cappella e con la sua attività nel contesto internazionale ha contribuito in modo determinante all’affermazione della musica vocale sacra del Rinascimento. Tale è, fin dalle origini, l’intento di questo gruppo il cui nome ricorda Thomas Tallis (1505-85), compositore inglese di musica liturgica del periodo elisabettiano.
Il programma del concerto inaugurale della stagione 2024, finemente intitolato “Lux aeterna” con allusione al superamento celeste delle coordinate fisiche umane, è consistito in una silloge di brani sacri di Marc’Antonio Ingegneri, Claudio Monteverdi, Antonio Lotti, Gregorio Allegri e Giovanni Pierluigi Da Palestrina, e si è concluso con un ultimo, importante brano, la Messa a quattro voci dello stesso Palestrina.
Fin dall’inizio si è creata un’atmosfera ad alta densità di energie con il mottetto Cantate domino di Marcantonio Ingegneri (Verona, 1536 – Cremona, 1592), canto di introito tratto dal Graduale Novum del tempo pasquale, ma anche natalizio, che inneggia al Signore (Cantate al Signore un canto nuovo) accompagnando l’ingresso del celebrante nella liturgia della Messa.
Di seguito, il mottetto composto sul medesimo salmo da Claudio Monteverdi (Cremona, 1567 – Venezia, 1643): “Cantate Domino canticum novum: Cantate, cantate, cantate Et benedicite nomini eius. Quia mirabilia fecit!”: Cantate, cantate, cantate E benedite il Suo nome. Perché ha fatto cose meravigliose!)
È qui che The Tallis Scholars hanno espresso la loro gioiosa comunicativa, nel gioco del contrappunto omoritmico basato sulla stretta connessione fra musica e testo, nel quale hanno posto in risalto la felicità della parola “exultate” che confluisce nell’attestazione finale “Quia mirabilia fecit!”, evocando quella lietezza fiduciosa possibile ai cristiani, elevata al cielo oltre le umane cose. La loro compattezza in alcune emissioni di voce è stata pari alla levità della bellezza delle loro chiuse.
Nel mottetto Crucifixus, dello stesso Monteverdi, per converso, i cantori hanno piegato l’unità dolente delle voci, alleate tra loro su bassi potenti quasi provenienti dall’aldilà, alle pacate durate del tema cromatico, che inesorabilmente sembra calare inabissandosi, colpendo l’uditorio per la sonorità tragica e inesorabile, piena e concentrata come il senso della storia richiede, tuttavia evocando la pietas religiosa che attinge alla speranza legata alla liberazione del Cristo. Il risultato voluto dai Tallis Scholars è stato di una bellezza non troppo rarefatta ma, più che altro, presente e reale. Notevole la dizione, chiara e studiata, gradevole persino la pronuncia delle dentali anglosassoni, e molto curate le conclusioni latine consonantiche, ça va sans dire cifre distintive di un coro di livello.
Commovente l’articolazione del Crucifixus a otto voci di Antonio Lotti (Venezia, 1667 –1740): dal segno al suono, l’entrata delle voci vi ha disegnato architetture geometriche quali mappe dello spirito. Il sentimento del sacro instillato dall’insieme, riuscendo a toccare corde tremende e dolorose, è apparso il principio regolatore nell’intreccio del brano in cui le linee melodiche si avvicendano e si sovrappongono poggiando sul medesimo verso: Crucifixus etiam pro nobis sub Pontio Pilato passus et sepultus est (Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto). Un’esecuzione in cui le dissonanze, scontrandosi, rimanevano sospese o risolvevano con delicatezza in accordi pacificati.
Anche Laudate Pueri di Pierluigi da Palestrina (Palestrina, 1525 – Roma, 2 febbraio 1594) ha conquistato il pubblico per l’inappuntabile esecuzione, strappando applausi fragorosi, al pari dell’atteso e famosissimo, seppure poco conosciuto in realtà, Miserere di Gregorio Allegri (Roma, 1582 circa – 1652), composizione a nove voci del Salmo 51, tra le più famose musiche legate alla vita e alla storia della Cappella Sistina, oltre che al noto aneddoto mozartiano della sorprendente riproduzione a memoria dopo un solo ascolto, forse due, da parte del giovanissimo genio di Salisburgo. Riproposto nella sua funzione di preghiera che lo destinava alle cerimonie della Settimana Santa, in particolare all’Ufficio delle Tenebre e alle processioni del Venerdì santo, esso ha consentito all’amalgama prezioso dei Tallis Scholars di creare volute sonore talora immateriali, frutto di un lavoro sul suono e di uno scavo analitico della partitura attraverso il controllo sapiente della seria conduzione di Phillips, che punta con inflessibilità all’esattezza tecnica. Il clima di cordoglio permeava tutte le fasce di suono, vibranti come umana invocazione.
Ed è giunto infine il pezzo forte del programma, la Messa per quattro voci da cappella di Claudio Monteverdi, un’opera del 1650 in stile antico, alla cui superba bellezza funge da sostegno e impalcatura la sapiente e geniale scrittura contrappuntistica del compositore dell’Orfeo. Phillips vi ha messo in luce la costruzione architettonica fantasiosa e libera nell’invenzione, nella giustapposizione delle linee vocali, degli elementi costitutivi, delle progressioni, dei melismi. Fin dall’enunciazione dei tenori, nel Kyrie, del canonico tetracordo discendente per grado congiunto, si è intuito che il direttore ha dosato scientemente il peso specifico della partitura. Il possesso intellettuale della composizione lo ha reso capace di far capire la spiritualità e sprigionarne l’essenza, anche emotiva, nell’avvicendarsi di variazioni per diminuzione o per inversione tematica e nelle molte varietà di espressione e di tempo. Non soltanto meccanismi razionali e cerebrali nel suo asciutto modo di dirigere, tanto che The Tallis Scholars giungono quasi a colmare lo spazio metafisico.
Ma è nel Sanctus che il tempo lento fa rifulgere palesemente la sensibilità vocale, il fraseggiare e i respiri, mediante l’inflessione di tinte coloristiche sfumate e carezzevoli, in un legato a grande tenuta, afflato di anime. Cosicché l’Agnus Dei, la parte più intima della messa, apre parentesi di speranza salvifica attaccando con sentimento di devozione. È qui che le voci dei Tallis dopo aver sbalordito per la capacità tecnica, sono giunte massimamente a evocare un alito di misticismo che promana dalla dolcissima vocalità. A ogni chiusa di frase il suono si è fatto leggero, arrivando a divenire trasparente come brina. Certe conclusioni, infatti, come parentesi che si chiudono gentilmente, hanno risolto soavemente fino ad evocare la neve che cade, o la pace che discende sulla terra (‘dona nobis pacem’), a fronte degli attacchi accentati con potenza drammatica dell’Osanna e del Credo, in cui al momento della discesa al grave, le voci, perfette, non hanno mai perso consistenza, concludendo su una splendida linea di basso, sostegno a tutte le voci.
A conclusione, i cantori britannici e il loro direttore hanno conquistato e rapito un pubblico attento, coinvolto, che non voleva più andar via, continuando a tributare ovazioni finali con entusiasmo incontenibile, pertanto ottenendo un bis, il Crucifixus a dieci voci di Antonio Lotti.
Meraviglioso il clima generale di autentica soddisfazione.