Capodimonte, il naturale proseguimento della meraviglia lacustre

di DANIELA PROEITTI-

CAPODIMONTE (Viterbo) – Le linee sinuose del lago, paragonabili a quelle del fianco di una donna attraente, conducono da Marta all’alto promontorio di Capodimonte.

Negli anni, la località turistica è cambiata notevolmente, abbandonando quell’aspetto intimo che tanto la caratterizzava. Sono stata in questo che rappresenta uno dei più importanti comuni lacustri viterbesi, in quello che possiamo definire il primo vero pomeriggio estivo di questo particolarissimo, e per molti versi infausto, anno 2020.

Come sempre gli eventi accadono un po’ per caso e, seppur avessi accarezzato l’idea di trascorrere qualche ora riscaldata dal dolce tepore di un tardo pomeriggio di giugno e illuminata dai raggi del sole che disegnano angoli di poche decine di gradi, regalando una colorazione tendente all’arancio, non avevo certo programmato l’escursione.

Così, dopo un acquisto frettoloso e sbagliato in un centro commerciale, soffocata da uno di quei presidi che ci consigliano di indossare, ho indirizzato la mia macchina in direzione nord. Il tratto della Via Cassia appena fuori la città a quell’ora è sempre molto trafficato, ma il lungo serpentone di automobili si muove in maniera spedita procedendo verso la provincia.

La Strada Commenda, riporta alla mia mente i quattro anni in cui l’ho percorsa ogni mattina, circa 25 anni fa. Lavoravo a Canino, Cellere e Arlena di Castro. Luoghi abbastanza lontani da casa, e soprattutto poco conosciuti per me. Avevo acquistato un cellulare, allora i “telefonini”erano soltanto in grado di svolgere il ruolo per cui sono stati progettati: comunicare a voce muovendosi. Ogni mattina affrontavo quel lungo viaggio a bordo della mia Golf grigio scuro e mi incantavo ad osservare i contorni definiti dalle colline e dal grande bacino lacustre in cui si ergono le due belle isole boscose, la Martana e la Bisentina.

Arrivata nei pressi di Capodimonte, continuavo sul lungo rettilineo che sfiora il Monte Bisenzio proseguendo la mia corsa verso quell’angolo a settentrione della provincia, dove mi aspettavano le mie classi davvero poco numerose. All’epoca non venivano ancora praticati gli irreversibili tagli che hanno fatto in modo che molti paesi andassero verso l’impoverimento, e così capitava di avere, come nel mio caso, classi formate anche da soli 4 alunni. Martedì sera, il lungolago alberato era percorso da poche persone, perlopiù ragazzi del posto e qualche turista. La bella spiaggia, contava poche decine di bagnanti, probabilmente increduli che il mese di giugno, tanto indeciso, avesse finalmente scelto di virare verso la sua naturale destinazione, l’estate. Quando i miei figli erano più piccoli, abbiamo trascorso molte giornate piacevoli su quella sabbia vulcanica dal tipico color antracite. Andavamo al mattino presto, assieme ad altri bambini e alle loro mamme. Piantavamo i nostri ombrelloni e ci godevamo la pace che soltanto un luogo ameno come il lago è in grado di infondere. Le ore scorrevano tra giochi, bagni e lunghe passeggiate in pedalò. Li affittavamo presso lo stabilimento, sceglievamo quelli equipaggiati di scivoli e i bambini ingaggiavano delle lunghe gare che combattevano a suon di spruzzi. Una volta tornati a riva iniziavano i nostri lunghi pranzi al sacco, che terminavano sempre con dei ricchi gelati che compravamo al chiosco. Da ragazzi, invece, ci spingevamo nelle spiagge più tranquille ai piedi del Monte Bisenzio, un promontorio che raggiunge i 400 metri slm, e che rispecchia l’isola che porta il suo medesimo nome. In epoca etrusca, il suo territorio e quelli adiacenti, si trovavano sotto il dominio della città di Vulci. Successivamente, divenuto un importante centro urbano, fu abitato dalle popolazioni umbro-italiche. Le testimonianze materiali dell’occupazione villanoviana, risiedono nei resti ritrovati nelle necropoli che circoscrivono il perimetro del territorio abitato. All’interno di esse, sono stati rinvenuti corredi funerari e pregiati oggetti in metallo, che ora sono esposti in diversi musei, nazionali ed esteri. La gloriosa storia del territorio, ci porta direttamente allo spopolamento che avvenne nel corso dell’VIII secolo, a causa di una delle tante invasioni dei Longobardi. Nel 1264 l’abitato di Bisenzio venne distrutto da papa Urbano IV, in quanto rappresentava il centro delle lotte tra Guelfi e Ghibellini e nel XVII secolo, dopo la distruzione di Castro per ordine di papa Innocenzo X, divenne parte dei possedimenti della Chiesa. Dal porto di Capodimonte, il Monte Bisenzio, chiude lo sguardo all’orizzonte, così come il borgo medioevale che si eleva al di sopra del promontorio che distingue il paese dalla vicina Marta. E’ strano come due luoghi possano essere tanto diversi nonostante sorgano a poche decine di metri.

Dopo aver fatto una lunga camminata sul molo, osservando le imbarcazioni ormeggiate, ci siamo sedute ad ammirare le linee disegnate dal vecchio paese. Ho notato, immersa tra il verde dei boschi, un’antica villa la cui via d’accesso non sono riuscita ad individuare. Girandomi, lo sguardo è stato rapito dalle isole Bisentina e Martana: quest’ultima fu al centro di una vicenda storica che si svolse oltre 15 secoli fa.

Difatti, nell’isola c’è una caletta dove si nota un tunnel scavato nella roccia che si trova a 2-3 metri sopra il livello del lago. Questo percorso tortuoso scalinato comunica con la parte più alta di essa dove si ergono alcune rovine, forse i resti di un’antica chiesa o di una prigione, infatti la leggenda narra che proprio qui fu imprigionata l’affascinante Amalasunta regina dei Goti (n.d.r Massimo Agneni, per leggere la storia completa http://www.viterbox.it/rubriche/storia-cultura-teatro_3/lisola-martana-e-amalasunta-ultima-regina-paladina-della-cultura-di-roma_4632.htm ).

Abbiamo così ripreso la nostra vettura e ci siamo introdotte nell’antico borgo, parcheggiando al di sotto dell’ottagonale Rocca Farnese, della anche Castello, così come sono soliti chiamarla gli abitanti del posto. Da quel punto si ammira l’antica torre dell’orologio, che domina svettando al di sopra degli edifici circostanti.

Il silenzio era assoluto, nessun turista o residente girava per le strade. Pace: ecco cosa si percepiva. In fondo l’ambiente che predomina sugli altri è il lago, e la sensazione che imprime è un’immensa calma e tranquillità.

Soltanto la voce di un bambino che giocava sul pratino di una bella villa, è arrivata a noi. Abbiamo alzato lo sguardo per rapire l’immagine di quella che in passato fu residenza dei Farnese.

Fatta costruire nel 1365 dal Duca di Castro Pier Luigi Farnese su quella che era una preesistente costruzione dei Signori di Bisenzio, venne successivamente abbellita dall’architetto Antonio da San Gallo, per commissione di Papa Paolo III Farnese, nato nel 1468 a Canino. Si dice che nel maestoso palazzo sia venuta alla luce sua sorella Giulia, che divenne poi amante di Papa Alessandro VI, e che la nobildonna vi abbia dimorato assieme alla sua amica Lucrezia Borgia, figlia, appunto, di Papa Alessandro VI Borgia.

Le costruzioni di questo genere mi affascinano più di ogni altra cosa, ho sperato di poterla visitare ma, come ho poi scoperto in seguito, non ne esiste la possibilità, visto che è proprietà privata. Al di sotto del castello, sommerse dalle acque del lago, delle statue raffiguranti la natività, danno vita, da quasi 30 anni, ad un presepe subacqueo, ben visibile dall’alto.

Sulla grande Piazza della Rocca, c’è un piccolo edificio ecclesiastico, la Chiesa di Santa Maria Assunta in Cielo, all’esterno della quale le laboriose mani dei cittadini, nel giorno in cui ricorre il Corpus Domini, pongono in opera una bellissima infiorata. Intorno allo storico palazzo, è un susseguirsi di case dall’aspetto modesto, che hanno una peculiarità irrinunciabile: la meravigliosa vista sull’azzurro del lago.

“Nel lago dei tuoi occhi assai profondo
il mio cuore si annega e si discioglie
E là dentro lo disfano nell’acqua
di amore e di follia
un po’ ricordo, un po’ malinconia.

G. Apollinaire

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