Caravaggio, De André, Pasolini, “Una vita di strada”

Riceviamo da Alfonso Talotta e pubblichiamo: “La prostituta che viene ripescata nel Tevere nella Roma del ‘600 che ispirò Caravaggio per il quadro “La morte della Vergine” è rappresentata dal pittore in modo reale, vero, non idealizzato, modo umano, non divino: la pancia della donna è gonfia (idropsia) per via dell’annegamento e le gambe sono scoperte. E’ per questo che il dipinto sarà rifiutato, come accadrà altrevolte, ed è per questo che dello stesso soggetto Caravaggio si troverà a fare un’altra versione, quella accettata. L’artista lombardo toglie sacralità ai suoi soggetti, a favore di una umanità fragile, colpevole, fallibile. Anche ne “La canzone di Marinella” di Fabrizio De André, del 1964, lo spunto per questa canzone viene dato al cantautore genovese da un fatto di cronaca degli anni cinquanta che riguarda proprio il ripescamento di una prostituta uccisa e gettata con disprezzo nelle acque del fiume Tanaro. Anche qui, come era successo più di tre secoli prima con Caravaggio e la sua pittura, assistiamo, in ambito letterario-musicale, ad un’invenzione dove l’autore ligure, non potendo cambiare la vita della sfortunata donna, le reinventa la morte, la addolcisce, trasformando il fatto cruento in evento fiabesco. In Caravaggio la prostituta diventa la Madonna, in De André una bellissima donna tanto che “…ma il vento che la vide così bella dal fiume la portò sopra una stella…” In ambedue i casi una tragica vicenda reale viene trasformata, elevata ad uno stato di grazia. Ancora Caravaggio, nei suoi “Bacchi”, nei suoi giovani, con capelli neri e riccioluti, lo troviamo nella fisiognomica pasoliniana dei protagonisti dei romanzi dell’intellettuale emiliano-friulano, come “Ragazzi di vita” (1955) e “Una vita violenta” (1959) o nei suoi film, soprattutto in “Accattone” (1961) e “Mamma Roma” (1962). La strada di Caravaggio è la strada di Pasolini, rischiosa, difficile, che diventa campo, arena di duelli, scontri, violenza (in una strada romana Caravaggio ucciderà un uomo (1606), e Pasolini verrà ucciso all’Idroscalo di Ostia (1975). E poi ladri, prostitute, vagabondi, disperati, ecc…Tuttavia quella strada sarà fonte di ispirazione, di riferimenti, di idee. E’ la strada anche di Fabrizio De André, è “Via del Campo”, a Genova, via di travestiti, transessuali, puttane, gente di malaffare, dove gli stretti “carruggi” diventano tunnel oscuri, bui, pericolosi, dove anche la luce fatica ad entrare, trasformando queste strettissime vie, in budelli, strettoie infernali. Eppure anche qui assistiamo ad una trasformazione della realtà, ad un miracolo, dove gli ultimi diventano i primi, dove lo sbaglio, l’errore, il peccato, viene elevato attraverso la poesia e la musica arrivando a quello stato di grazia, già citato, che ritroviamo in tutti i lavori di De André, dalle prime canzoni fino all’ultimo, splendido album “Anime salve” del 1996. Nella “Crocifissione di San Pietro” di Caravaggio, Pietro non è rappresentato come un santo che accetta la volontà di Dio, perché il pittore dipinge nell’uomo un’espressione di rabbia, di rivolta, e la mano, inchiodata sulla croce, suggerisce un movimento come se Pietro volesse schiodarsi, liberarsi da quel chiodo, da quel destino che non accetta. Ancora una volta non è il divino, il sacro, ad essere rappresentato, ma è l’uomo con le sue paure, le sue insicurezze, le sue debolezze. La stessa poetica la ritroviamo in Fabrizio De André quando, nel 1970, pubblica il disco “La buona novella”, una rilettura dei vangeli apocrifi dove si perde in sacralizzazione ma si acquista in umanizzazione. Di fronte alla “Crocifissione di San Pietro”, a Roma, nella cappella “Cerasi” della chiesa Agostiniana di “Santa Maria del Popolo”, si trova un altro capolavoro caravaggesco, “La conversione di San Paolo”. In questo quadro, tra l’altezza del cavallo e Paolo, a terra, succedono cose grandiose, tutte in pochi metri ed in pochi istanti: l’alto diventa basso, il potente diventa servo, l’arroganza diventa umiltà, il peccatore diventa santo. Straordinario! Un vecchio proverbio così diceva:<<La Superbia partì a cavallo e ritornò a piedi>>. Caravaggio va oltre e la Superbia non la fa tornare a piedi ma la scaraventa a terra da una Luce che accecherà Paolo per alcuni giorni per poi tornare a vedere in un nuovo modo e, soprattutto, con una luce nuova, diversa, la Luce della fede. La luce caravaggesca squarcia i suoi dipinti, è la Luce che sconfigge l’oscurità del male, del peccato, e che rivela, chiarisce, illumina. C’è un filo comune che lega queste storie, questi fatti, che ancora oggi, dopo quattro secoli, ci fa sentire vicino, attuale, contemporaneo, Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, (1571/1610) e le storie narrate, ricordate, ci fanno anche riflettere su una cosa e cioè che se nella vita, un errore, uno sbaglio, è servito a farci diventare delle persone migliori, quell’errore, quello sbaglio, non è stato invano”.

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