I professionisti della Asl di Viterbo incontrano le donne affette da fibromialgia

VITERBO – Lunedì 28 aprile, a partire dalle ore 15,30, presso la sala conferenze della Cittadella della salute di Viterbo (primo piano), i professionisti della Asl di Viterbo incontrano le donne affette da Fibromialgia.

Nell’incontro si parlerà, tra l’altro di corretti stili di vita e di gestione delle terapie.

L’educazione terapeutica permette al paziente di acquisire e mantenere le capacità e le competenze che lo aiutano a vivere in maniera ottimale con la sua malattia.

Consiste in un vero e proprio transfert, pianificato e organizzato, di competenze dal curante al paziente e si inscrive in una prospettiva in cui la dipendenza del malato cede progressivamente il posto alla sua responsabilizzazione e al “partneriato” con l’équipe curante.

Per poter partecipare all’incontro, è possibile contattare i seguenti riferimenti telefonici 0761237020 – 21 – 22, dal martedì al sabato, dalle ore 9 alle 13, o inviare una mail all’indirizzo di posta elettronica info.centraleoperativa@asl.vt.it.




“Infettivologia nelle marginalità”, concluso il seminario all’Unitus

VITERBO – Oggi, presso l’aula magna dell’Università degli Studi della Tuscia, si è svolto il seminario specialistico Infettivologia nelle marginalità, promosso da Across, l’Associazione dei centri per la ricerca e l’osservazione dei sistemi di salute, con il patrocinio della Asl di Viterbo, dell’ateneo viterbese e dell’Ordine dei medici della provincia di Viterbo.

Il convegno, incentrato sul ruolo dello specialista, dalla presa in carico alla gestione clinica del paziente, si è posto l’obiettivo di favorire un incontro fra le diverse professioni sanitarie che operano a contatto con le popolazioni fragili.

Dai soggetti in stato di detenzione al Dus (Disturbo da dipendenza da sostanze), fino ai soggetti con disagio psicologico e con patologia psichiatrica.

“In queste popolazioni – ha introdotto il direttore dell’unità operativa di Medicina protetta dell’ospedale Santa Rosa, Giulio Starnini (insieme a Fabrizio Ferri, responsabile scientifico dell’evento) – le infezioni da Hiv e Hcv, il disagio psichico, i disturbi del comportamento hanno prevalenze significativamente superiori rispetto alla popolazione generale. La disponibilità di terapie efficaci, maneggevoli a elevata tollerabilità, le formulazioni long acting permettono di intervenire sul singolo individuo in modo ‘tailored’, favorendo l’aderenza e la complianceIl ruolo del professionista della sanità, in questo contesto, diventa essenziale non solo per la diagnosi e la cura, ma anche per la presa in carico attraverso una rete multidisciplinare. L’ incontro di esperienze professionali provenienti da diversi contesti e territori si pone l’obiettivo di promuovere protocolli condivisi e realizzabili attraverso un concetto di salute olistico finalmente libero da stigma e pregiudizi”.

Il direttore generale della Asl di Viterbo, Egisto Bianconi, è intervenuto nella sezione degli interventi introduttivi, tra gli altri, insieme al presidente di Across, Alfredo Di Risio, al dirigente dell’area rete integrata del territorio della Regione Lazio, Marco Nuti, e al direttore della casa circondariale di Viterbo, Marco Grasselli.

“Quelli che stiamo tutti vivendo – ha detto il direttore generale della Asl di Viterbo – sono periodi storici complessi, per certi versi straordinari, all’interno dei quali si producono fenomeni preoccupanti di nuove forme di fragilità e di vulnerabilità che percepiamo molto più intensa che in precedenza. Incontri come quello di oggi, che ha visto la partecipazione dei più importanti specialisti laziali, ma anche provenienti dalle regioni limitrofe, sono importanti, perché ci aiutano a comprendere la complessità che ci circonda, ad aprirci a questi contesti e a rispondere, attraverso un approccio multidisciplinare, in maniera efficace e umana a queste nuove forme di bisogni di salute”.

L’evento è stato accreditato nell’ambito del programma nazionale di educazione continua in medicina con l’obiettivo formativo, Ecm.




All’ospedale Santa Rosa di Viterbo il primo intervento complesso su un paziente sveglio e “distratto” con la realtà virtuale

VITERBO- Un visore applicato a inizio intervento. Pochi secondi e il paziente entra in un altro mondo, dimenticando la sala operatoria, i medici e le voci che lo circondano.

Si chiama sedazione virtuale ed è una metodica innovativa, recentemente introdotta nella Asl di Viterbo e basata su un approccio non farmacologico e non invasivo, utilizzabile per interventi in anestesia locale o spinale. All’ospedale Santa Rosa di Viterbo viene già applicata a interventi di chirurgia vascolare, endovascolare e di radiologia interventistica che avvengono, nella maggior parte dei casi, proprio in anestesia locale.

Nei giorni scorsi un ulteriore passo in avanti: presso la struttura sanitaria del Capoluogo, la sedazione virtuale per la prima volta è stata utilizzata per un intervento chirurgico complesso, un aneurisma dell’aorta addominale pararenale, generalmente condotto in anestesia generale.

L’intervento è stato eseguito dalle equipe delle unità operative di Chirurgia vascolare e di Radiologia vascolare e interventistica. Obiettivo: alleviare i disagi legati a una procedura lunga e a volte dolorosa.

“In accordo con i professionisti della Radiologia interventistica e dell’Anestesia e rianimazione del Santa Rosa – afferma Antonio Lorido, direttore della dell’unità operativa di Chirurgia vascolare – abbiamo deciso di impiegare questa metodica all’avanguardia per un paziente di 80 anni con diverse comorbidità e ricoverato per un aneurisma dell’aorta addominale pararenale. La distrazione cognitiva devia parte dell’attenzione dallo stimolo doloroso e dalla paura dell’intervento. È stato, infatti, dimostrato che i pazienti, tra il 60 e l’80% dei casi, sperimentano ansia acuta durante le procedure mediche”.

Davanti agli occhi del paziente, invece, attraverso la sedazione virtuale, passano solo immagini rilassanti: dai delfini che nuotano nell’oceano a mongolfiere in 3d, con in sottofondo una voce capace di allontanarlo dalla realtà chirurgica. Una distrazione in grado di ridurre, non solo la paura e l’ansia legate all’intervento, ma anche la percezione del dolore.

“Nel caso specifico – aggiunge Stefano Donato, direttore dell’unità operativa di Anestesia e rianimazione –, il paziente è stato collaborante durante tutto l’intervento ed è rimasto ‘concentrato’ sulle immagini di realtà virtuale riprodotte nel visore. Il paziente, dunque, non ha avuto necessità né di sedazione farmacologica, né di terapia per controllo pressorio. Soprattutto, non abbiamo dovuto ricorrere all’anestesia generale, sempre rischiosa per i pazienti anziani”.

“La nostra azienda – sottolinea il Direttore generale della Asl di Viterbo, Egisto Bianconi – si conferma ancora una volta pronta a recepire tutte quelle innovazioni tecnologiche in grado di migliorare l’efficacia delle cure, ridurre l’invasività dei trattamenti, alleviare il dolore ricercando il benessere del paziente”.

 




Al Santa Rosa di Viterbo il primo intervento complesso su un paziente sveglio e “distratto” con la realtà virtuale

VITERBO – Un visore applicato a inizio intervento. Pochi secondi e il paziente entra in un altro mondo, dimenticando la sala operatoria, i medici e le voci che lo circondano.

Si chiama sedazione virtuale ed è una metodica innovativa, recentemente introdotta nella Asl di Viterbo e basata su un approccio non farmacologico e non invasivo, utilizzabile per interventi in anestesia locale o spinale. All’ospedale Santa Rosa di Viterbo viene già applicata a interventi di chirurgia vascolare, endovascolare e di radiologia interventistica che avvengono, nella maggior parte dei casi, proprio in anestesia locale.

Nei giorni scorsi un ulteriore passo in avanti: presso la struttura sanitaria del Capoluogo, la sedazione virtuale per la prima volta è stata utilizzata per un intervento chirurgico complesso, un aneurisma dell’aorta addominale pararenale, generalmente condotto in anestesia generale.

L’intervento è stato eseguito dalle equipe delle unità operative di Chirurgia vascolare e di Radiologia vascolare e interventistica. Obiettivo: alleviare i disagi legati a una procedura lunga e a volte dolorosa.

“In accordo con i professionisti della Radiologia interventistica e dell’Anestesia e rianimazione del Santa Rosa – afferma Antonio Lorido, direttore della dell’unità operativa di Chirurgia vascolare – abbiamo deciso di impiegare questa metodica all’avanguardia per un paziente di 80 anni con diverse comorbidità e ricoverato per un aneurisma dell’aorta addominale pararenale. La distrazione cognitiva devia parte dell’attenzione dallo stimolo doloroso e dalla paura dell’intervento. È stato, infatti, dimostrato che i pazienti, tra il 60 e l’80% dei casi, sperimentano ansia acuta durante le procedure mediche”.

Davanti agli occhi del paziente, invece, attraverso la sedazione virtuale, passano solo immagini rilassanti: dai delfini che nuotano nell’oceano a mongolfiere in 3d, con in sottofondo una voce capace di allontanarlo dalla realtà chirurgica. Una distrazione in grado di ridurre, non solo la paura e l’ansia legate all’intervento, ma anche la percezione del dolore.

“Nel caso specifico – aggiunge Stefano Donato, direttore dell’unità operativa di Anestesia e rianimazione –, il paziente è stato collaborante durante tutto l’intervento ed è rimasto ‘concentrato’ sulle immagini di realtà virtuale riprodotte nel visore. Il paziente, dunque, non ha avuto necessità né di sedazione farmacologica, né di terapia per controllo pressorio. Soprattutto, non abbiamo dovuto ricorrere all’anestesia generale, sempre rischiosa per i pazienti anziani”.

“La nostra azienda – sottolinea il Direttore generale della Asl di Viterbo, Egisto Bianconi – si conferma ancora una volta pronta a recepire tutte quelle innovazioni tecnologiche in grado di migliorare l’efficacia delle cure, ridurre l’invasività dei trattamenti, alleviare il dolore ricercando il benessere del paziente”.

 

 




Siglato protocollo d’intesa tra Regione e associazioni ortoprotesiche

Le Associazioni di Categoria, Federlazio Salute e Assortopedia, plaudono al lavoro svolto dal Direttore Regionale Salute e Integrazione Sociosanitaria, Andrea Urbani, che, attento alle esigenze dei pazienti fragili, ha saputo individuare lo strumento più idoneo per risolvere una problematica ereditata, delicata ed urgente.

Il Direttore Urbani, la dirigente della Regione Lazio area farmaci e dispositivi, Marzia Mensurati, e tutto lo staff hanno lavorato alacremente in queste settimane per sanare un vuoto normativo attraverso un Protocollo d’Intesa con Federlazio Salute e Assortopedia e le altre Associazioni, senza il quale i pazienti della regione sarebbero stati esposti a mancate forniture di ausili, presidi e protesi di assoluta necessità.

Federlazio e Assortopedia ringraziano il Direttore e il suo staff per il lavoro portato avanti con convinzione. “Auspichiamo che il protocollo di intesa sia il primo passo per costruire un sistema di assistenza protesica nuovo, votato totalmente a supportare il benessere delle persone e avulso dalle problematiche create dalle gare d’appalto, strumento non idoneo per questo settore”




Siglato il protocollo d’intesa tra Regione e associazioni ortoprotesiche. Un plauso al direttore Andrea Urbani

ROMA – Le Associazioni di Categoria, Federlazio Salute e Assortopedia, plaudono al lavoro svolto dal Direttore Regionale Salute e Integrazione Sociosanitaria, Andrea Urbani, che, attento alle esigenze dei pazienti fragili, ha saputo individuare lo strumento più idoneo per risolvere una problematica ereditata, delicata ed urgente.
Il Direttore Urbani, la dirigente della Regione Lazio area farmaci e dispositivi, Marzia Mensurati, e tutto lo staff hanno lavorato alacremente in queste settimane per sanare un vuoto normativo attraverso un Protocollo d’Intesa con Federlazio Salute e Assortopedia e le altre Associazioni, senza il quale i pazienti della regione sarebbero stati esposti a mancate forniture di ausili, presidi e protesi di assoluta necessità.
Federlazio e Assortopedia ringraziano il Direttore e il suo staff per il lavoro portato avanti con convinzione. “Auspichiamo che il protocollo di intesa sia il primo passo per costruire un sistema di assistenza protesica nuovo, votato totalmente a supportare il benessere delle persone e avulso dalle problematiche create dalle gare d’appalto, strumento non idoneo per questo settore”.




Sanità, Cartabellotta: “Con il sistema sanitario nazionale in affanno quasi 5 milioni di italiani rinunciano alle cure”

BOLOGNA – “Nel 2023 circa 4,5 milioni di persone hanno dovuto rinunciare a visite o esami diagnostici. Di queste, ben 2,5 milioni lo hanno fatto per ragioni economiche. Un dato in crescita di quasi 600.000 unità rispetto al 2022. È il segnale del progressivo indebolimento del principio di equità su cui si fonda il nostro sistema sanitario nazionale.”

A dirlo è Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, intervenuto al Cracking Cancer Forum di Bologna, l’evento organizzato da Koncept che riunisce medici, ricercatori, esperti, istituzioni impegnati nella lotta ai tumori.

“Quando curarsi diventa un privilegio e non un diritto, non è solo la salute a essere in pericolo, ma la tenuta stessa del patto sociale – sottolinea Cartabellotta -. Il sistema sanitario è in forte affanno per la carenza cronica di professionisti sanitari: mancano all’appello oltre 5.500 medici di famiglia. Ogni anno circa 10.000 infermieri si cancellano dall’albo e i (sempre meno) giovani che scelgono questa professione non bastano neppure lontanamente a compensare l’emorragia. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: meno servizi pubblici disponibili, liste d’attesa sempre più lunghe, pronto soccorso al collasso, crescente difficoltà a trovare un medico di famiglia. E così, chi può, si rivolge alla sanità privata. Gli altri, rinunciano alle cure.”

“Secondo la Legge di Bilancio 2025, il Fondo Sanitario Nazionale crescerà di 2.520 milioni (+1,9%), ma solo poco più della metà, 1,3 miliardi di euro, rappresenta nuovi stanziamenti; il resto, 1,2 miliardi, sono risorse già stanziate dalla manovra precedente. E il futuro non promette meglio: eccezion fatta per il 2026 (4 miliardi pari al +3%), gli incrementi per i successivi tre anni sono risibili – ricorda il presidente della Fondazione Gimbe -. In termini di percentuale di Pil, il Fondo Sanitario Nazionale scende dal 6,12% del 2024 al 6,05% nel 2025 e 2026, per poi precipitare al 5,9% nel 2027, al 5,8% nel 2028 e al 5,7% nel 2029. Tradotto: cambiando unità di misura (da valori assoluti a percentuale del Pil) gli “investimenti record” si trasformano in “minimo storico”.

“La sanità territoriale può aiutare ad allentare la pressione sui pronto soccorso e ad abbattere le liste d’attesa. Ma non basta costruire muri. La riforma territoriale disegnata dal decreto ministeriale 77/2022 va nella giusta direzione, ma senza un piano straordinario per il personale e senza un modello organizzativo chiaro, il rischio di fallimento è altissimo – dice Cartabellotta -. Case di comunità, centrali operative territoriali, ospedali di comunità rimarranno scatole “vuote” se non si colma il vuoto di personale: servono almeno da 20 a 27mila infermieri in più e un concreto coinvolgimento dei medici di famiglia.”




Asl Roma 6, aperta la Chiesa Giubilare all’Ospedale dei Castelli

ROMA – Si è svolta oggi una cerimonia solenne e carica di significato all’Ospedale dei Castelli: l’apertura straordinaria della Chiesa Giubilare presso la Cappella San Camillo de Lellis, che per l’intera settimana, fino a lunedì 21 aprile, accoglierà fedeli, pazienti, operatori sanitari e visitatori in un tempo speciale di raccoglimento, preghiera e riflessione.

Promosso in occasione del Giubileo degli ammalati, l’evento è stato reso possibile grazie alla collaborazione tra la Asl Roma 6, la Diocesi Suburbicaria di Albano e la Santa Sede, ed è stato impreziosito dalla celebrazione eucaristica presieduta da Sua Eccellenza Monsignor Vincenzo Viva, Vescovo di Albano. Presenti anche numerose autorità civili, religiose e militari, oltre a una nutrita rappresentanza della Rete Oncologica Aziendale e dei volontari che operano quotidianamente all’interno delle strutture sanitarie del territorio.

La cappella, cuore spirituale dell’ospedale, ha accolto i fedeli con la semplicità e la forza di un luogo dedicato alla cura dell’anima. All’interno, simboli religiosi e immagini sacre sono diventati segni tangibili di un messaggio di vicinanza, conforto e fede, proprio là dove la malattia mette a dura prova le fragilità umane.

A rendere ancora più speciale l’occasione è stata la piantumazione simbolica di due giovani ulivi, posizionati temporaneamente all’interno della cappella e che saranno successivamente collocati all’esterno, nell’area verde dell’ospedale. Un gesto semplice, ma dal profondo valore spirituale e simbolico: l’ulivo, nella tradizione cristiana, è segno di pace, rinascita e speranza, e in Quaresima e Pasqua rappresenta la vita che rinasce dopo il sacrificio e il silenzio. Un messaggio potente che si inserisce perfettamente nello spirito del Giubileo e nel quotidiano cammino di cura della struttura sanitaria.

Durante la cerimonia ha preso la parola il Direttore Generale della Asl Roma 6, dottor Giovanni Profico, che ha voluto condividere un pensiero di grande sensibilità e vicinanza a tutti i presenti. “È per me un grande onore e una profonda emozione poter partecipare oggi all’apertura straordinaria della Chiesa Giubilare, all’interno dell’Ospedale dei Castelli in rappresentanza dell’intera Comunità della Asl Roma 6. Un sentito ringraziamento va a Sua Eccellenza Monsignor Vincenzo Viva, alla Diocesi Suburbicaria e alla Santa Sede, con la paterna vicinanza di Papa Francesco, che continua ad indicarci la via dell’incontro, della misericordia e dell’ascolto”.

“Questa Cappella, dedicata a San Camillo de Lellis, santo protettore dei malati, degli infermieri e degli ospedali- ha proseguito Giovanni Profico- è oggi anche Chiesa .

“In un luogo di cura come questo, dove ogni giorno si affrontano la sofferenza, la fragilità e la speranza- ha inoltre sottolineato- l’accoglienza assume un significato ancora più profondo. L’accoglienza della persona, della sua storia, del suo dolore. L’accoglienza che si fa carezza, ascolto e dignità”.

“Abbiamo voluto che questo momento rimanesse vivo nella memoria della nostra comunità: i due giovani ulivi oggi testimoni di questa giornata speciale verranno piantati nell’area esterna dell’ospedale. L’ulivo, simbolo di pace, speranza e rinascita- ha evidenziato il Direttore Generale della Asl Roma 6- rappresenta per noi il cammino che la sanità può compiere ogni giorno: non solo verso la guarigione, ma verso un’autentica cura dell’essere umano nella sua interezza”. “Ringrazio tutti coloro che hanno reso possibile questo .

“Per questa iniziativa- ha detto all’agenzia Dire il capo della Segreteria tecnica del ministero della Salute, Marco Mattei- dobbiamo ringraziare Sua Eccellenza Monsignor Viva, che ha voluto inaugurare con questa celebrazione eucaristica questa chiesa giubilare straordinaria. Una iniziativa molto bella soprattutto in virtù del fatto che l’Ospedale dei Castelli è un luogo simbolico importante per questa Diocesi, per questo territorio e per questa Asl. Siamo felicissimi e io sono stato onorato di essere stato invitato. Faccio gli auguri al nuovo Direttore Generale, il dottor Profico, che inizia un percorso, un’avventura in uno dei luoghi più importanti della provincia di Roma”.

“Un evento importantissimo- ha concluso il senatore del Collegio, Marco Silvestroni- in questo periodo di Pasqua, nella settimana importante di Pasqua. Ed è importantissimo celebrare questo evento in un luogo come quello dell’Ospedale dei Castelli romani, un luogo di cura ma anche di sofferenza. Organizzare questa giornata Giubilare, la chiesa Giubilare, dove interviene Sua Eccellenza, il Vescovo della Curia di Albano, Monsignor Viva, e il nuovo Direttore Generale della Asl Roma 6, è un momento importante: l’unione tra un’istituzione come quella della sanità e la religione, la Curia. È importante per i pazienti ma soprattutto perché in questa settimana dà quel senso di rinascita che è la settimana pasquale”.

L’apertura della Chiesa Giubilare si inserisce in un percorso di umanizzazione della cura portato avanti dalla Asl Roma 6, che non si limita alla salute fisica ma abbraccia anche il benessere spirituale e psicologico delle persone, in linea con la visione integrata e compassionevole proposta dal magistero di Papa Francesco.

In un mondo che spesso corre e dimentica l’essenziale, questa giornata ha ricordato a tutti l’importanza del tempo dell’ascolto, della presenza e della speranza. L’Ospedale dei Castelli si è trasformato, per qualche ora, in una casa ancora più aperta, più umana, più spirituale.

Una giornata che rimarrà impressa nella memoria di chi l’ha vissuta, e che segna un passo importante nel cammino verso una sanità sempre più attenta, accogliente e inclusiva.




Tumori, storie di Hala e Jana: dalla Palestina in Italia per vita in salute e a misura di bambina

ROMA – Nel reparto di Oncologia pediatrica del Policlinico di Sant’Orsola Irccs di Bologna c’è un frammento di Palestina. Tra i tanti piccoli pazienti che l’ospedale accoglie, ci sono anche due bambine palestinesi arrivate in fuga dalla guerra con Israele. Si chiamano Hala e Jana, hanno 14 e 9 anni, e oggi in Italia stanno affrontando la loro battaglia più dura: quella per la vita.

Hala è affetta da leucemia, Jana da un tumore solido. Sono arrivate in Italia grazie all’intervento dell’Organizzazione mondiale della sanità, accompagnate solo dalle loro madri. Hala è giunta anche con il fratellino di sei anni, l’unico altro familiare a essere riuscito a espatriare, nonostante fosse privo di visto.

Grazie a un volo dell’Esercito italiano, le due donne con i bambini sono atterrate a Milano, dove hanno ottenuto un visto temporaneo di 90 giorni. Da lì, la Croce Rossa Italiana ha curato il trasferimento a Bologna, dove ora le famiglie sono seguite dall’Associazione Genitori Ematologia Oncologia Pediatrica (Ageop).

La richiesta di espatrio era stata accolta dall’Oms quasi un anno fa. ‘Sono passati 12 mesi, troppi- racconta all’agenzia Dire la direttrice generale di Ageop Ricerca, Francesca Testoni- da quando queste bambine sono riuscite finalmente a lasciare il proprio Paese. Dallo scorso 7 ottobre, anche i pazienti oncologici già in cura negli ospedali di Gerusalemme o Tel Aviv non hanno più accesso alle terapie, ai controlli né ai farmaci. Le due bambine sono state poste in quarantena, poiché provenienti da un campo profughi, poi hanno cominciato gli accertamenti e in seguito hanno iniziato cure di supporto per gravi carenze alimentari e dolori ossei causati dalla malnutrizione’.

‘Oggi sono in regime di day hospital- spiega Testoni- le accompagniamo ogni mattina in ospedale e il pomeriggio tornano in una delle 4 case di accoglienza di Ageop messe a disposizione gratuitamente dall’Associazione. In questa fase stanno facendo tutti gli esami per rivalutare la malattia: non hanno una cartella clinica, sono arrivate senza documenti, bisogna rifare tutto da capo, ovvero esami del sangue, ago aspirato midollare, risonanze, Pet’.

L’accoglienza offerta da Ageop va ben oltre le cure mediche. ‘Abbiamo fornito vestiti e beni di prima necessità. Sono arrivate con gli abiti che indossavano alla partenza- afferma Testoni- niente cambi, niente biancheria, nemmeno una borsa. Gli è stato tolto tutto, persino i fermagli per capelli. Anche le madri e il fratellino di Hala necessitano di cure dentistiche: una mamma ha perso un dente a causa di un ascesso mai curato. Ora stanno ricevendo assistenza da un nostro dentista convenzionato. Inoltre, abbiamo incaricato un legale esperto in diritto dell’immigrazione di seguire l’iter per la richiesta di asilo’.

‘Pochi giorni prima dell’arrivo- racconta Testoni- la Protezione Civile e la Regione ci hanno informati che sarebbero giunti a Bologna tre nuclei familiari. Si è parlato di una triangolazione tra ministero, Oms e Israele. Dovevano arrivare tre bambini, ma una madre ha rinunciato al volo perché non se l’è sentita di lasciare gli altri figli’.

Testoni sottolinea la differenza tra l’approccio italiano e quello di altri Paesi europei. ‘Dopo il decreto Salvini, la protezione umanitaria non esiste più. Anche il visto per cure mediche è concesso a un solo genitore accompagnatore. In caso di trapianto, ottenere l’ingresso di altri familiari è un’impresa. In Italia non esiste una legge che consenta l’accoglienza di chi fugge da guerre o genocidi tramite le ambasciate o i consolati. Si può chiedere asilo solo se si è già sul territorio italiano’.

E rincara: ‘Quando si parla di immigrazione clandestina, ci si dovrebbe chiedere: come possono salvarsi queste persone? Devono affrontare il deserto, i barconi, le rotte balcaniche? In Palestina oggi si vive sotto le tende, senza acqua, cibo, elettricità, medicine. Sotto le bombe da un lato, e vessati da Hamas dall’altro. La popolazione civile è schiacciata. E far aspettare un anno una bambina con una malattia oncologica è una crudeltà. In Europa abbiamo approvato un Piano per contrastare le disuguaglianze nell’accesso alle cure pediatriche oncologiche. Eppure, qui c’è un imbuto che non riusciamo a superare’.

Altri Paesi si sono mossi diversamente. ‘Il gruppo di persone evacuate era numeroso. La maggior parte è stata accolta dalla Romania, altri sono andati in Norvegia, e una famiglia intera composta da madre, padre e quattro figli è arrivata in Germania’.

Ma la battaglia per una vita in salute non è ancora finita. ‘Hala, a causa di una recidiva, potrebbe dover affrontare un secondo trapianto. Il primo lo ha fatto a Tel Aviv, con midollo donato dal padre. Se ora la bambina peggiora- riflette Testoni- si ripropone lo stesso problema: come far arrivare il donatore?’.

Da qui, il suo appello: ‘Serve un corridoio umanitario dedicato a chi fugge dalle guerre. Non si può costringere un genitore a scegliere quale figlio salvare. Il ricongiungimento familiare è previsto solo per coniugi e figli minorenni e solo dopo il riconoscimento dello status di rifugiato. Se una persona ha un figlio di 18 o 19 anni, o è vedova, resta da sola: è inaccettabile’.

Un appello che si fa ancora più urgente nel caso dei bambini oncologici. ‘Ci sono trattati internazionali, convenzioni, carte sottoscritte, tutte con al centro il supremo interesse del minore. Ma sappiamo che, nei fatti, non viene garantito. Si ha sempre paura dell’invasione. Ma per i bambini malati di cancro, un’eccezione dovrebbe essere non solo possibile, ma doverosa. Nessun genitore dovrebbe trovarsi a decidere chi salvare’.

Ageop sta facendo la sua parte, come già accaduto con i piccoli pazienti ucraini. ‘Li accogliamo e li assistiamo fino a quando non avranno ottenuto l’asilo, una casa e un lavoro. Nel frattempo, vivono nelle nostre strutture, vestiti e sostenuti in tutto. Va ricordato che Ageop accoglie gratuitamente anche tutte le famiglie italiane che arrivano a Bologna per le cure oncologiche dei loro figli. Queste mamme con i loro figli hanno lasciato la Palestina senza nulla: senza telefoni, senza cibo, senza nemmeno un succo di frutta per i bambini. Una delle madri mi ha raccontato che, appena salite sull’aereo dell’Esercito italiano, dove hanno ricevuto acqua e cibo, ha sentito la mano di Allah sulla testa. Nei primi giorni in ospedale, il fratellino di Hala si nascondeva dietro l’armadio appena sentiva un rumore. Sono arrivati in condizioni disperate’.

Oggi Ageop accoglie 18 nuclei familiari a Bologna. ‘Siamo sempre pieni. Per l’emergenza abbiamo chiesto anche l’aiuto dei padri dehoniani. Abbiamo convenzioni attive con Bosnia e Serbia, e accogliamo pazienti anche dal Kosovo e Montenegro, dove i casi di tumore sono in aumento per l’uranio impoverito. Ora stiamo ricevendo richieste anche dalla Moldavia, che ha perso l’accesso alle cure oncologiche pediatriche a causa della guerra in Ucraina. E con il Sant’Orsola abbiamo un accordo quadro che ci permette di velocizzare le procedure’.

Ma c’è un altro tema che sta a cuore alla direttrice generale di Ageop Ricerca: il riconoscimento dell’età pediatrica. ‘In Italia non c’è una norma chiara. Alcuni ospedali considerano pediatrici i pazienti fino a 12 anni, altri fino a 14, altri ancora fino a 16 o 18. Questo rende difficilissimo difendere i diritti dei minori. I bambini malati devono essere curati da strutture pediatriche, con medici specializzati in oncologiapediatrica. E invece, in alcune regioni, soprattutto al Sud, si sta tornando indietro. In Sardegna, ad esempio, non esiste nemmeno una rianimazione pediatrica’.

‘Serve una legge. Come in Francia, Spagna o Germania, anche in Italia deve essere riconosciuta l’età pediatrica e deve essere normata. Senza questo- conclude- i diritti dei bambini malati restano lettera morta. La tutela dei minori oggi in Italia non esiste. È tempo di cambiare, davvero’.




Al congresso FISMAD, il punto sul carcinoma epatocellulare. Prevensione, diagnosi precoce e nuove terapie fanno la differenza

ROMA – Il carcinoma epatocellulare è il tumore primitivo maligno del fegato più frequente e costituisce una delle principali cause di morte per cancro a livello mondiale. Al tema, il XXXI Congresso nazionale delle Malattie Digestive, promosso dalla Federazione Italiana delle Società delle Malattie dell’Apparato Digerente (FISMAD), che vede la presenza numerosa della Società Italiana di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva (SIGE), ha dedicato una sessione.

In Italia, secondo i dati più recenti, nel 2023 sono state stimate circa 12.200 nuove diagnosi di tumore epatico, con un tasso incidenza/letalità ancora vicino all’unità, a segnalare come questa neoplasia sia spesso diagnosticata in fase avanzata e pertanto difficilmente curabile. Attualmente, nel nostro Paese, si stima che oltre 33.000 persone vivano dopo una diagnosi di tumore del fegato.

EZIOLOGIA E PROIEZIONI. Il carcinoma epatocellulare insorge quasi esclusivamente in soggetti affetti da epatopatia cronica, in particolare nei pazienti affetti da cirrosi epatica di diversa natura – tra cui, virus da epatite B e C, abuso alcolico, e soprattutto la MASLD o malattia epatica associata a disfunzione metabolica. La steatosi epatica, condizione caratterizzante la MASLD, è attualmente una delle patologie più comuni nei Paesi occidentali, colpendo globalmente circa un terzo degli adulti e fino al 90% dei pazienti affetti da obesità, ipertensione arteriosa o diabete mellito tipo 2. Da qui al 2040 in molti Paesi europei è previsto un aumento dei casi di carcinoma epatocellulare, e questo andamento. è principalmente attribuibile all’elevata assunzione di alcol, all’obesità e alle patologie ad essa collegate, in assenza di adeguati programmi di educazione a corretti stili di vita.

In questo contesto, “il ruolo dell’epatologo è centrale e strategico: una gestione specialistica e precoce delle epatopatie croniche consente non solo di abolire, o rallentare, la progressione della malattia epatica diminuendo il rischio di sviluppare il carcinoma epatocellulare, ma anche di porre in essere programmi di sorveglianza volti all’identificazione precoce del tumore, migliorando pertanto in modo significativo la prognosi dei pazienti”, sostiene Edoardo G. Giannini, Professore Ordinario di Gastroenterologia all’Università di Genova, tra i protagonisti del Congresso FISMAD in corso a Roma dal 13 al 15 aprile. “L’ecografia addominale da eseguire ogni sei mesi, eventualmente associata al dosaggio dell’alfa-fetoproteina, rappresenta attualmente lo strumento di sorveglianza raccomandato per i pazienti a rischio di sviluppare il carcinoma epatocellulare”.

COSA FARE. “Quando, nel corso di programmi di screening e sorveglianza, viene identificata una lesione epatica sospetta, si deve procedere con esami di imaging di secondo livello – tomografia computerizzata o risonanza magnetica epatica con mezzo di contrasto – in grado di fornire elementi diagnostici fondamentali per la caratterizzazione della lesione e, nei casi dubbi, alla biopsia. Negli ultimi anni, il tradizionale, rigido modello di classificazione è stato superato da un approccio più flessibile e personalizzato, sviluppato grazie ad autori italiani, che tiene conto non solo delle caratteristiche tumorali (numero, dimensioni e localizzazione delle lesioni) e della riserva funzionale epatica, ma anche delle comorbidità, dello stato generale del paziente e delle sue preferenze. In questo modo, la selezione dell’opzione più appropriata (chirurgica, locoregionale, sistemica o palliativa) avviene nell’ambito di un team multidisciplinare valutando le strategie disponibili in modo gerarchico, partendo da quelle a maggiore intento curativo per declinare progressivamente a quelle di controllo della malattia o di supporto sintomatico”.

TERAPIE IN ATTO. “Per i pazienti in stadio iniziale o con malattia localizzata, sono disponibili terapie potenzialmente curative, tra cui la resezione chirurgica, il trapianto di fegato o l’ablazione percutanea mediante radiofrequenza o microonde. Nei casi di malattia più avanzata, le opzioni includono trattamenti locoregionali come la chemioembolizzazione transarteriosa, oppure terapie sistemiche, tra cui i farmaci a bersaglio molecolare (sorafenib, lenvatinib) e l’immunoterapia (atezolizumab + bevacizumab, durvalumab + tremelimumab), con un progressivo miglioramento delle prospettive di sopravvivenza anche nei pazienti non candidabili a trattamenti curativi. In tale contesto, sta acquisendo crescente rilevanza anche il concetto di terapia di conversione, ovvero l’impiego mirato di trattamenti sistemici o locoregionali con l’obiettivo di ridurre il carico tumorale e rendere potenzialmente eleggibili alla chirurgia o al trapianto pazienti inizialmente non candidabili a trattamenti curativi”, conclude il Professor Giannini.

Infine, la gestione del paziente affetto da carcinoma epatocellulare richiede una presa in carico multidisciplinare, in cui l’epatologo continua a ricoprire un ruolo chiave insostituibile, non solo nella diagnosi precoce, ma anche nella valutazione e preservazione della funzione epatica, nella scelta condivisa dei trattamenti e nella loro gestione, e nella rivalutazione iterativa dei pazienti al fine di migliorare la sopravvivenza globale.




Nuova risonanza Acquapendente, Terrosi: “Potenziamento essenziale per il nostro ospedale”

ACQUAPENDENTE ( Viterbo) – “L’entrata in funzione della nuova risonanza magnetica articolare e del sistema polifunzionale digitale di ultima generazione all’ospedale di Acquapendente rappresenta un potenziamento essenziale per la diagnostica per immagini e in generale un importante miglioramento dei servizi sanitari offerti ai cittadini del territorio“. Così Alessandra Terrosi, sindaca di Acquapendente, commenta l’intervento di ammodernamento compiuto negli ultimi mesi nel presidio ospedaliero aquesiano.

Ringrazio la ASL Viterbo e la Regione Lazio  – prosegue Terrosi – sottolineando ancora una volta quanto la piena collaborazione con il Comune stia producendo risultati di rilievo, frutto di un impegno iniziato dalle precedenti amministrazioni comunali di Acquapendente e dalla giunta Zingaretti, grazie alla quale il nostro presidio è stato riconosciuto come ospedale di zona disagiata, tra l’altro confermata nella recente approvazione dell’atto aziendale ASL, e senza la quale non sarebbe possibile offrire adeguati servizi sanitari a una popolazione sempre più fragile e anziana, nonché di arginare la mobilità passiva verso strutture fuori regione“.

Il potenziamento strumentale dell’ospedale di Acquapendente è quindi un ulteriore passo avanti, anche in vista della futura costruzione del nuovo complesso. “L’obiettivo resta il mantenimento della piena operatività della struttura ospedaliera e il suo progressivo miglioramento – conclude la sindaca – in quanto punto di riferimento per un’ampia porzione della provincia, per incrementare il diritto alla salute dei cittadini aquesiani e non solo. Il Comune continuerà a svolgere un ruolo attivo attraverso un confronto sempre costruttivo con ASL e Regione“.




Liste di attesa nella Tuscia: dalla Regione un piano da 885mila euro

di REDAZIONE-

VITERBO- In tutta la Tuscia risultano 19.499 prestazioni sanitarie erogate fuori soglia, ovvero al di fuori dei tempi massimi previsti dal piano nazionale per le liste di attesa. Un problema che riguarda l’intero Lazio, dove le prestazioni non rispettate sono quasi 459mila, secondo i dati forniti da Lazio Crea.

Il presidente della Regione Francesco Rocca ha posto nuovamente il tema tra le priorità dell’agenda sanitaria. Dopo aver stanziato lo scorso ottobre 17 milioni di euro, la Regione ha ora approvato una nuova delibera che prevede 20,7 milioni di euro per abbattere le liste d’attesa, in linea con quanto previsto dal decreto legge 73/2024.

Le risorse saranno distribuite tra le Asl sulla base dei numeri relativi alle prestazioni fuori soglia. Alla Asl di Viterbo spetteranno 884.256 euro, da utilizzare per recuperare le visite e gli esami non eseguiti nei tempi previsti. Le prestazioni saranno garantite attraverso attività aggiuntive, libera professione intramuraria e, se necessario, ricorso a strutture private accreditate.

Gli enti sanitari avranno 20 giorni per presentare un piano operativo alla Direzione regionale Salute e 45 giorni per programmare le agende di recupero. Ogni azienda sanitaria dovrà inoltre attivare un sistema di monitoraggio interno per verificare l’effettiva attuazione delle misure.

Un intervento strutturale e urgente, volto a restituire ai cittadini la possibilità di accedere in tempi certi a visite ed esami, colmando un ritardo che, solo nella provincia di Viterbo, pesa su quasi 20mila prestazioni.

 

 




Sanità, Liste d’attesa, ULS: si continua a ledere il diritto dei cittadini

Riceviamo e pubblichiamo: “Da recenti indagini sulla soddisfazione dei cittadini viene fuori che il 70-80% degli italiani hanno avuto problemi nel prenotare una visita o un esame con il SSN. Non si può continuare ad accettare il lento declino di un diritto.

Le liste di attesa raggiungono troppo spesso tempistiche incompatibili con i bisogni di salute della popolazione che vuole usufruire della Sanità Pubblica. Andrebbe monitorato attentamente il ricorso al privato al quale ci si rivolge nella disperazione di fare al più presto un esame o una visita invece di attendere anche 12 mesi. Tanto è vero che nel recente report del CNEL, analizzato dalla Fondazione Gimbe, l’aumento della spesa sanitaria a carico delle famiglie italiane è aumentata del 27% circa rispetto al decennio 2012-2022.

Siamo davanti ad un fenomeno in aumento, quello della rinuncia alle cure da parte delle fasce più povere. Nonostante il D.L. 73/2024 decreto sulle liste d’attesa, senza stanziare risorse per ottenere risultati la situazione andrà sicuramente a peggiorare. Il sottofinanziamento del sistema che dura da anni, unito ad una programmazione sbagliata, carenze di medici e infermieri, le cui retribuzioni sono vergognosamente basse, porterà al collasso il SSN facendo largo alle assicurazioni sanitarie e alle prestazioni private a pagamento.
È necessario una volta per tutte che questo Governo trovi le risorse economiche aggiuntive da destinare alle liste d’attesa così da non permettere l’instaurarsi di un confine sociale tra chi trova altre strade e chi purtroppo resta indietro nel curarsi”.

ULS Unione Lavoratori Sanità




In funzione la nuova risonanza magnetica articolare e il nuovo sistema polifunzionale all’ospedale di Acquapendente

ACQUAPENDENTE ( Viterbo) – Nei giorni scorsi, presso la Diagnostica per immagini dell’ospedale di Acquapendente, sono stati collaudati e, subito, entrati in funzione una nuova risonanza magnetica articolare e un sistema polifunzionale digitale di ultima generazione, con il completamento del rifacimento della terza sala dedicata al supporto della rete dell’emergenza del Pronto Soccorso, per un investimento complessivo di circa 470mila euro, sostenuto con fondi per il Giubileo 2025.

Queste importanti implementazioni tecnologiche, vanno ad aggiungersi a quelle già messe a terrà negli ultimi 4 mesi, periodo nel quale la struttura aquesiana è stata interessata da un intervento globale di ammodernamento delle due sale radiografiche, con l’installazione di due sistemi telecomandati di ultima generazione digitali, grazie all’utilizzo di fondi Pnrr, per un importo di oltre 620mila euro. Il rinnovo della diagnostica a ultrasuoni era stato ulteriormente sostenuto in precedenza con l’acquisto di un nuovo ecografo del valore di oltre 35mila euro.

In totale, al termine dell’intero processo di ammodernamento e di sviluppo di nuove tecnologie, la Asl di Viterbo ha investito sulla Diagnostica per immagini di Acquapendente circa 1milione e 125mila euro.

“La nuova risonanza magnetica articolare – commenta il direttore dell’unità operativa complessa di Diagnostica per immagini polo, Mariano Ortenzi – completa l’assetto strumentale diagnostico della radiologia dell’ospedale di Acquapendente che è stata completamente rinnovata e aggiornata mediante l’installazione di apparecchiature all’avanguardia. In particolare, la nuova risonanza è dedicata allo studio delle patologie dell’apparato muscolo scheletrico che rappresentano oltre il 50% delle richieste ambulatoriali di risonanza magnetica, contribuendo significativamente a ridurre le liste d’attesa. Possono essere realizzati esami di risonanza magnetica di ginocchio, caviglia, mano, polso e gomito. Il comfort del paziente per la scansione degli arti è elevato ed, essendo una macchina aperta, la claustrofobia non rappresenta più un problema. Anche la recente installazione dell’apparecchiatura Rx polifunzionale digitale si integra perfettamente con la risonanza magnetica articolare per lo studio di tutto l’apparato scheletrico, abbattendo le dosi di radiazioni e consentendo esami radiografici statici, dinamici e sotto carico. Questa seconda tecnologia di ultima generazione permette, inoltre, esami radiografici dell’apparato digerente e del torace”.

Tutte le indagini realizzate nella radiologia dell’ospedale di Acquapendente con le nuove strumentazioni installate possono essere trasmesse in rete all’ospedale Santa Rosa di Viterbo per telegestione, telerefertazione e teleconsulto, ai fini di una eventuale valutazione multidisciplinare e polispecialistica di patologie e di pazienti.

“Con queste ulteriori dotazioni di strumentazioni di alto livello di contenuto tecnologico – commenta il direttore generale della Asl di Viterbo, Egisto Bianconi – abbiamo portato a compimento, in poco più di 4 mesi, l’intero processo di ammodernamento della Diagnostica per immagini di Acquapendente. L’obiettivo che stiamo perseguendo è quello di potenziare a livello strumentale, non solo l’ospedale Santa Rosa, ma tutta la rete ospedaliera della nostra provincia, nella quale Acquapendente ricopre una importanza centrale, per i bisogni di salute che soddisfa e per la popolazione del comprensorio che ogni giorno si rivolge ai professionisti che operano all’interno della struttura sanitaria”.

 




Migrazione sanitaria e malattie rare: chieste misure per sostenere le spese dei malati

Prevedere misure specifiche per sostenere i costi dei trasferimenti delle persone costrette a spostarsi dalla propria Regione per ricevere cure adeguate e per garantire loro assistenza psicologica e sociale. È una delle richieste emerse da una conferenza stampa promossa in Senato dall’onorevole Orfeo Mazzella (M5S) insieme a tre realtà del Terzo Settore attivamente impegnate per fornire aiuti concreti ai numerosi cittadini Italiani costretti ad affrontare, insieme alle loro famiglie, non solo diagnosi gravi ma anche spesso problemi economici e logistici legati all’impossibilità di potersi curare nella propria Regione. CasAmica, organizzazione di volontariato che dal 1986 si occupa di accogliere presso le proprie strutture in Lazio e Lombardia i migranti della salute e le loro famiglie; Codice Viola, un’associazione che dal 1986 è impegnata a migliorare la sopravvivenza e la qualità di vita dei pazienti affetti da adenocarcinoma del pancreas e UNIAMO Federazione Italiana Malattie Rare, che opera da 25 anni per la tutela e la difesa dei diritti delle persone con malattia rara e delle loro famiglie.

«Ho voluto organizzare questo incontro per dare voce a chi, ogni giorno, si trova ad affrontare una doppia sofferenza: quella della malattia e quella della distanza. È inaccettabile che in un paese come il nostro, il diritto alla salute non sia garantito per tutti allo stesso modo. Dobbiamo fare di più per sostenere chi è costretto a cercare cure lontano da casa», dichiara il senatore Orfeo Mazzella.
MIGRAZIONE SANITARIA: I DATI IN ITALIA
Secondo l’ultimo report Age.na.s sulla mobilità sanitaria interregionale sebbene il numero di ricoveri in mobilità sia diminuito (668.145 nel 2023 rispetto ai 707.811 del 2019), la spesa è aumentata leggermente, passando da 2,84 miliardi di euro nel 2019 a 2,88 miliardi nel 2023. Questo incremento è principalmente attribuibile all’aumento della mobilità legata ai ricoveri per diagnosi di alta complessità, che comportano trattamenti più costosi e specializzati. Il flusso migratorio per ricoveri ospedalieri è prevalentemente diretto da Sud a Nord e le regioni più attrattive per la mobilità sanitaria sono l’Emilia-Romagna, la Lombardia e il Veneto.

La costante crescita del fenomeno della migrazione sanitaria è confermata anche dallo “Studio sui migranti sanitari” realizzato da EMG Different per CasAmica. L’analisi è stata realizzata su un campione rappresentativo di cittadini residenti in Calabria, Puglia, Campania, Sicilia e Sardegna con età compresa tra i 35 ai 65 anni di età, al fine di studiare la migrazione sanitaria e le motivazioni che spingono i malati a cercare cure fuori dalla propria regione.

Dallo studio emerge che 14,3 milioni di cittadini, pari all’81% del campione esaminato, negli ultimi 3 anni hanno avuto bisogno di cure mediche per sé o per i propri familiari. Tra questi, ben 1 milione di cittadini provenienti dalle regioni del Sud Italia e delle isole ha scelto di curarsi in una regione diversa dalla propria per motivi legati all’opportunità di ottenere una migliore offerta sanitaria (51%) e medici più preparati (39%) o addirittura alla concreta impossibilità di ricevere cure adeguate alla propria patologia nella regione di provenienza (32%).

In particolare, alcuni tumori e le malattie rare sono tra le patologie più esposte al fenomeno della migrazione sanitaria.

MALATTIE RARE: OLTRE IL 20% POPOLAZIONE COSTRETTO A SPOSTARSI PER CURE
Come dimostra anche il X Rapporto sulla condizione delle persone con malattia rara in Italia di Uniamo, la stima della mobilità fra Regioni è pari al 20% nella popolazione complessiva e arriva al 29% se le patologie colpiscono i minori. Secondo gli studi più recenti, a livello mondiale la prevalenza delle malattie rare sarebbe compresa tra il 3,5% e il 5,9% della popolazione mentre il numero complessivo di persone con malattia rara in Italia sarebbe compreso fra i 2,0 e i 3,5 milioni di persone.

«Una persona con malattia rara su cinque è costretta a spostarsi dal proprio luogo di residenza per curarsi, a volte anche affrontando viaggi molto lunghi che impattano negativamente dal punto di vista fisico, psicologico ed economico», commenta Annalisa Scopinaro, presidente UNIAMO F.I.M.R. «Sono numeri che sono destinati ad aumentare, vista la disponibilità sempre maggiore di terapie innovative che devono essere somministrate in Centri ad alta specializzazione. Il tema è senza dubbio rilevante dal punto di vista economico, ma ancora di più da quello della qualità di vita della persona con malattia rara e della sua famiglia. Spesso, infatti, a spostarsi sono intere famiglie, anche per lunghi periodi o ripetutamente nel corso dell’anno. Dalle nostre indagini è emerso che l’impatto di costo sulla famiglia è notevole, dato che spesso non sono previsti rimborsi da parte della Regione di residenza. È necessario quindi sensibilizzare su questo tema, come fatto con questa tavola rotonda, perché le risposte devono essere date su più fronti: ad esempio, con supporti economici, impulso alla telemedicina, offerta di soluzioni di alloggio temporaneo a prezzi calmierati».

TUMORE AL PANCREAS: DISPARITÀ ECONOMICHE E TERRITORIALI, UN OSTACOLO ALLA CURA
Anche molti pazienti oncologici sono costretti a spostarsi per curarsi e tra i tumori più esposti al fenomeno rientra il tumore al pancreas, considerato la quarta causa di morte per tumore nel mondo occidentale. Il tumore del pancreas rappresenta infatti il caso più tipico di “cancro negletto” caratterizzato da un’incidenza annuale moderata ma con un alto indice di mortalità . Inoltre, i lunghi tempi di percorrenza necessari per raggiungere strutture sanitarie specializzate possono rappresentare un ostacolo, soprattutto per le classi sociali o economiche più svantaggiate e per i pazienti fragili. Ancora, i dati forniti da AGENAS riguardo il fenomeno della mobilità sanitaria dei pazienti sottoposti a chirurgia pancreatica nel periodo 2014-2016, mostrano come circa il 40% dei pazienti residenti nel Sud Italia (con picchi fino al 76% dei pazienti residenti in Calabria) e il 15% di quelli residenti nel Centro Italia si siano spostati verso le regioni settentrionali.

«L’incidenza del tumore del pancreas in Italia è molto bassa, pari allo 0,0023% della popolazione totale. Tuttavia, il numero di decessi annuali associati a questa patologia lo colloca al terzo posto tra le cause di morte per tumore, dopo il carcinoma polmonare e quello del colon-retto», commenta Piero Rivizzigno, presidente Codice Viola. «In questo contesto, solo tre regioni – Lombardia, Veneto e Toscana – offrono un livello di cure chirurgiche adeguato alla complessità della malattia. Questa disparità territoriale genera un’elevata mobilità sanitaria, con un trasferimento di costi tra le regioni pari a 6,5 milioni di euro. I dati forniti da AGENAS non tengono conto degli elevati costi logistici a carico dei pazienti e dei familiari che si sottopongono a interventi fuori regione, stimabili tra i 3.000 e i 5.000 euro a seconda della regione di provenienza, i tempi di degenza ospedaliera, in media tra i 10 e i 15 giorni, e le spese per visite specialistiche pre e post-operatorie. Tutti questi costi ricadono sulle famiglie, o sono in parte attenuati dai servizi offerti da associazioni di volontariato come Casa Amica. Le regioni che, colpevolmente, non si sono organizzate per garantire un adeguato livello di assistenza per il trattamento del tumore del pancreas dovrebbero farsi carico di un sostegno economico per i pazienti e le famiglie costretti a spostarsi, e avviare programmi di potenziamento delle cure, dotandosi di strutture dedicate come le Pancreas Unit».

CASAMICA: ACCOGLIENZA PER I MIGRANTI DELLA SALUTE
Una ulteriore conferma che il fenomeno della migrazione sanitaria sia in costante crescita sono i dati di CasAmica. Basti pensare che solo nel 2023 l’organizzazione ha registrato un aumento di ben il 25% delle richieste di supporto, offrendo complessivamente nel biennio 2023-24 oltre 40mila notti di accoglienza alle persone malate e ai loro familiari e ospitando quasi 150mila persone in quasi 40 anni di attività.
Proprio in questa occasione, CasAmica e Codice Viola hanno annunciato un protocollo d’intesa per agevolare i malati di tumore al pancreas costretti a curarsi lontano dalla propria città o regione e che hanno insieme alle loro famiglie bisogno di accoglienza.

«Dai dati emerge in modo chiaro come nel nostro Paese esista una disparità di accesso alle cure tra chi abita al Nord e chi risiede al Sud e nelle Isole», dichiara Stefano Gastaldi, direttore generale di CasAmica. «Una ingiustizia – aggiunge – che tocchiamo con mano ogni giorno con gli ospiti delle nostre case, spesso costretti ad affrontare più volte l’anno viaggi di centinaia di chilometri e lunghe permanenze lontano da casa con pesanti conseguenze sia emotive che economiche. Tutto questo si traduce in un impatto economico notevole sulla vita dei malati e delle loro famiglie. Secondo il nostro studio il 60% degli intervistati denuncia costi alti per gli spostamenti e gli alloggi e il 58% dichiara che avrebbe avuto bisogno di prezzi calmierati».
«Inoltre, il fenomeno della migrazione sanitaria non accennerà a diminuire nei prossimi anni: il 15% di coloro che non hanno avuto bisogno di cure negli ultimi 3 anni, infatti, sceglierebbero di curarsi in un’altra regione in caso di bisogno. Tra coloro che invece hanno deciso di restare e curarsi nella propria regione, il 26% ha dichiarato di aver rinunciato a causa dei costi alti per gli spostamenti verso altre regioni».

Dare una risposta ad un fenomeno che coinvolge così tanti cittadini e le loro famiglie con la richiesta di misure specifiche è quanto chiesto dal senatore Orfeo Mazzella in una mozione presentata in data 12 febbraio 2025, non solo per sostenere i costi dei trasferimenti delle persone costrette a spostarsi dalla propria Regione ma anche per ricevere cure adeguate e per garantire loro assistenza psicologica e sociale.

«È nostro compito non solo riconoscere il problema, ma anche agire concretamente. La salute è un diritto fondamentale e non possiamo permettere che le disuguaglianze territoriali ne limitino l’accesso. La politica deve di garantire a tutti i cittadini pari opportunità in ambito sanitario», conclude Mazzella.




Malattia di Crohn, nel Lazio 2mila pazienti in terapia con biologici

ROMA – “La regione Lazio è all’avanguardia nella gestione e presa in carico delle persone con Malattia di Crohn, patologia con un alto impatto sulla qualità di vita a causa dei sintomi invalidanti, tra i quali diarrea cronica, dolori addominali e urgenza intestinale, così come delle manifestazioni cliniche e complicazioni che richiedono con alte probabilità l’ospedalizzazione e l’intervento chirurgico”. Così in una intervista video rilasciata alla Dire il professor Franco Scaldaferri, direttore Uos Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (Ibd Unit) presso la Fondazione Policlinico A. Gemelli Irccs di Roma, docente aggregato al Dipartimento di Medicina e Chirurgia traslazionale Università Cattolica Del Sacro Cuore e membro del Cemad, il Centro Malattie Apparato Digerente-Digestive Disease Center diretto dal professor Antonio Gasbarrini. “Nel Lazio- ha proseguito Scaldaferri- sono trattati con terapia biologica/innovativa oltre 2mila pazienti, di cui oltre mille al Gemelli, in costante aumento in tutte le fasce d’età”.

La malattia di Crohn è una delle principali Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (Mici) e si stima colpisca in Italia circa 100mila persone, con esordio soprattutto in età giovanile, tra i 15 e i 40 anni, sebbene possa manifestarsi a qualunque età. È associata a progressivo danno intestinale, disabilità e peggioramento della qualità di vita. Ma la recente approvazione da parte della Commissione Europea di mirikizumab, antagonista dell’interleuchina-23p19 (IL-23p19), annunciata nei giorni scorsi da Lilly, rappresenta un “importante avanzamento” nella gestione del trattamento della malattia di Crohn in fase attiva da moderata a grave nei pazienti adulti che hanno avuto una risposta inadeguata, hanno perso la risposta o sono risultati intolleranti alla terapia convenzionale o a un trattamento biologico.

Mirikizumab, che era già stato approvato nel 2024 in Italia dall’Aifa come trattamento per gli adulti con colite ulcerosa attiva da moderata a grave, agisce nel ridurre l’infiammazione del tratto gastrointestinale prendendo di mira una proteina specifica, l’interleuchina-23p19, fattore chiave dell’infiammazione intestinale nella malattia di Crohn.

“Le prospettive offerte dalla ricerca scientifica sono confortanti- ha commentato ancora alla Dire il professor Scaldaferri- È molto utile avere a disposizione un’opzione terapeutica innovativa come mirikizumab, farmaco che si è dimostrato efficace e sicuro nella gestione della malattia a lungo termine e della sintomatologia correlata”.

L’approvazione di mirikizumab da parte della CE, dunque, secondo gli esperti offre ai pazienti un “trattamento mirato in grado di migliorare significativamente la loro qualità di vita”. Molti pazienti non raggiungono la remissione completa, nonostante i trattamenti, o non mantengono la malattia sotto controllo a lungo: fino al 40% dei pazienti non risponde ai farmaci inibitori del TNF e il 50% di quelli che ottengono risultati quando iniziano il trattamento perdono i benefici nel corso del primo anno di cure.

La decisione della CE fa seguito al parere positivo del Comitato per i medicinali per uso umano (Chmp) dell’Agenzia europea per i medicinali (Ema) nel dicembre 2024 e si basa principalmente sui risultati dello studio randomizzato controllato con placebo di fase 3 Vivid-1, i cui risultati mostrano che i pazienti trattati con mirikizumab hanno riscontrato un miglioramento significativo sia della remissione clinica (54,1% vs 19,6% di pazienti trattati con placebo) sia della risposta endoscopica a un anno, con una guarigione visibile del rivestimento intestinale (48,4% vs 9% di pazienti trattati con placebo).

Mirikizumab è attualmente in fase di studio anche nel Vivid-2, che valuta l’efficacia e la sicurezza del farmaco fino a tre anni in adulti con malattia di Crohn da moderata a severa. Lo studio Vivid-2 evidenzia l’efficacia di Mirikizumab nei pazienti con due anni di trattamento continuo: tra coloro che hanno raggiunto una risposta endoscopica dopo un anno nello studio Vivid-1, oltre l’80% ha mantenuto la risposta endoscopica. Inoltre, quasi il 90% dei pazienti che ha ottenuto risposta clinica ed endoscopica dopo un anno in Vivid-1, ha mantenuto la remissione clinica nel secondo anno di trattamento nel Vivid-2.

Lo studio Vivid-1 ha inoltre messo in evidenza come il 32,5% dei pazienti trattati con mirikizumab ha ottenuto un miglioramento della risposta endoscopica a tre mesi (rispetto al 12,6% con placebo), un risultato importante nel trattamento di una patologia che ha un impatto significativo sulla vita dei pazienti. “L’estensione dell’indicazione di mirikizumab per la malattia di Crohn, dopo l’approvazione in Europa e in Italia per il trattamento della colite ulcerosa da moderata a grave nei pazienti adulti, è un “passo in avanti” secondo Questa approvazione rappresenta un’importante opportunità per migliorare la qualità di vita dei pazienti con malattia di Crohn- ha commentato Elias Khalil, presidente e amministratore delegato Italy Hub di Lilly- Il nostro impegno è quello di offrire soluzioni terapeutiche innovative e sicure, collaborando con la comunità scientifica per rispondere ai bisogni insoddisfatti di chi convive con questa patologia. Siamo convinti che mirikizumab possa contribuire in modo significativo alla gestione della malattia e al miglioramento del benessere generale dei pazienti”.




Cura del tumore al seno: all’ospedale Santa Rosa adottato un sistema magnetico, non radioattivo, che identifica i linfonodi sentinella

VITERBO – La Breast unit della Asl Viterbo compie un nuovo passo avanti nell’innovazione tecnologica al servizio della salute femminile. All’ospedale Santa Rosa è stato, infatti, adottato un sistema di ultima generazione, basato sulla tecnologia magnetica, che migliora in modo significativo due fasi fondamentali del percorso di cura del tumore al seno: la localizzazione delle lesioni non palpabili e l’identificazione del linfonodo sentinella, garantendo una localizzazione più precisa e meno invasiva delle lesioni mammarie.

“Grazie a un piccolo seme magnetico inserito direttamente nella lesione – commenta il direttore dell’unità operativa di Chirurgia senologia, Francesco Cavaliere -, i medici possono localizzare con estrema precisione anche i tumori più piccoli e non palpabili. Rispetto alle tecniche tradizionali, come il filo di repere, questa nuova modalità offre numerosi vantaggi: maggiore accuratezza, basso rischio di spostamento accidentale del dispositivo, minore disagio e dolore per la paziente, procedura più semplice e veloce, sia per il personale sanitario che per chi si sottopone all’intervento”.

Il nuovo sistema viene impiegato anche per identificare il linfonodo sentinella, il primo linfonodo in cui il tumore potrebbe diffondere. In questo caso si utilizza un tracciante magnetico, evitando completamente l’impiego di sostanze radioattive.

“Grazie a questo nuovo approccio – prosegue Cavaliere – si elimina l’esposizione a radiazioni ionizzanti, si semplifica l’organizzazione preoperatoria e si rende la procedura più confortevole e flessibile per le pazienti”.

“L’adozione di questa tecnica innovativa – aggiunge la responsabile della Breast unit della Asl di Viterbo, Agnese Fabbri – consente al nostro Centro di senologia di consolidare le posizioni di avanguardia, già acquisite e riconosciute a livello nazionale, garantendo sempre maggiori vantaggi per le nostre pazienti. Uno dei punti di forza della Breast è l’apporto multidisciplinare di numerosi professionisti che lavorano insieme, per il benessere della donna. Nel caso specifico, l’obiettivo raggiunto è frutto anche della professionalità messa in campo dalla nostra Radiologia senologica, in particolare dal dottor Alessandro Chizi”.

“Con l’introduzione di questa tecnologia all’avanguardia – conclude il direttore generale della Asl di Viterbo, Egisto Bianconi – la nostra azienda conferma il proprio impegno nel garantire cure oncologiche sempre più sicure, efficaci e rispettose della qualità di vita delle donne. Innovazione, attenzione al benessere della paziente e aggiornamento continuo delle pratiche cliniche sono i cardini di un’assistenza sempre più moderna e umana”.




La Asl di Viterbo oggi al Giubileo degli ammalati e del mondo della sanità insieme a Papa Francesco

Questa mattina, nell’ambito del Giubileo degli ammalati e del mondo della sanità è stata celebrata una Santa Messa presso il sagrato della basilica di San Pietro. Il presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, accogliendo con gratitudine l’invito di Sua Eccellenza monsignor Rino Fisichella, delegato da Papa Francesco all’organizzazione dell’anno giubilare, a sua volta ha inteso estendere l’invito a tutti gli operatori del servizio sanitario regionale.

La Asl di Viterbo, guidata dal direttore generale, Egisto Bianconi, è stata presente a questa giornata straordinaria, con una delegazione di circa 150 persone. Tra loro gli operatori della sanità, i loro cari, e i rappresentanti delle associazioni e degli ordini professionali.

Molti sono giunti in Vaticano con le loro divise e con i loro camici. Inattesa e, per questo, ancora più emozionante, è stata la visita in piazza di Papa Francesco che ha voluto essere presente per salutare i pellegrini e gli operatori del mondo della sanità.

Tanti i sentimenti di commozione e di gratitudine che tutti i presenti hanno condiviso tra loro. E sono le parole di una operatrice sanitaria, Maria Cristina Menichelli, coordinatrice infermieristica dell’ospedale di Civita Castellana, a sintetizzarli al meglio.

“È stata una bellissima esperienza – commenta Maria Cristina Menichelli – quella che oggi abbiamo vissuto. Un momento di condivisione, di preghiera e di emozione immensa, soprattutto quando il Santo Padre malato si è mostrato in tutta la sua fragilità. Questa esperienza ci ricorda chi siamo e il contributo che, ogni giorno, offriamo alla nostra comunità”.