Critica la posizione di Confartigianato sul ventilato intervento pubblico in materia salariale

Salario minimo, Del Moro: “Improponibile l’introduzione legale, sì alla contrattazione”
Sì alla contrattazione collettiva, no al salario minimo per legge. Confartigianato critica fortemente il ventilato intervento pubblico vincolante in materia salariale, che, secondo la Confederazione “compromette il delicato equilibrio fra retribuzione, tutele contrattuali e competitività delle imprese che in Italia è garantito da oltre 70 anni da una contrattazione di qualità, estremamente diffusa, con un livello di copertura che non ha nessun altro Paese europeo”. Secondo un recente studio di Adapt, infatti, sui quasi mille CCNL depositati al Cnel meno della metà risulta effettivamente applicata, e i soli CCNL sottoscritti da Cgil, Cisl e Uil coprono il 97% dei lavoratori.
“L’introduzione di un salario minimo legale è improponibile – commenta Michael Del Moro, presidente di Confartigianato Imprese di Viterbo, riprendendo la linea nazionale -. Se, infatti, fosse inferiore a quello stabilito dai contratti collettivi ne provocherebbe la disapplicazione, mentre se fosse più alto provocherebbe uno squilibrio nella rinegoziazione degli aumenti salariali con incrementi del costo del lavoro non giustificati dall’andamento dell’azienda o del settore”.
Per Confartigianato l’unica strada per evitare le distorsioni è la contrattazione collettiva. “Ci garantisce già condizioni e strumenti per sostenere i redditi e individuare modalità per migliorare la produttività – continua Del Moro -. Il salario minimo eliminerebbe la negoziazione tra le parti sociali e a rischio ci sarebbero anche le tutele collettive e i sistemi di welfare integrativi. Nell’artigianato e nelle piccole imprese la contrattazione collettiva ha consentito di individuare soluzioni su misura per le esigenze organizzative e di flessibilità di imprese appartenenti a settori e con mercati spesso estremamente diversi fra di loro – conclude -, assicurando, nel contempo, importanti tutele collettive ai lavoratori, anche attraverso il proprio consolidato sistema di bilateralità”.
L’introduzione del salario minimo in Italia, diversamente a quello che si vorrebbe far credere, potrebbe portare alla riduzione delle tutele contrattuali dei lavoratori e, per quanto concerne i working poor, avrebbe l’effetto di marginalizzare anche i lavoratori a basso salario relegandoli, nella migliore delle ipotesi, a percepire solo il minimo senza ulteriori tutele, e, nella peggiore, a trasformarli in disoccupati o in lavoratori in nero. Il tema della crescita dei salari in Italia resta invece fortemente legato a quello della crescita del PIL, rimasta al palo a causa delle gravi inefficienze strutturali del nostro Paese, dell’elevato costo del lavoro, del gap di competitività con le imprese di altri Stati determinato, ad esempio, dal superiore costo dell’energia, dalle politiche di rigorosa austerity che hanno portato ad una consistente riduzione della buona spesa pubblica e degli investimenti pubblici.
Viterbo, 10 giugno 2022

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