Da oggi 7 dicembre, mostra “La Via Lattea. Declinazioni di bianco nel XX secolo”

ROMA – Apre oggi al pubblico la mostra La Via Lattea. Declinazioni del bianco nel XX secolo, (fino al 16 marzo 2025) a Villa d’Este a Tivoli.

L’esposizione – con importanti prestiti dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna (GNAM), dalla Collezione Intesa San Paolo, Collezione Famiglia Mazzoli, Collezione Fioravanti Meoni, Fondazione Piero Manzoni, Galleria Mazzoli, Repetto Gallery e Sergio Casoli – intende indagare il concetto di bianco all’interno della produzione artistica del Novecento, proponendo un dialogo inedito tra la contemporaneità e il codice classico, inserendo la disamina all’interno di quei segni che caratterizzano la città di Tivoli e la sua storia: dall’ambiente monocromo dei marmi statuari dei Mouseia di Villa Adriana alle cave esauste di travertino fino alle acque albule, con i sedimenti calcarei e il loro biancore che sembrano caratterizzare un paesaggio millenario nelle istanze della contemporaneità.

Organizzata dall’Istituto Autonomo Villa Adriana e Villa d’Este – VILLÆ e curata da Andrea Bruciati, Direttore dell’Istituto, il progetto espositivo elegge a protagonista la tabula rasa intesa come azzeramento, ma anche come pagina su cui riscrivere le ricerche artistiche del XX secolo – dall’astrattismo allo spazialismo, dall’arte povera e concettuale alla performance -, in cui il monocromo si configura sia come codice di riduzione e annientamento della soggettività, sia come spazio aperto che vive delle sensazioni del fruitore dell’opera.

Grado zero del colore e del gesto creativo, grazie a nomi quali Lucio Fontana, Piero Manzoni e Alberto Burri, il bianco è diventato manifesto di nuove riflessioni artistiche, in particolare nel panorama italiano.

In mostra a Villa d’Este le opere di Stefano Arienti (Asola, 1961), Gianfranco Baruchello (Livorno, 1924 – Roma 2023), Mirella Bentivoglio (Klagenfurt, 1922 – Roma, 2017), Carlo Benvenuto (Stresa, 1966), Alighiero Boetti (Torino, 1940 – Roma, 1994), Agostino Bonalumi (Vimercate, 1935 – Desio, 2013), James Lee Byars (Detroit, 1932 – Il Cairo, 1997), Vanessa Beecroft (1969, Genova), Antonio Calderara (Abbiategrasso, 1903 – Lago d’Orta, 1978), Pier Paolo Calzolari (Bologna, 1943), Giuseppe Capogrossi (Roma, 1900 – Roma, 1972) Enrico Castellani (Castelmassa, 1930 – Viterbo, 2017), Mario Ceroli ( Castelfrentano, 1938), Mario Dellavedova (Legnano, 1958), Lucio Fontana (Rosario,1899 – Comabbio 1968), Mario Giacomelli (Senigallia, 1925 – 2000), Alberto Giacometti (Borgonovo, Bregaglia, Svizzera, 1901 – Coira, Svizzera, 1966), Francesco Lo Savio (Roma, 1935 – Marsiglia 1963), Piero Manzoni (Soncino, 1933 – Milano 1963), Marino Marini (Pistoia, 1901 – Viareggio, 1980), Fausto Melotti (Rovereto, 1901 – Milano 1986), Bruno Munari (Milano, 1907 – 1998), Gastone Novelli (1925, Vienna, Austria – 1968, Milano), Gina Pane (Biarritz, 1939 – Parigi 1990), Giulio Paolini (Genova, 1940), Emilio Prini (Stresa, 1943 – Roma, 2016), Angelo Savelli (1911, Pizzo – 1995, Brescia), Arcangelo Sassolino (Vicenza, 1967), Sissi (Bologna, 1977) e Kiki Smith (Norimberga, 1954).

Attraverso le opere esposte e il costante rimando paesaggistico e statuario, il percorso espositivo racconta come il bianco sia sempre stato capace di ergersi a superficie per un nuovo alfabeto, tanto da arrivare ad acquisire una completa autonomia ed essere considerato opera d’arte tout court .

Sebbene nel corso dei secoli abbia antropologicamente assunto significati simbolici spesso ambivalenti – pulizia, purezza e religiosità, ma anche lutto, morte e malvagità -, le teorie del colore del XX secolo hanno dibattuto su come considerarlo: se racconto come colore o piuttosto come un vuoto , un’assenza. Così la conquista al concetto di monocromo lo ha portato, nel Novecento, a risultare una vera e propria cifra connotativa.

“Dagli insegnamenti di Winckelmann, che anelava a una classicità acroma e idealizzata, all’assoluto rivoluzionario del Quadrato bianco su fondo bianco di Kasimir Malevic (1918), si assiste a un itinerario che elimina ogni contaminazione con la realtà – dichiara Andrea Bruciati direttore dall ‘Istituto Autonomo Villa Adriana e Villa d’Este – VILLÆ -; in Italia questa filiazione con un classico inteso come accademia è il grande banco di prova dove si sono confrontanti i maestri del XX secolo, che hanno contribuito a rompere questa assolutezza, innervandola di fratture, pieghe, infiltrazioni, una porosità che tanto sembra essere vicina alla componente calcarea, calda e imperfetta del territorio dell’antica Tibur. Il progetto intende infatti registrare questa continua corruttibilità di un codice inteso come atemporale e fisso, per accoglierne un’idea fenomenologica, declinata in maniera spuria, dietro cui si cela la tensione verso un’utopia che rimane, in quanto racconto, irraggiungibile” .

La mostra circoscrive la sua indagine alla costante presenza e variazione del concetto di bianco, aprendo un campo di riflessione sulla pittura e il suo destino.

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