Dalla clava alla moneta digitale

di ALESSIO FUMAROLA-

In questo articolo voglio fare un piccolo viaggio nella linfa vitale del sistema economico. La moneta/valuta/criptovaluta è solo l’evoluzione dell’oro. Prima ancora dell’oro c’era il semplice baratto e prima ancora, agli albori di ciò che ora chiamiamo la “cacca del diavolo”, c’era la sopravvivenza, il procacciarsi ciò che è necessario a soddisfare i propri bisogni primari.

La sopravvivenza non è solo una realtà lontana. Tutt’ora, convinti survivalisti vivono una vita soddisfacente. Finché esisterà la sfiducia verso il sistema monetario, esisterà chi ne vuole stare completamente fuori.

Anche il baratto è un sistema tutt’ora esistente. A Oviedo, in Spagna, a seguito della crisi del 2008, un ragazzo di nome Sergio Martin ha creato un mercato del baratto sperimentale (la Barter Community) dove i membri della comunità possono scambiare beni e servizi senza l’uso dei soldi.

In un sistema di baratto, ovviamente, sono molte le limitazioni rispetto ad un sistema monetario. Ha però il vantaggio di saper stimolare una sana creatività nell’uso delle proprie capacità del dare/ricevere. In un sistema monetario, l’empatia umana necessaria a crearsi profitto e sussistenza viene tanto più atrofizzata quanto più si vuole ridurre il rischio corso per ottenere il denaro desiderato. Se quest’ultima frase sembra complicata, rifletteteci qualche secondo di più; nasconde una grande verità.

Detto questo, siamo tutti d’accordo che dovremmo lasciare il sistema di baratto ai mercatini e alle piccole/medie comunità. Basta un po’ di onestà intellettuale e buon senso per capire che un sistema simile non risulterebbe affatto efficiente su larga scala (senza considerare le necessità di efficienza ancor più complessa data dalla globalizzazione); un mercato è tanto più efficiente quanto più le due controparti (acquirente e venditore) hanno facilità ad incontrarsi ed attuare la compravendita (il che dovrebbe far riflettere sulla recente decisione della Consob di vietare le vendite allo scoperto sul mercato italiano, ma questo è un altro discorso).

Nasce quindi l’esigenza di rendere più efficiente il mercato rispetto ad un sistema basato sul baratto. Serve un oggetto che tutti vogliono e che abbia un valore intrinseco stabile e comune a quante più persone possibili. E cos’è che ha sempre attirato l’uomo dall’alba dei tempi e che può svolgere adeguatamente a questo obbiettivo di efficienza?

L’oro!

Il denaro contante è comodo come mezzo di scambio, ma perde valore nel tempo proprio perché l’origine del suo valore è estrinseco.

“L’oro ha più di 4.000 anni di storia. Gli economisti definiscono ‘parità di potere d’acquisto’ questo processo: se compravi 30 grammi d’oro ai tempi di Gesù Cristo potevi comprarti degli abiti. Con 30 grammi ai tempi di Enrico VIII compravi un’armatura. 30 grammi al giorno d’oggi valgono 1.300 dollari. Il suo valore è immutato; puoi comprare la stessa cosa nel corso della storia. Per il denaro contante non è così. […] Nel corso della storia dovevamo dare valore ad un elemento che fosse affidabile, e ai lati opposti del mondo si è giunti alla stessa conclusione. Marco Polo, nel 1200 d.C, è andato dall’Europa (dove la moneta di scambio era l’oro) fino in Cina e Giappone (dove la moneta di scambio era l’oro). Lo stesso in Sud America 1.000 anni fa. In tutto il mondo, anche comunità isolate, usavano lo stesso elemento: l’oro.” (Ross Norman – CEO Sharps Pixley)

Ma allora perché il sistema aureo non viene più utilizzato?

Nel 1900 l’utilizzo del denaro come moneta di scambio affidabile fu dato dall’ufficializzazione di un tasso di cambio diretto con l’oro. Fu dichiarato che ogni banconota equivalesse ad un certo quantitativo del metallo, per cui lo Stato che stampava la moneta garantiva che potesse essere scambiato con il corrispettivo valore di oro detenuto presso le riserve del Tesoro dello Stato.

Dall’oro si è quindi passato a nient’altro che ad una cambiale a fiducia di un ente, e tale cambiale aveva un valore fissato con quello dell’oro.

Quindi, dal 1900, i cittadini non erano più costretti a trasportare pesanti monete e lingotti. Il sistema aureo statunitense manteneva bassa l’inflazione perché, essendo legato direttamente all’oro, il dollaro era la moneta di riferimento a cui erano legati con cambi fissi tutte le altre monete. Ciò gli permetteva di non avere alcun vincolo di bilancia dei pagamenti perché era usata come moneta di riserva da tutti gli altri paesi, permettendo al Tesoro americano di stampare dollari liberamente e senza vincoli.

Il risultato fu un’enorme prosperità grazie anche alla facilità di commercio con i paesi stranieri… fino alla Grande Depressione.

La difficoltà a risollevarsi dalla crisi del ’29 ci fu perché la Federal Reserve non riusciva più a garantire la riserva di quantità d’oro necessaria per stampare altre banconote e ravvivare l’economia. Per questo motivo, nel 1971, Nixon mise fine alla convertibilità del dollaro in oro.

“Ora il nostro sistema monetario non è più basato sui beni. Abbiamo la ‘moneta a corso legale’ (fiat money); lo Stato non solo stampa moneta, ma ne stabilisce anche il valore. Se prendi una banconota da un dollaro si può notare la scritta ‘this note is legal tender for all debts, public and private’. In pratica il governo giura che puoi usare quella banconota per pagare le tasse. […] E’ un sistema basato sulla fiducia. […] Devi accettare il fatto che questo concetto astratto abbia un valore che possa essere usato per commerciare. […] Può esserci la tentazione di stampare moneta a volontà per saldare tutti i debiti, ma se ne abusi il mercato prima o poi se ne accorge, e se questo succede la gente scappa con i soldi nel più lontano rifugio disponibile [per esempio l’oro oppure, nell’attuale caso europeo, le obbligazioni tedesche].” (Austan Goolsbee – Economista)

Rimane comunque palese che fidarsi delle istituzioni sia più facile che portarsi dietro una mucca o delle monete d’oro e d’argento. Ci si potrebbe chiedere… è possibile riporre la propria fiducia in qualcos’altro? Esiste un’alternativa che non sia legata a decreti governativi o banche?

Sapete già la risposta: la moneta digitale.

La criptovaluta è denaro elettronico che può essere spostato in modo decentralizzato, slegato da un’istituzione ed un sistema di fiducia perché l’intero sistema di ‘stampa della moneta’ avviene tramite il processo di mining di supercomputer fisici, ed il sistema di regolazione si regge online in modo autosufficiente. “E’ valido per tutti allo stesso modo e non richiede più dei mediatori per effettuare le transazioni. […] Se ci pensi, la generazione dei millennial vivono in un mondo post 11 settembre sempre più orwelliano… quelli della nostra età non si fidano più del governo e delle banche.” (Jeremy Gardner – Crypto Castle)

Quello che rende estremamente sicuro questo sistema monetario digitale è che per decodificare la chiave del portafoglio di un proprietario (le combinazioni possibili superano il numero di particelle nell’universo) sarebbero necessari l’energia di due Soli e 2 miliardi di anni di tempo.

Ma come nasce una criptovaluta? “In realtà non è difficile. Devi solo emettere un codice che la gente possa usare. Basta creare un’app per gli utenti e, se in tanti la useranno, si creerà una rete.” (Jackson Palmer – Dogecoin Co-Founder)

Una cosa interessante delle criptovalute è che la quantità di moneta che può essere creata tramite mining è limitata, quindi al momento nessuno sa veramente cosa accadrà quando verranno estratte tutte.

In ogni caso, la criptovaluta non potrà essere utilizzata stabilmente in un’economia globale finché le loro quotazioni continueranno ad avere oscillazioni tanto ampie e volatili.

Le persone, col proprio denaro, confidano che altre persone credano nella stessa valuta. E’ una catena ininterrotta basata sulla fiducia.

Di cosa dovremmo fidarci, quindi? Del governo…? Di un metallo luccicante…? Di un codice informatico…? O niente di tutto ciò?

Quale che sia la risposta, vorrei sottolineare come fiducia e sopravvivenza siano due concetti strettamente legati (almeno per quanto concerne la storia evolutiva dell’essere umano). Quando la fiducia viene a mancare, è inevitabile dover accettare la conseguenza di cavarcela da soli.

Ma visto che da soli ci sentiamo più deboli e impauriti, è lecito chiedersi che qualità e natura ha il sentimento di fiducia nel rapporto tra uomo e sistema (di ogni tipo di relazione, in realtà; anche quella con noi stessi).

Il sistema, in fondo, è un insieme di istituzioni su cui porre ragionevole fiducia del fatto che siano in grado di gestire i nostri istinti (non individuali, ma collettivi) e permettere una capacità di sopravvivenza maggiore di quanto non avremmo stando soli e disuniti.

Il problema (se di problema si parla) non sta nell’esistenza del sistema, ma nella qualità della fiducia che riponiamo in esso e negli individui che lo compongono.

Capendo la qualità di questi sentimenti capiremo la qualità del nostro sistema e della società in cui viviamo; se la maggior parte degli individui avrà paura della solitudine in mezzo al mondo, il sistema non potrà far altro che assumere la qualità della paura, diventando necessariamente più rigida e restrittiva.

Allora, quale qualità dovranno avere i nostri sentimenti affinché si alimenti un sistema flessibile e davvero libero?

Stare soli nel mondo non può non generare paura; la paura di morire è un sentimento ancestrale. E quindi, la fiducia dell’essere umano (e il sistema e le relazioni che ne derivano) potrebbe mai avere una qualità diversa da quella che deriva dalla paura di morire?

(FONTE: https://lacittanews.it/dalla-clava-alla-moneta-digitale/)

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