D’Annunzio: l’individuo di eccezione

Riceviamo da Biagio Lauritano e pubblichiamo: “D’Annunzio fu lo sperimentatore per eccellenza di una poetica elegante ed onnivora in quel periodo di crisi di contenuti e forme, il Decadentismo, che in Italia non vedeva la nascita di una autore che potesse accogliere gli spunti offerti dall’avanguardia europea a causa della notevole influenza della cultura classica. Poeta e scrittore comunque sperimentatore seppe conciliare le esigenze di un passato cristallizzato con la volontà di dire tutto affidandosi all’estro del momento, a ciò che gli dettava l’intuizione mescolando la ricchezza delle scelte linguistiche alla varietà degli schemi metrici e superando mirabilmente la metrica barbara carducciana, troppo retorica e banale, incapace quindi di cogliere la realtà nella parola. D’Annunzio seppe cogliere la novità nella banalità, il bello assoluto nelle cose futili affidandosi unicamente alle sensazioni che, pur non potendo rappresentare la garanzia di concetti destinati a fissarsi e a permanere nell’animo del lettore, spingevano questi a godere dell’attimo per passare in rassegna tutte le esperienze della propria esistenza, il tutto all’insegna di un virtuosismo estetico: ecco la concezione di D’Annunzio del superuomo nietzschiano. Virtuosismo estetico e stile di vita furono per lui complementari; il vivere inimitabile rimase a lungo la base della poetica di D’Annunzio finendo poi per rivelare il paradosso dell’eroe decadente. Infatti alla vita concepita come un’opera d’arte che vedeva D’Annunzio ergersi sulle masse corrispose alla fine l’immagine della morte come si evince dall’ultimo capitolo del Piacere. In effetti ciò era scontato fin dall’inizio poiché l’eroe dannunziano ovvero l’esteta, vivendo unicamente di sensazioni, finiva col proiettarsi sui minimi dettagli della vita quotidiana non potendo più controllare lo scorrere degli eventi come era accaduto nell’Ottocento. Eroe decadente, D’Annunzio, che rivelava perciò la precarietà della vita, gioco ambiguo ed ingannevole delle sensazioni il cui senso non veniva mai alla luce come ne La sera fiesolana. Poeta vate, forse faremmo meglio a dire improvvisatore, che in tutto ciò ebbe la brillante idea di connettere la logica del panismo al quella dell’uso dei nascenti mass-media per piegare questi ultimi alle proprie esigenze comunicative in una società di massa che altrimenti lo avrebbe reso un alienato”.

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