Ddl Lavoro: FIMAA, su atti compravendita immobiliare indicare estremi fattura

ROMA – Riscrivere la norma che impone di riportare, sugli atti di compravendita immobiliare, il compenso percepito dall’agente immobiliare, sostituendolo con gli estremi della fattura emessa. In questo modo si garantirebbe maggiore privacy al mediatore, si riconoscerebbe piena libertà contrattuale anche ai consumatori, ma soprattutto si contrasterebbe in maniera più efficace l’evasione fiscale. È la proposta che ha avanzato la FIMAA – Federazione Italiana Mediatori Agenti d’Affari – intervenendo oggi in audizione sul Ddl Lavoro di fronte alla Commissione Lavoro della Camera dei deputati.

“L’obbligo di indicare la cifra del compenso percepito dall’agente immobiliare e le modalità di pagamento – ha spiegato Maurizio Pezzetta, vicepresidente vicario della Federazione – è stato introdotto con il decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223. All’epoca si riteneva che permettesse di contrastare in maniera più efficace l’evasione fiscale. Sono tuttavia passati quasi vent’anni, e questa misura è ormai anacronistica”.

Secondo la FIMAA, infatti, inserendo gli estremi della fattura elettronica nell’atto notarile si garantisce una maggiore tracciabilità del pagamento e si consente agli organi preposti di effettuare verifiche più puntuali ed immediate. “Oggi l’Agenzia delle Entrate – ha spiegato ancora Pezzetta – grazie agli sviluppi tecnologici e digitali, può ricorrere a nuovi strumenti per effettuare ogni tipo di controllo. Primo fra tutti, appunto, la fattura elettronica, grazie alla quale l’Agenzia può verificare tempestivamente dati come imponibile, IVA ed eventuali ritenute d’acconto. E può farlo senza ledere la privacy del professionista e l’autonomia contrattuale con i cittadini”. “Inoltre”, ha aggiunto il Vicepresidente Pezzetta “l’indicazione degli estremi della fattura in atto pubblico garantirebbero un più efficace contrasto all’abusivismo, con conseguente emersione del sommerso”.

Indicando l’importo – come prevede attualmente la legge – vengono infatti resi noti dati economici oggettivamente sensibili, la cui pubblicità può incidere negativamente sull’attività di intermediazione. In questo modo, nella vendita di un immobile le parti contraenti vengono a conoscenza del compenso che viene versato reciprocamente al mediatore. “Questa eventualità – ha sottolineato il vicepresidente vicario di FIMAA – può penalizzare la libera contrattazione tra cliente e professionista, opportuna per la conclusione dell’affare, e può tradursi quindi in un danno anche per il consumatore”.

Questa previsione contrasta inoltre con la disciplina in materia di privacy e in particolare con il principio di minimizzazione dei dati personali enunciato dal GDPR, in base al quale il trattamento dei dati personali deve avvenire in modo adeguato, pertinente e limitato a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati. “L’indicazione del compenso corrisposto su un atto pubblico violerebbe tale disposizione consentendo a chiunque, in via potenziale, di entrare in possesso di dati sensibili. Aggregando le informazioni sui fatturati – ha concluso Pezzetta – sarebbe addirittura possibile ricostruire la situazione patrimoniale del mediatore”.

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