Delfino Santaniello, il ricordo di don Gianni Carparelli

VITERBO – Riceviamo da don Gianni Carparelli e pubblichiamo: “Delfino Santaniello. E’ già un anno che ci ha lasciati. Il 26 novembre 2022 iniziò la sua ultima battaglia e il 6 dicembre alle 19:00 è andato per altri sentieri. Io lo seppi giorni dopo dai Media e ora vorrei condividere il mio ricordo grato per una persona di grande spessore culturale e di alto livello etico-morale. Rara avis, da un verso di Giovenale: “Rara avis in terris, nigroque simillima cygno”, rara quasi come un cigno nero. Sapeva vivere in maniera creativa e intelligente quello che spesso applichiamo e imponiamo con la freddezza giuridica di chi vive abbagliato dalle formalità e non dalla vita delle persone. Anche di quelle che non si conformano. E questo lo vediamo di frequente, non solo nel mondo giuridico detto civile e laico. C’è una obbedienza che disobbedisce alla verità e una disobbedienza che mette in luce cammini più civili. Sapersi muovere con rispetto dentro queste acque non sempre tranquille era una dote di Delfino ed era un piacere non solo intellettuale trattare con lui. Io ho avuto questa fortuna e negli anni di piombo, a Viterbo. Frequentavo spesso il suo ufficio in Via Saffi e quanti segreti di persone ci siamo scambiati in quei dialoghi, dove lo scopo era non solo proteggere le leggi, ma soprattutto aprire cammini nuovi per persone a volte un po’ confuse. Prima parlavamo della persona e poi di cosa si poteva fare per aiutarle e non abbandonarle solo nelle mani della “giustizia” non sempre giusta. Ricordo una situazione. Alcuni giovani mi avevano riferito di aver paura perché a casa tenevano delle armi… ricordate il periodo del terrorismo? Con la ingenuità di chi si sente libero dissi: “portatele a me e poi vedrò”. Andai invece da loro, di mattina quando andavano a scuola (era il momento più sicuro) e misi in macchina, coperta da libri e giornali, una grossa scatola con dentro… ‘non c’erano scarponi’. Telefonai a Delfino. “dovrei vederti per una cosa riservata”… e ci incontrammo non lontano da casa sua, su via Cattaneo. E gli raccontai la storia. Mi guardò e disse: “Ma tu sei matto…! Se ti fermano sei nei guai”. Prendemmo un caffè poi disse: “lascia fare a me… ci penso io. Tanto, se ti chiedo chi ti ha dato queste cose non me lo diresti, anche se ti fidi di me. Io so come fare, non debbo dimostrare nulla a nessuno. Mi raccomando, dì a questi irresponsabili, di non fare stupidaggini e di stare calmi”. Quei giovani, passata la bufera, si sono poi inseriti bene nella vita sociale, hanno famiglia e sono nonni. Non abbiamo le stesse idee, diciamo, politiche, ma c’è rispetto reciproco e scambio di idee. Riflettendo alla sua saggezza ricordo una battuta nata in un rapporto sincero e anche pieno di umorismo. Una volta mi disse: “guarda che quando morirò non voglio nessuna cerimonia religiosa” e io risposi ridendo: “Non ti preoccupare. Tu pensa a morire al resto ci pensiamo noi”. Ne sono poi passati di anni. Mi è dispiaciuto, alla sua morte, non essere stato presente al rito civile e solo perché non lo sapevo. Sarei andato e gli avrei detto: “Se un paradiso c’è, tu sei già lì”. Perché quello è il luogo dei giusti che hanno vissuto le ricchezze del Vangelo anche senza farsi il segno della Croce. Grazie Delfino”.

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