E le stelle stanno a guardare fra arte, letteratura e canzoni dedicate agli astri più amati, protagonisti delle notti d’agosto

di ANNA MARIA STEFANINI –

VITERBO – Perché la nostra galassia è stata denominata “Via Lattea” (Via Lactea in latino)?
È chiamata così per antonomasia, poiché “galassia” deriva dal greco, infatti “latte” in greco si dice “gàla”, trasformato poi dal latino tardo in “galaxias”.
“Per Pitagora le anime sono popolo di sogni che, egli dice, si riuniscono nella Via Lattea, così chiamata dalle anime che, quando giungono nella generazione, si nutrono di latte. Per questo, chi evoca le anime offre libagioni di miele mescolato a latte: perché richiamate dal piacere, esse giungono alla generazione, e il latte compare naturalmente insieme al loro concepimento.”
(Porfirio)

Il 10 agosto è appena trascorso, ma ancora si spera che le perseidi possano esaudire i nostri desideri. Ecco allora alcune celebri poesie sulle stelle: da Leopardi a Rilke; ogni voce poetica ha raccontato le stelle a modo proprio, scoprendo, nella vastità del firmamento stellato, un’ispirazione sconosciuta collegata con il più segreto e intimo sentire dell’animo e del cuore umano. Di verso in verso le stelle assumono le sembianze di un desiderio, di un rimpianto, di un mistero, di una speranza o della redenzione.

Nella trama che ci regalano specialmente ad agosto i cieli stellati si iscrivono le traiettorie oscure del destino e ci sentiamo piccoli dinnanzi all’Infinito.
Nella traiettoria delle stelle cadenti, l’uomo scopre il mistero della propria mortalità e ne chiede ragione all’eterna infinitezza del cielo. Partiamo dal X agosto.

Nella celeberrima lirica pascoliana, le stelle non assumono la forma di un desiderio, ma di un rimpianto. Il poeta infatti sta rievocando una data precisa, il 10 agosto 1867, quando il padre, Ruggero, venne ucciso in un agguato mentre tornava da Cesena a bordo del suo calesse. La Notte di San Lorenzo da Pascoli fu sempre vissuta come una rievocazione del trauma che aveva spezzato la sua infanzia. X agosto si concentra proprio sul senso di caduta: cadono le stelle, così come cade la rondine tra le spine, lasciando purtroppo i suoi rondinini senza cibo. Nella lirica è il buio a predominare sulla luce, l’assenza di speranza. “E le stelle stanno a guardare” come in un famoso romanzo: le stelle diventano polverio, promessa e disperazione. Nella lirica il poeta collega la Via Lattea a un’immagine di serenità e affetto domestico.

La poesia X agosto ha legato per sempre il nome di Pascoli alla notte di San Lorenzo; ma non fu il Fanciullino il solo a cantare le stelle. Troviamo il mistero delle stelle cadenti nella Divina Commedia di Dante, nelle parole d’amore di Shakespeare, nella riflessione metafisica di Leopardi, nella solitudine di Ungaretti, nell’ironia sagace di Trilussa e poi ancora in Rilke, Merini e Szymborska.
I poeti hanno cantato le stelle poiché le hanno contemplate a lungo cercando di coglierne il mistero, si sono persi nella loro luce tentando di afferrare un passato lontano e un futuro vicino; ogni uomo è attratto dalla luce delle stelle e sembra perdersi in quei lumi, guida nella notte scura, cercando risposte al buio dell’esistenza.

Il fenomeno delle stelle cadenti viene citato da Dante nella Divina Commedia, in particolare nel IV Canto del Purgatorio quando, riferendosi alle anime, le paragona alle stelle nella notte d’agosto, perché piovono su di lui chiedendo di essere ricordate ai viventi: scoprono che Dante è vivo perché proietta un’ombra e quindi lo assediano. Sono le anime dei “morti per forza”, coloro che hanno fatto una fine violenta senza poter chiedere perdono per i propri peccati.

“Vapori accesi non vid’io sì tosto
di prima notte mai fender sereno,
né, sol calando, nuvole d’agosto,
che color non tornasser suso in meno;
e, giunti là, con li altri a noi dier volta
come schiera che scorre sanza freno.”

Ritroviamo l’immagine delle stelle cadenti anche nel Paradiso, nel Canto XV, all’apparizione dell’avo Cacciaguida. Uno dei lumi dei Beati infatti si muove come una stella cadente che attraversa il cielo prima di manifestarsi davanti al Poeta.

“Quale per li seren tranquilli e puri
discorre ad ora ad or subito foco,
movendo li occhi che stavan sicuri,
e pare stella che tramuti loco,
se non che da la parte ond’e’ s’accende
nulla sen perde, ed esso dura poco.”

Le stelle sono un autentico faro guida nella Divina Commedia, una sorta di mappa designata, simbolo di redenzione e luce, come testimonia anche il finale trionfale che segna l’uscita di Dante e Virgilio dall’Inferno: “E quindi uscimmo a riveder le stelle” che trova il proprio significante parallelo nel finale del Paradiso: “L’amor che move il sole e le altre stelle”, emblema della perfezione divina, mistero eterno della vita e dell’universo. Il sole è la stella che ci dà la vita e illumina la povera Terra.

Un altro poeta delle stelle è stato Shakespeare, che ne parla in Romeo e Giulietta come emblema dell’amore: “un lampo che finisce nelle notti d’estate”, dice Romeo alla sua amata, una metafora che ricorda le stelle cadenti. L’amore tra i due giovani amanti viene descritto simile al lampo fugace e luminoso di una stella cadente, una perseide nel mare della solitudine.

“Buona notte, mio amore!
Questo germoglio d’amore che si apre al mite vento dell’estate,
sarà uno splendido fiore quando ci rivedremo ancora.”
La definizione era ribadita da Shakespeare nel prologo in questi termini:

“Così è amore, e non è amore ciò che così non è: potere a cui niente può opporsi, neanche il tempo, cui l’amore occorre assai di più di quanto all’amore occorra il tempo.”

“Delle sere io solea passar gran parte
Mirando il cielo, ed ascoltando il canto
Della rana rimota alla campagna!
E la lucciola errava appo le siepi
E in su l’aiuole, susurrando al vento
I viali odorati, ed i cipressi
Là nella selva; e sotto al patrio tetto
Sonavan voci alterne, e le tranquille
Opre de’ servi. E che pensieri immensi,
Che dolci sogni mi spirò la vista
Di quel lontano mar, quei monti azzurri,
Che di qua scopro, e che varcare un giorno
Io mi pensava, arcani mondi, arcana
Felicità fingendo al viver mio!”

Nelle Ricordanze (1829) Leopardi cita le Vaghe Stelle dell’Orsa come illustri spettatrici della sua infanzia e giovinezza e testimoni delle sue illusioni perdute. Diventano anche delle compagne, delle rassicuranti ascoltatrici dei sogni del poeta. Le “vaghe stelle dell’Orsa” illuminavano con il loro bagliore rassicurante il giardino di casa Leopardi. La contemplazione delle stelle era un’attività cara al poeta dell’Infinito che nel finale del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia sogna di avere le ali per “volar sulle nubi e noverar le stelle una ad una”.

“Tre pianeti su l’azzurro gorgo,
tre finestre lungo il fiume oscuro;
sette case nel tacito borgo,
sette Pleiadi un poco più su.
mi elargisci una luce
che la disperazione in me
non fa che acuire.”

Nella stella di Ungaretti è racchiusa, al contempo, un’angoscia e una speranza. Scritta presumibilmente nel 1866 questa poesia appartiene alla stagione dell’ultimo Ungaretti e alla sua riflessione sul tempo: l’eterna luce della stella si oppone al tempo breve dell’uomo, questa dicotomia è sancita dall’apostrofe alla stella “non finirai mai di illuminare”.
Stelle

“Le prime stelle” di Rainer Maria Rilke
“Ardono i vetri sulla casa muta.
Tutto il giardino è un olezzar di rose
Alta distende sull’etere fermo,
tra i larghi abissi delle nubi bianche,
l’ali, la Sera.

Una squilla si versa sulle aiuole,
limpida voce di mondi celesti.
Furtiva, sulle pallide betulle
colme di sussurrìi, veggo la Notte
che accende lenta nello scialbo azzurro
le prime stelle.”

Ne ‘Le prime stelle” il poeta tedesco Rainer Maria Rilke descrive la traiettoria dell’animo che si lancia in una ricerca di senso possibile. Nei versi di Rilke sovente l’immensità dell’animo umano si trasfigura nel cielo e la sua ricerca di infinito è data dalla “misura delle stelle”.

“Cercavo te nelle stelle” di Primo Levi
“Cercavo te nelle stelle
quando le interrogavo bambino.
Ho chiesto te alle montagne,
ma non mi diedero che poche volte
solitudine e breve pace”.

Le stelle ritornano come simbolo di amore e predestinazione nella poesia di Primo Levi dedicata alla moglie Lucia Morpugno. Cercavo te nelle stelle fu scritta nel febbraio 1946, quando ancora l’esperienza di Auschwitz era per Primo Levi un ricordo recente, una ferita aperta che, ora lo sappiamo, non si sarebbe mai rimarginata.
Anche la musica ama le stelle. Il cantautore Antonello Venditti affida a “Stella” la sua preghiera:”Stella che cammini nello spazio senza fine, fermati un istante, solo un attimo, e ascolta i nostri cuori”. Dalla “Stella di mare” di Lucio Dalla a “Piccola stella senza cielo” di Ligabue, le canzoni diventano poesie.

“La luce buona delle stelle lascia sognare tutti noi. Will you dream of me. Ma certi sogni son come le stelle, irraggiungibili però. Quant’è bello alzare gli occhi e vedere che son sempre là.”
(La luce buona delle stelle, Eros Ramazzotti)

“Vedo stelle che cadono nella notte dei desideri.”
(La notte dei desideri – Jovanotti)

Umberto Tozzi ha fatto cantare tutti con “Stella stai” e Edoardo Bennato ha indicato con una stella il viaggio verso “L’isola che non c’è:” Seconda stella a destra, questo è il cammino e poi dritto fino al mattino…” .Dalle note ai dipinti.
Starry starry night… cantava Don McLean negli anni Settanta. Lui si riferiva ai cieli stellati di Van Gogh, ma potrebbe essere dedicata a tutti i cieli notturni della storia dell’arte.

Sì perché l’idea di rappresentare un cielo trapunto di stelle (magari proprio su un soffitto, in modo da simulare la volta celeste) risale alla notte dei tempi… Una delle testimonianze più antiche, infatti, si può trovare nella tomba della regina Nefertari (1295-1255 a.C.), moglie del faraone egizio Ramses II, presso la Valle delle Regine.

Un particolare curioso dei dipinti egizi è che le stelle sono sempre a cinque punte. Si tratta di un aspetto molto affascinante in quanto questo tipo di stella (definita anche pentagramma o stella pitagoricae associata a dottrine esoteriche) è una figura geometrica con proprietà molto particolari in quanto costruita sulla base della sezione aurea, una proporzione definita “divina” nel Rinascimento e conosciuta già presso gli Egizi.

Queste distese di stelle, generalmente, non hanno riferimenti astronomici ma in alcuni casi gli astri sono raffigurati in modo tale da far pensare a delle vere e proprie mappe stellari.

Per ritrovare delle grandi volte ricoperte di stelle dobbiamo fare un bel salto temporale fino all’arte bizantina (V secolo d.C.) ed esplorare quel piccolo gioiello dell’arte musiva che è il Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna.

La cupola è interamente coperta da 570 stelle dorate disposte in cerchi concentrici e culminanti con la croce di Cristo. La diminuzione delle dimensioni delle stelle centrali crea quasi un effetto di sfondamento prospettico e dà l’idea, fisica e spirituale, di uno spazio infinito.

Un altro scrigno pieno di colore e bellezza è la Cappella degli Scrovegni, affrescata da Giotto intorno al 1300 con scene tratte dall’Antico e dal Nuovo Testamento.

Qui la volta a botte è interamente dipinta di blu oltremare, colore associato alla sapienza divina e ottenuto con preziosa polvere di lapislazzuli; le stelle dorate ad otto punte sono leggermente in rilievo rispetto alla superficie della volta.

Ma sicuramente il cielo stellato più famoso dell’arte è quello dipinto da Van Gogh del 1889. Secondo le informazioni fornite dall’artista stesso, la scena sarebbe riferita all’alba del 19 giugno, quando il pittore poteva vedere all’orizzonte la luminosa “stella del mattino” cioè Venere.

Oggi abbiamo quasi perso la sensazione di meravigliarci davanti a un cielo stellato perché non siamo più abituati ad alzare lo sguardo e cercare un contatto con l’universo (la sovrailluminazione delle nostre città non aiuta nè il continuo guardare in basso, verso il cellulare).

Eppure la visione del tappeto di astri andrebbe assolutamente preservata così come quella conoscenza diffusa dell’astronomia che per millenni ha connesso l’uomo al cosmo.

Per proteggere la cultura e la bellezza della notte stellata, per chiedere di esaudire desideri alle stelle, molti hanno chiesto all’Unesco di dichiarare il cielo notturno patrimonio dell’umanità, ma forse ci basterebbe insegnare ai ragazzi a ritrovare un contatto fisico con la natura, celeste o terrestre che sia, allontanandosi un po’ dalla luce artificiale di cellulari e computer.

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