E’ stato bello tornare: San Giovanni in Val di Lago, presso San Lorenzo alle Grotte

di DANIELA PROIETTI-

VITERBO –  Dopo diverse giornate di pioggia e dopo aver vissuto sotto quel cielo grigio che sembrava essere inchiodato sopra di noi, finalmente, il sole.

Le festività natalizie si erano oramai concluse, lasciandoci cuciti addosso quell’apatia e quel senso di insoddisfazione che ci pervade ogni qualvolta si torni alla normalità.

La strada che conduce al lago, oramai, la sappiamo a memoria. Non sono bastati tutti gli anni che l’abbiamo percorsa per rilassarci al quieto rumore delle sue onde, per disegnarla nella nostra mente.

Abbiamo dovuto affrontarla ancora diverse altre volte e con il nobile scopo di poter raccontare le nostre terre.

Come ogni piacevole esperienza, anche quella era giunta al termine.

Si sa, quando alcuni momenti ci sono piaciuti, un po’ si cerca di riviverli. E le nostre puntate verso il lago avevano proprio quello scopo.

Quindi, sotto il tenue sole dicembrino, siamo partiti per giungere verso il primo approdo, quello che ha rappresentato l’inizio della scoperta del Lago di Bolsena, Marta.

Il borgo di Marta

Sulla piazza c’è un bar, sovrastato dal Palazzo del Municipio. Alla parete spicca lo stemma della Famiglia Farnese che, soprattutto in epoca rinascimentale, ha rappresentato la casata più importante del l’Alto Lazio.

Abbiamo preso familiarità con quel bar, spesso ci sediamo e ascoltiamo le chiacchiere degli anziani che si ritrovano lì ogni giorno.

Parlano di pesca, di politica, dei propri figli. Qualcuno li ha fuori dall’Italia e li nomina con orgoglio. Un po’ come me, che in ogni discorso cerco di infilarci il nome della mia primogenita, quasi fosse un modo per sentirla più vicina.

In genere, dopo la consumazione, facciamo due passi verso il bacino lacustre, magari per scattare qualche foto.

Quella mattina, invece, siamo montati in macchina e abbiamo deciso di delineare le linee della costa. Superato l’abitato di Capodimonte, abbiamo percorso la litoranea che sfiora la costa appartenente ai comuni di Gradoli e Grotte di Castro prima, e di San Lorenzo Nuovo poi.

Passando, abbiamo notato il piccolo stabilimento in cui avevamo goduto delle delizie regalate dal sole d’estate qualche volta.

Quel giorno, il freddo ci stava penetrando nelle ossa, e quegli attimi di vacanza ci sembravano tanto lontani. Il grande polverone che eravamo abituati a veder alzarsi al nostro passaggio, era assente. La terra, battuta dalle auto che neanche troppo raramente passavano, se ne stava immobile sul manto stradale.

Ci siamo ricordati di una delle chiese più affascinanti che abbiamo visitato. Una scoperta scaturita dal dialogo con il sindaco di uno dei comuni bagnati dal lago, San Lorenzo Nuovo.

Un borgo unico nel suo genere, con una vista a dir poco spettacolare, un vero e proprio balcone su quell’ampio bacino lacustre, tanto esteso da aver guadagnato la quinta posizione per superficie tra i laghi italiani, nonché il più grande di origine vulcanica.

La sponda del lago nel territorio di San Lorenzo Nuovo

Abbiamo scrutato il territorio con minuzia, ricercando nella nostra memoria la via che ci avrebbe condotti ai ruderi della Chiesa di San Giovanni in Val di Lago, progettata dall’architetto Pietro Tartarino, allievo del Sangallo.

Tra campi più o meno estesi e  una quantità sparuta di abitazioni, abbiamo ritrovato il viottolo che ci avrebbe accompagnati fino ai resti del tempio ottagonale che andavamo cercando.

L’aria tersa portata dalla tramontana, aiutava la pietra a risplendere tra  il giallo ocra dei campi. Siamo giunti in prossimità di quello che un tempo doveva essere un edificio sacro molto ricercato.

Ancora una volta, abbiamo pensato a quanto la presenza della Santa Sede abbia influito e reso preziosa la nostra cara e, in questo momento, sofferente Italia.

Abbiamo spento il motore del nostro vascello su gomma e, scendendo, abbiamo assaporato con piacere la frizzante aria che accompagna l’anno che va a morire.

La terra era bagnata e provata dalle copiose piogge che, fino al giorno prima, avevano nutrito la campagna.

Intorno a noi, il silenzio faceva da padrone. Non il rumore di un motore, né una voce, tantomeno le chiacchiere di qualcuno.

Eppure, secoli fa, in quel posto pullulava la vita.

La Chiesa di San Lorenzo in Val di Lago

Lì sorgeva l’antico borgo di San Lorenzo alle Grotte, che venne fondato attorno al 770 d.C. da un gruppo di famiglie in fuga da Tiro (l’attuale Grotte di Castro), città etrusco-romana che subì l’invasione prima e la distruzione poi, da parte dei Longobardi di Re Desiderio. A testimonianza della presenza dei nostri lontani antenati etruschi, sono stati ritrovati i resti di un santuario etrusco sul vicino Monte Landro.

La posizione strategica del centro, situato tra Acquapendente e Bolsena, scatenò continue lotte tra i vari signorotti del luogo e la Chiesa.

Successivamente all’anno 1000, la Contessa Matilde di Canossa donò alla Chiesa il territorio che, assieme a Grotte di Castro, Gradoli, Latera e l’Isola Bisentina, andò a formare la provincia di Val di Lago.

Esso divenne libero comune  nel XII secolo e cadde sotto il dominio della vicina Orvieto fino al 1335, anno in cui tornò sotto il dominio del Papa.

Nel 1527 la città fu incendiata e saccheggiata dai Lanzichenecchi, che si muovevano verso Roma.

A distruggerlo quasi completamente, ci pensò un forte terremoto, che si abbatté sulla zona nel 1683.

La popolazione era composta da contadini molto poveri che non godevano affatto di molti mezzi di sostentamento, e a seguito del sisma non riuscirono a ricostruire le abitazioni.

La vita dell’antica San Lorenzo, scorse in maniera più o meno tranquilla per circa un secolo  quando, a interrompere l’ordinarietà della vita, pensò lo stesso lago.

Il livello delle acque si innalzò, provocando la formazione di paludi che favorirono la diffusione della malaria. A causa delle epidemie che si scatenarono,  la popolazione venne decimata.

Alla fine del XVIII secolo, e precisamente nel 1772, sedeva al Soglio di Pietro Papa Clemente XIV, figlio di un medico e di una nobildonna che, rimasto orfano in tenera età, venne destinato alla vita monastica. Appartenente all’Ordine dei Frati Minori Conventuali, venne eletto nel 1769.

La pianta della Chiesa di San Giovanni in Val di Lago

Il pontefice si interessò alla causa delle genti di San Lorenzo, tanto che ne volle lo spostamento in una sede più sicura e sana dal punto di vista salutare, tanto da fare edificare quel gioiello dell’architettura che è San Lorenzo Nuovo, appunto il nuovo borgo, dalle vie larghe e simmetriche e dagli ampi spazi.

Progettato dall’architetto Francesco Navone, sul modello della “città ideale”, i lavori al nuovo San Lorenzo furono terminati sotto Pio VI, a cui venne dedicato un busto realizzato dal Canova, che risiede all’interno della Chiesa di San Lorenzo Martire.

Ma oltre due secoli prima che lo spostamento dei Sanlorenzani si rese necessario, il 5 giugno del 1863 a un ragazzo di nome Nicola Pellegrini apparve San Giovanni, il quale gli chiese che, nello stesso luogo in cui esisteva una chiesa a lui dedicata, ne fosse costruita una nuova.

Il disegno della chiesa a pianta ottagonale, in realtà, è presente in località poco distanti come Montefiascone e Orvieto. Una chiesa molto simile, la si può ammirare sull’Isola Bisentina: questa porta la firma di Antonio da Sangallo il Giovane.

Oggi, di quello che dovette essere un piccolo gioiello d’arte sacra, rimane soltanto un rudere, protetto da un piccolo cancello in legno.

Con rispetto siamo entrati all’interno della chiesa, facendoci largo tra sassi ed erba.

Per descrivere un luogo tanto suggestivo non è semplice far ricorso soltanto alle parole, sono i sensi a dover parlare: la vista, che si acuisce naturalmente al calare della luce e l’udito, che percepisce soltanto suoni ovattati. Poi, su tutti, l’olfatto che risente dell’umidità naturale che viene a formarsi laddove scarseggia la luce e c’è presenza d’acqua.

Gli interni, un tempo, dovevano essere affrescati, almeno da quel che appare su alcuni punti delle pareti. Difatti, è possibile individuare un Cristo benedicente, una colomba dello Spirito Santo e altre varie decorazioni.

Un particolare degli interni della chiesa

Ci siamo poi mossi verso il presbiterio, dalle dimensioni più contenute rispetto all’aula principale.

L’altare maggiore, venne impreziosito dallo scultore Fernando Fancelli che lavorò al finestrone presente sulla parete posteriore all’altare stesso.

Dalle informazioni che sono pervenute, si pensa che la copertura venne realizzata in legno, non in mattoni come invece prevedeva il progetto originale.

Dopo l’abbandono del paese, la chiesa rimase attiva per alcuni decenni, tanto che vi si svolgeva la messa cantata.

Nel 1800 la festa annuale dedicata al santo venne trasferita, assieme alla messa, al nuovo paese. L’incuria, e la conseguente decadenza, si impadronirono dell’edificio, tanto che nel 1828 la struttura lignea del tetto dovette essere abbattuta.

Sebbene la chiesa venne abbandonata, le tradizioni non lo furono, tanto che, ogni anno, il 24 di giugno, in paese si svolge la “Fiera di San Giovanni”, diversa sicuramente nelle forme e nei contenuti da quella che i viandanti che passavano per la Via Francigena incontravano sulla propria strada.

Me li immagino, coi loro abiti impolverati e le scarpe consunte, i volti scuri per il sole e per la mancata igiene, mentre si recavano a Roma per onorare quel Dio a cui erano certamente devoti.

Come uccelli in volo, abbiamo deciso di descrivere il perimetro di San Giovanni in Val di Lago, di accarezzarne le vecchie e decadenti mura.

Abbiamo oltrepassato la rete, siamo entrati una volta ancora al suo interno, scattando un’istantanea che potesse rendere un’idea chiara di ciò che stavamo vivendo.

I nostri passi si erano fatti prima veloci, poi più calmi. L’ansimare provocato dalla corsa rompeva quel silenzio che tanto ci aveva affascinati.

Ce ne siamo andati, lasciandoci alle spalle un sogno: il desiderio di rivedere i fasti di quella che ora era soltanto una chiesa in rovina e snobbata, probabilmente, da molti.

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