“Esercitiamo ogni giorno l’arte dello sguardo”, Franco Arminio incontra la comunità di Bassano Romano

di MARINA CIANFARINI –

BASSANO ROMANO ( Viterbo) – Franco Arminio, paesologo campano, si mostra a Bassano Romano e la sua presenza s’espande ai presenti.

Egli si china ai loro sguardi, li accoglie e li identifica.
Salva l’anima dei paesi, inspirando la linfa di chi li abita. Li attraversa quasi quotidianamente, su e giù per l’Italia, si nutre di desolazione e di occhiolini di sacro, si stende su una panchina e respira il mutare della brezza.
“Abbiamo bisogno di contadini, di poeti, gente che sa fare il pane, che ama gli alberi e riconosce il vento”. È l’incipit di un suo testo, il manifesto di versi che tornano in superficie e sfuggono all’abisso della noncuranza. Una poesia, quella di Arminio, che non strizza l’occhio ad un pubblico di nicchia, ma diviene fluido per quanti hanno il desiderio di accoglierla e comprenderla.
Un pomeriggio profondo, quello odierno, fiorito nelle ore in cui l’estate sveste gli abiti per consentire il ritorno dell’autunno, nella cornice naturale di Santa Maria dei Monti di fianco alla chiesa aperta per l’occasione. Ad accoglierlo l’alito di vita tra le fronde e una luce in lieve decrescita, sul viale del tramonto. L’evento è a cura dell’associazione “Bassano Partecipa”.
Il poeta e paesologo campano, originario di Bisaccia, in Campania, parla ai generosi, porta la poesia nelle piazze, assaporando il gusto di vederle gremite, come in un miracolo.
Realizza degli happening che, sulla scorta della tradizione avanguaristica novecentesca, si caratterizzano per l’improvvisazione e la partecipazione del pubblico. Arminio si pone con sincera eleganza di fronte alle folla, scruta negli occhi e lascia che la luce emerga.
Il guardare è un verbo all’infinito che Erminio spiega: “Nessuno ci insegna a farlo. Bisognerebbe esercitare, ogni giorno, l’arte dello sguardo. Si tratta di un gesto totalmente gratuito e prezioso. Impariamo a guardare il paese, partendo da terra, una terra pura, sollevando, poi, la vista ed adottando una mobilità.
Quest’inverno, rimasto fermo per mesi, ho guardato il mio paese. L’esercizio dello guardo mi ha fatto compagnia.
Il mondo esterno è una farmacia e la nostra fortuna. Quando siamo a casa e l’umore si aggroviglia, abbiamo una sola cura: uscire, partorire un turismo della clemenza.
Diffidiamo, quindi, dello scoraggiatore militante, colui che ha costruito un’egemonia culturale, imparando a sminuire il perimetro e il fulcro del paese. All’eroe della comunità pozzanghera opponiamo quello della comunità ruscello ove il borgo scorre, intrecciando chi abita il luogo e chi si immerge nel visitarlo”.
Franco Arminio ricama partecipazione. Chiede ai presenti le città e i luoghi di provenienza, scoprendo che alcune origini valicano la Regione e i confini italiani. Lascia che sia nuovamente la poesia a parlare in simbiosi con il dialetto, affinchè non ne vada perduta alcuna sfumatura.
Emergono istanti di riso e brulicante felicità.
Si passa ai canti ed Arminio cita una frase di Sant’Agostino: “Chi canta prega due volte”
Un tempo, quello attuale, che ha bisogno di note, preghiera e poesia.
“Una volta si stava bene o male tutti insieme – racconta -, oggi si sta bene o male ognuno a casa propria. Forse abbiamo perso tanto.
Quando si canta sale un filo di letizia. Dobbiamo trovare ogni giorno qualcosa che faccia alzare l’asticella della gioia e viverci come produttori di felicità.
Immettiamo nel corpo sociale dettagli che istighino all’armonia: un complimento, una parola dolce. Fare una cosa nuova e una cosa antica nella cadenza di ciascuna alba”.
L’evento danza e il tempo volta. Trascorre un’ora, poi l’altra senza che il pubblico mostri segni di stanchezza. Il sole inizia a calare.
Vengono percorsi i versi di altre poesie abbracciando il tema dell’amore materno, la fragilità degli anziani, la profondità degli amori e il viscerale sentimento per un figlio.

“Ti voglio dedicare una poesia
adesso che sono vivo
e posso vederti, posso abbracciarti.
Tu non mi fai recintare la luce,
non mi fai dire cose già concluse.
A volte mi chiedo
che amicizia sarebbe la nostra
se tu non fossi mio figlio.
ti scrivo per dirti
che il mio amore per te è scandaloso
e voglio che sia chiaro a tutti,
voglio che sia detto senza reticenza:
il mio amore per te
non è l’amore di chi ha paura della solitudine
non è il patto tra due che vogliono ferirsi.
Tu puoi andare e restare
leggere, suonare, credere a chi vuoi.
Io ti dono questo mio stare sparso
e conficcato dentro uno spavento
che non passa.
Averti vicino è un soffio di bene,
è qualcosa di più
della paura che abbiamo in ogni cuore.
Come fai ad essere così forte
tu che sei figlio di un tremore?”

Arminio conclude rimarcando l’importanza del presente ed invita a compiere gesti semplici: “Domani create parentesi di armonia. Andate a trovare vostra madre, soccorrete un malato. Camminate e guardate gli occhi chi incontrerete. Lanciamoci in un proposito e facciamolo nostro.
Non ci sarà qualcuno che farà bello il mondo per noi, dobbiamo fare spazio dentro di noi al mondo e sistemarlo. Questo ci rende estremamente potenti. Nutriamo, inoltre, la fierezza di abitare questi luoghi”.

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