Festival Barocco di Viterbo, intervista al fondatore e direttore Andrea De Carlo

di CINZIA DICHIARA-

VITERBO- È in pieno svolgimento in questi giorni il Festival Barocco ‘Alessandro Stradella’ di Viterbo, fondato e diretto dal musicista romano Andrea De Carlo, che ha dato vita a una serie di incontri molto attesi nella Tuscia, con progetti di approfondimento, ricerca e diffusione della

musica antica, rinascimentale e barocca, in dialogo con i linguaggi popolari e contemporanei. Un appuntamento consolidato nel tempo, che ha acquisito una sua collocazione nel circuito delle grandi kermesse di questo ambito artistico e culturale, colto e riservato ad appassionati che abbiano a cuore la bellezza di un patrimonio da preservare e valorizzare, legato al passato ma vivo nel presente dell’arte.

Contrabbasso jazz, viola da gamba, musica antica, studi di fisica, il maestro De Carlo vanta un curriculum lusinghiero, innanzitutto per la vastità dei suoi interessi, dall’arte alla scienza perseguiti sempre con ottimi risultati e rivelatori di una mente eclettica, concentrata essenzialmente sulla linea direttrice della musica seicentesca. Ne parliamo in un’intervista, addentrandoci in un sistema complesso di teorie e programmi.

  • Maestro De Carlo, una delle sue creature più importanti è l’Ensemble Mare Nostrum

Quando l’ho fondato, Mare Nostrum era un consort di viole col quale desideravo esplorare, da fisico e musicista, soprattutto il rapporto tra gli ‘affetti’, le emozioni e gli algoritmi. La polifonia mi è parso il terreno ideale per riuscire nell’impresa, tant’è che la prima registrazione dell’ensemble riguarda un’esecuzione dell’Orgenbüchlein di Johann Sebastian Bach, libro d’organo le cui musiche sono state realizzate impiegando viole da gamba. L’iniziale percorso si è portato poi verso la vocalità, aprendo un altro fronte di ricerca, quello della ‘lingua’, cosicché, il rapporto tra lingua letteraria, fonetica e musica è divenuto fertile campo di ricerca e presupposto basilare per giungere all’interpretazione.

  • Indagare e sperimentare la relazione tra il linguaggio letterario, gli ‘affetti’ e la natura dei suoni, l’ha condotta a promuovere nuove prospettive, tecniche ed estetiche, sul repertorio barocco

Sì, diversi anni fa ho fatto una scoperta che sarà argomento di un articolo di prossima pubblicazione, dalle conseguenze importanti per la comprensione dell’estetica del canto e dell’esecuzione strumentale dal Rinascimento ad oggi. Questa è divenuta lo strumento principale del mio lavoro, anche dal punto di vista semplicemente performativo, con gli ensemble strumentali e soprattutto con i cantanti, motivo per il quale mi dedico prevalentemente alla musica vocale, quindi all’Opera lirica e all’Oratorio.

  • La sua ricerca, nel settore che definisce linguistico, in che cosa consiste?

È una ricerca sull’individuazione di quegli elementi del ‘testo linguistico’ che generano e dispongono la forma dei brani e le componenti del suono, del ritmo, dei cosiddetti ‘affetti’.

  • ‘Affetti’ nel significato barocco? (Con questo termine in musica si intendono l’atmosfera e gli stati d’animo suscitati nell’ascoltatore mediante formule di scrittura che appartengono al bagaglio compositivo dell’autore e, in particolare nel tardo barocco, vertono sulle correlazioni tra musica e principi retorici. ndr)

Non soltanto. Gli ‘affetti’ sono comuni a tutte le epoche storiche, appartengono alla vita dell’uomo, dunque sono simili e condivisi attraverso i secoli.

  • Quindi si tratta di una ricerca trasversale e diacronica

Certamente. In passato, nel II libro delle Prose della volgar lingua, trattato sull’italiano quale lingua fondata sulle lingue classiche, l’umanista Pietro Bembo intuisce questo aspetto importante non mostrandosene del tutto consapevole, nonostante ne abbia disquisito tra le pagine sviscerandolo a fondo. Il mio articolo verterà proprio su questo tema: rivelare come il cardinale Bembo in realtà avesse già colto l’essenziale, considerato che la sua personalità non poteva essere ancora pronta a razionalizzarlo ed esplicitarlo in modo chiaro. Del resto, l’illuminismo, con la sua scientificità, era molto di là da venire. È tuttavia evidente che il letterato coglie l’importanza dello strumento linguistico, così come io l’ho individuato studiando gli spartiti. Di conseguenza, negli anni ho utilizzato questo strumento nella tecnica vocale e strumentale, scoprendo che esso in realtà era già in uso nella tecnica di canto dal rinascimento fino al ‘900.

  • Lo strumento di indagine cui si riferisce riguarda forse la musicalità del linguaggio che si unisce alla cifra del segno, alla parola con i suoi risvolti semantico- musicali?

Sì, esattamente, il primo articolo che scriverò riguarda essenzialmente la mia scoperta e il riferimento al Bembo. In seguito scriverò un libro documentale, una raccolta di testimonianze storiche tese a suffragare l’argomentazione.

  • Il suo particolare percorso ha seguito orme già tracciate?

Quella base della tecnica del canto non è di mia invenzione, ma credo di averla riscoperta in un momento in cui si è persa e, mentre si tende a non adottarla più, sto iniziando a rimetterla in campo

  • Dunque lei ha il merito di salvaguardare pratiche antiche che rischieremmo di perdere

I cantanti le adottano comunemente, ma senza averne una completa cognizione. Ho constatato che anche artisti stranieri impiegano strumenti sintattici propri esclusivamente dell’italiano, forse impropri, sbagliati foneticamente, come avviene, solo per citare un esempio, con la messicana Chavela Vargas (1919-2012), leggenda della musica ranchera, la quale, tuttavia, li considera indispensabili alla resa del canto. Dal punto di vista espressivo questa prassi vocale è strumento totalmente efficace.

Ma vi sono illustri esempi di cantanti di musica colta, come il soprano Mirella Freni, che hanno ben compreso certi aspetti. In un’intervista con Pavarotti, la straordinaria Mimì ne parla chiaramente e afferma che si tratta di una modalità importante per poter cantare. Neanche lei l’ha del tutto razionalizzata, però l’ha sicuramente insegnata. La cantante sostiene che vi sono grandi nomi, suoi colleghi, che non fanno abbastanza attenzione alla pronuncia e si sofferma su particolari relativi alle consonanti, soprattutto alle doppie consonanti, spiegando come queste siano fondamentali per ottenere il giusto risultato da alcuni gesti tecnici.

Non è l’unico dei grandi soprani del periodo che ne parli ma nel suo caso si tratta di una vera e propria percezione fisica, esattamente come accade per la Vargas, che applica rafforzamenti sintattici nel cantare la musica popolare, secondo una regola fonetica che non esiste nello spagnolo. Commette degli errori fonetici, quindi, eppure rende bellissimo il risultato musicale.

  • E arriviamo al connubio di musica e fisica nella sua vita

La musica è una forma di espressione che non ha bisogno di convenzioni, come il linguaggio, che per riuscire a capirsi necessita di convenzioni prestabilite dal vocabolario. Nella musica è la fisica dei suoni a parlare al nostro cervello e al nostro inconscio. Dunque, nel fare musica occorre rispettare i canoni naturali del dialogo e delle comunicazione, come quando parliamo, quando accarezziamo una persona, quando vogliamo trasmettere qualcosa con un gesto.

  • L’argomento pare complesso, può essere più esplicito? In che modo si realizza tutto questo?

Attraverso una ricerca concettuale che investe il rapporto fra gli algoritmi e le emozioni, quindi la polifonia, infine gli affetti, la forma del suono, l’interpretazione, il naturalismo barocco. Qualcosa che devo razionalizzare soltanto nel momento, come questo, in cui la sto condividendo. Questa ricerca è cardine del festival, almeno per ciò che riguarda il mio personale apporto.

  • L’attenzione al canto, formativa in uno strumentista completo e lei nasce contrabbassista e violista, accresce l’espressività nell’approccio allo strumento

Di certo, infatti all’inizio ero figlio di una scuola tecnica tradizionale, dunque impostato in un certo modo, ma, allorquando ho iniziato ad addentrarmi in questo tipo di tecnica, ho cominciato a suonare in maniera diversa e oggi sono un musicista diverso.

  • Tutto ciò sembra dimostrare come nell’antico possa essere contenuto il nuovo. In fondo, attraverso l’antico lei riesce a creare il nuovo. Un criterio che sembra spiegare la vita, l’umanità, il passato, il futuro. Comprende tutto al suo interno…

Lei lo ha detto molto bene, grazie. Infatti la musica barocca non è antica. La musica è sempre contemporanea. E lo è perché noi siamo sempre gli stessi, così le emozioni umane e gli affetti. Anzi, nel ‘600 si viveva in modo molto più intenso del nostro: la vita era breve, condotta in condizioni di precarietà, in preda a pericoli, e tutto ciò determinava una cognizione del vivere e dello scorrere del tempo ben diversa dalla nostra, producendo un’enorme esigenza di vita, di vitalità. Per questo la musica di quel tempo è così vitale, colma di emozioni e di messaggi. Secondo l’ottica di allora, forse, oggi verremmo considerati alquanto spenti, magari un po’ noiosi.

  • Effettivamente il barocco è stile che raggiunge il colmo della vitalità. Basta contemplare le volte delle chiese con le loro caotiche teorie di personaggi, esaltazioni del sacro attraverso una pittura quasi sfrenata, per capirne la forza celebrativa, e percepirne l’essenza dirompente e in fondo vitalizzante. Oggi, di contro, siamo essenziali, scheletrici, scarni, con modalità espressive minimali, il bello canonico attraverso i secoli è stato soppiantato da categorie dell’estetica estreme, un balzo spaventoso. La musica barocca rischia dunque di diventare sempre più di nicchia e, mentre i conservatori si riempiono di cattedre di musica pop, artisti come lei si adoperano alacremente per la sua divulgazione. Come affronta il rapporto col modo attuale e con tutto ciò che circola in musica?

Sono cose che accadono per movimenti naturali e non si può intervenire. Sorprenderò ma penso che l’arrivo in conservatorio di questi insegnamenti popolari e moderni sia un bene. Trovo che tutti i musicisti siano depositari del sistema di approccio alla musica e all’esecuzione com’era una volta; gli stessi trattati del ‘5-600 affermano che la musica si impara ad orecchio!

È vero che nei conservatori che rischiano di spopolarsi l’apertura di certe classi può costituire un escamotage per aumentare le iscrizioni, tuttavia occorrerebbe considerare e comprendere il fenomeno iniziato con la chiusura delle orchestre sinfoniche italiane, che ha demotivato generazioni di musicisti. Ormai si sa che le possibilità di lavoro scarseggiano. Io stesso suonavo nell’Orchestra della Rai (di Roma), inossidabile istituzione che nel confine nazionale manteneva quattro orchestre e cori. Erano poche, e adesso ne è rimasta addirittura una soltanto! Basta invece guardare oltre, magari alla Spagna, per constatare che è piena di orchestre e persino in città piccolissime si dà l’opera lirica.

  • Dunque, con la crisi che difficilmente sembra aprire nuove prospettive, quale messaggio indirizzerebbe ai politici, a coloro che responsabilmente organizzano la nostra vita nello stato?

Sono un loro diretto interlocutore poiché il festival e gli ensemble vengono sostenuti dal Ministero e dalla Regione Lazio, dunque noi interagiamo con lo stato in maniera virtuosa, positiva e ne siamo contenti. Non sono di quelli che ritengono che lo stato sia sempre in errore.  Senza il sostegno pubblico non potremmo farcela nonostante qualche sovvenzione privata. In generale, penso che lo stato sia largamente impegnato nell’ambito culturale.

  • Le iniziative sono molteplici, e la diffusione della cultura?

Per noi che facciamo musica di nicchia la diffusione della cultura è importante, soprattutto il sostenere ambiti musicali meno diffusi e meno frequentati. La varietà, quindi poter fruire di possibilità diverse, è un valore; va bene che ci sia di tutto. Nel mio spirito democratico ritengo che lo stato debba dialogare con tutte le forme di linguaggio ed è mia percezione che ciò avvenga costantemente. Anche guardando agli altri festival, essere riconosciuto in quello che faccio è per me essenziale.

A livello nazionale, regionale, locale, si investe ad esempio nel jazz e nella musica popolare con numerose iniziative. Il problema che riguarda il mondo della musica classica, invece, dipende dall’essere, questo, rimasto relegato fra tradizione e nuovi linguaggi, senza prendere una direzione o l’altra. Certamente il movimento di idee intorno alla musica barocca ha giovato a tutti i livelli, grazie all’attività degli ensemble storicamente informati. Affrontare questioni storico- interpretative, dal medioevo proseguendo nel rinascimento e nel barocco, ci ha fatto giungere al ‘900, pertanto non è raro incontrare ensemble che eseguono Richard Strauss con le corde di budello poiché all’epoca si usava così.

  • Da tempo è in voga nell’approccio alla musica un autentico interesse per la filologia e per gli studi circa la prassi originale e lei e la sua attività vi si inseriscono appieno. Fra le sue imprese, quale reputa la conquista più importante?

Non vorrei parlare di conquista poiché mi sento sempre all’inizio di un percorso e forse lo sarò fino alla fine. La cosa di cui sono felice è la mia ‘scoperta linguistica’; di sicuro la formazione di fisico-musicista mi ha aiutato. Mi ritengo molto fortunato, vivo un’avventura meravigliosa e cerco di dare il più possibile ai giovani, relativamente ai quali il nostro festival cura il rilevante settore della didattica, nonché la ricerca in campo didattico. Infatti ospita lo Stradella Y- Project, anima giovanile dell’ensemble Mare Nostrum, da me fondato in conservatorio, all’Aquila, ed ora esteso a livello internazionale. Attualmente variamo progetti in tutto il mondo e nell’edizione di quest’anno registriamo la partecipazione di molti più stranieri.

In definitiva, mi ritengo felicissimo di avere la possibilità di svolgere questo lavoro e sono davvero molto riconoscente di quello che ho.

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