Filippo Gorini e il suo progetto ‘Sonata for 7 cities’. Parliamo con il giovane pianista per un’intervista da Vienna in due puntate (Parte prima)

di CINZIA DICHIARA-

Il percorso artistico di Filippo Gorini, primo premio al Concorso “Neuhaus” del Conservatorio di Mosca nel 2013 e, appena ventenne, nel 2015 vincitore del Concorso “Telekom-Beethoven” di Bonn con voto unanime della giuria e di altri due premi del pubblico, e da allora avviato a una carriera concertistica nelle sale più importanti del mondo, presenta una traiettoria tutta sua propria. Infatti, pur se impegnato nella brillante carriera che gli è valsa il Premio Abbiati quale migliore solista dell’anno 2022, il pianista non si accontenta di suonare ai massimi livelli e di essere ormai introdotto a pieno titolo nei circuiti musicali più prestigiosi.

Filippo Gorini ambisce a una funzione etica della propria arte, intendendo fare dono agli altri di costruzioni sonore ideali, mosso dal desiderio che l’impegno di interprete non si limiti ad annoverare tappe di successi personali ma faccia sì che del suo studio incessante possano giovarsi intere comunità di persone sofferenti, alle quali, in un gesto di altruismo, egli porge la bellezza della musica attraverso le esibizioni, l’insegnamento, il dialogo, l’incontro.

Da qualche tempo infatti il suo profilo va arricchendosi di progetti del tutto inediti e straordinari. Ricordiamo la recente prospettiva pluridisciplinare dell’Arte della Fuga di Johann Sebastian Bach, opera dalla valenza biblica per i musicisti. Assecondando anche la propria passione per la regia, Gorini ha realizzato un dialogo con esponenti del mondo artistico, scientifico e culturale di diverse provenienze geografiche, tra i quali l’architetto Frank Gehry, il direttore d’orchestra Yannick Nézet-Séguin, il pianista Alfred Brendel, il regista teatrale Peter Sellars, invitandoli a illustrare il loro particolare legame con Bach in un ciclo di trasmissioni televisive con video-documentari: 14 episodi andati in onda su RAI5, nella primavera 2024.

Stavolta il pianista torna a sorprendere il suo pubblico col proporre i frutti delle proprie indiscusse capacità sulla base di un’alta concezione della funzione dell’arte. Grazie a un temperamento entusiasta e a una mente creativa e poliedrica, e non senza un animo nobile e generoso, Gorini ha realizzato il nuovo progetto “Sonata for 7 Cities”, reso possibile dal finanziamento del Premio ‘Franco Buitoni’.

Un progetto che mira a un approccio responsabile ed etico alla vita concertistica, mediante residenze artistiche di un mese non solo in sale da concerto ma anche presso persone in difficoltà di sette metropoli del mondo, precisamente Vienna, Città del Capo, Hong Kong, Portland, Bogotà, ancora da definire la tappa australiana, e infine Milano, nelle quali, oltre a opere di giganti del passato il pianista brianzolo suonerà, ogni volta in prima assoluta, una sonata per pianoforte appositamente commissionata a compositori contemporanei quali Federico Gardella, Stefano Gervasoni, Oscar Jockel, Michelle Agnes Magalhaes, Yukiko Watanabe, Beat Furrer.

Ben ritrovato, Filippo Gorini. Eccola di nuovo alle prese con un’iniziativa che si preannuncia interessante. La troviamo a Vienna, prima tra le sette città ove svolgerà le sue residenze, di un mese ciascuna, per portare la musica a tutti, soprattutto al di fuori dalle sale da concerto e dal rituale canonico della serata glamour. Vorremmo quindi domandarle del mese trascorso nella capitale austriaca, di come sia stato da lei vissuto e quali ne siano i risultati a tappa conclusa. Procediamo per ordine, cominciando a illustrare il suo progetto

Innanzitutto l’idea: dal punto di vista organizzativo ho cominciato a lavorarvi tre anni fa, spinto dalla considerazione che, generalmente, nel suo viaggiare, suonare in una sala da concerto e poi scappare via, il concertista tocca i luoghi sempre di striscio, in maniera distratta, rischiando di perdere molte opportunità, mentre, fermandosi in una città più a lungo, magari per un mese anziché per un giorno o due al massimo, può interagire con la comunità portando la musica alle persone, conoscendo la cultura e l’interesse del posto.

La sua motivazione sembra piuttosto inusuale. Trova dei precedenti presso altri concertisti?

Vi sono persone molto sensibili e persone che sono a loro agio nei ritmi velocissimi della vita concertistica o persone che ogni tanto hanno bisogno di distanziarsi dalle sale da concerto, ciascuna a suo modo. Di certo l’idea di provare a ripensare come vivere il viaggio per portare la musica in un’altra città, in modo sistematico come io sto facendo, mi pare nuova.

-Dunque è un antesignano

Vi sono le lettere di Busoni, altresì di Rachmaninov, che lamentano questo stesso problema, cioè la velocità di spostarsi, sempre pronti a suonare per un pubblico di una città che non si conosce. Si tratta di aspetti che i musicisti vivono dacché esiste la figura del concertista. Prima dell’’800 un musicista era legato a una città; ogni tanto cambiava, si muoveva ma era sempre inserito al servizio di una comunità, di un principe, della chiesa.

In epoche passate il musicista era un dipendente

Ho fatto un’esperienza simile. Per un mese mi sono messo al servizio di una città: oltre a due concerti pubblici, uno solistico l’altro con orchestra, mi sono dedicato a tutto quello che mi sia possibile fare con la musica e con il mio tempo presso una comunità, onde essere di servizio e di aiuto.

-Può dirsi, il suo, un progetto sociologico?

Direi sociale, in quanto la musica classica, che io studio e amo, può aiutare la società.

Il trasporto da parte sua è toccante e nel quadro della società frettolosa e consumista di oggi ne risaltano lo spirito fraterno, solidale, umano, la dimensione spirituale

Questo mese vissuto a Vienna è stato così. Il pubblico ha assistito a due eventi prestigiosi, il recital e il secondo concerto di Beethoven al Konzerthaus di Vienna, una delle sale più importanti del mondo, ove è stato per me un onore poter suonare. Sono arrivato lì con un desiderio enorme di fare musica e credo di aver tenuto dei concerti dei quali posso dirmi felice e orgoglioso. Due giorni prima e due dopo ero a suonare lo stesso programma, con lo stesso amore e la stessa cura, per gli anziani ospiti di una casa di riposo, molti dei quali abituati in precedenza a frequentare i concerti e ora impossibilitati a recarsi nelle sale, quindi in una mensa dove vengono accolti i senzatetto. Per queste persone, ciascuna con una propria storia e una propria sensibilità, delicata e profonda, il dono di una persona giunta lì apposta per suonare è risultato quasi sconvolgente.

-Il suo impegno è stato ricompensato dalla loro gratitudine

C’è stata una donna rifugiata dall’Ucraina che mi ha abbracciato commossa, dicendo che l’ho riportata ai giorni di pace nei quali poteva sentire i concerti nel suo paese. Ora si trova qui e in questo momento non ha niente ma, quella mattina, che io abbia suonato per lei e per quelle venti o trenta persone, ha costituito un

evento assolutamente unico, a motivo della forza della musica che ho nelle mani con la 111 di Beethoven, con Bach e Schubert, oltretutto in una città che ha il privilegio, il più alto nel mondo, di poter ascoltare ogni giorno i più grandi musicisti e orchestre, anche a prezzi accessibili.

Vienna rimane capitale della musica e dei musicisti. È per questo che l’ha scelta?

Sì, per questo era bello cominciare il mio viaggio da qui, nel regno della musica d’arte.

Ora sta per concludere questa prima tappa: il bilancio?

Ho suonato ogni giorno senza avere tempi morti, tempi di viaggio, attese, check- in negli hotel, code, bagaglio da spedire. Ero sempre al pianoforte e ho voluto dedicare anche qualche giornata alle lezioni in una scuola di musica per rifugiati, esperienza, anche questa, molto toccante. Il livello non era quello del grande conservatorio bensì con ragazzi che sono arrivati a Vienna coi loro viaggi complicati, magari dall’Ucraina, da Damasco o da altri paesi del Medio Oriente, e da qualche parte hanno incontrato la musica, così da decidere di volerla conoscere e studiare.

La scuola si chiama “Open Piano for Refugees”. È sostenuta da sponsor, con donazioni e finanziamenti che garantiscono un’istruzione a ragazzi segnati da situazioni pesanti dando loro la possibilità di vivere la musica. Abbiamo trascorso insieme varie giornate. Mi sono seduto con loro in un’aula e ho suonato spiegando tutti i pezzi in programma mentre, emozionati, incontravano per la prima volta l’op. 111 di Beethoven, percependo il vissuto doloroso del primo movimento, quindi il sollievo, la grazia e la serenità racchiuse nell’’Arietta’. Ho offerto musica di tale forza espressiva, in questo mese, anche ai pazienti di un ospedale psichiatrico.

Ospiti di case di riposo in vari quartieri della città, studenti che pur vivendo a Vienna non hanno ancora avuto occasione di familiarizzare con la musica di Beethoven, rifugiati in attesa di un pasto caldo: tutte persone che, arrivate in silenzio, si sono fermate a parlare o hanno detto il loro nome. Nella mensa c’è stata un’apertura contenuta, senza festeggiamenti e applausi, solo il silenzio della concentrazione ma ciascuno è rimasto più a lungo, ha parlato, si è sciolto un poco grazie alla presenza di uno strumento come il pianoforte e di un musicista professionista che suonasse appositamente. Tutto questo per loro è stato un dono.

Tenere concerti continuativamente in contesti così difficili richiede uno sforzo emotivo ed un equilibrio costante comportando un contatto quotidiano con i dolori del mondo. Certamente se ne riceve molto in gioia ed empatia per la soddisfazione di aver alleviato un po’ la sofferenza ma, lei, da dove trae la forza necessaria e come si organizza?

Credo che il sentimento predominante sviluppatosi in me in questi ultimi anni sia la gratitudine, verso il mondo, verso le persone, per aver ricevuto tanto, per essere nato in un paese ricco, in una famiglia che si poteva permettere di darmi un’istruzione e di studiare musica, per aver incontrato gli insegnanti giusti al momento giusto e aver potuto iniziare una carriera: questi sono solo alcuni dei motivi che mi rendono grato verso il mondo.

La gratitudine è la più squisita forma di cortesia, secondo il letterato François de la Rochefoucauld, una qualità, un sentimento, che comprende la disposizione a ricambiare i doni ricevuti

Io sento di voler restituire qualcosa di quel che ho ricevuto e per fortuna ho in mano una musica che sprigiona una forza emotiva potente, che ha la facoltà di commuovere e, anche la più travagliata, di dare conforto.

– La scelta del repertorio?

Ecco, un’altra delle mie riflessioni è che l’ultima cosa che si desidera sentire dal mondo esterno quando non si sta bene nella vita, e nella mia vita ho vissuto momenti dolorosi anch’io, è che tutto sia bello, allegro, facile, poiché si sa che è una bugia. Pertanto nel progetto “Sonata for 7 cities” non mi sembrava giusto proporre musica allegra e festosa per incontri con persone fragili, mentre la forza di Bach e di Schubert mi sono parse ideali affinché queste potessero sentirsi comprese nel dolore, nella solitudine e nei problemi. Una musica che arrivi veramente al cuore e ci faccia sentire compresi, offrendoci anche la possibilità di trasfigurare l’esperienza dolorosa, come accade in Beethoven, in gioia, in pace, nella grazia.

-La musica intesa come superamento catartico, dunque, le è stata viatico di amicizia con qualcuna di queste persone?

Sì, con alcuni ragazzi è nato un dialogo, siamo stati anche a mangiare insieme. In particolare, uno di essi mi ha donato delle saponette da lui stesso confezionate. Non ho più visto la signora ucraina, che mi ha ringraziato con una benedizione del cuore. Conclusa la giornata non li ho più rivisti tuttavia la profondità dello scambio di quel momento è stata di un impatto indimenticabile. E ciò ha suscitato in me un’ulteriore riflessione: un concerto per duemila persone sortisce indubbiamente un grande effetto emozionale, tuttavia questo si misura anche dalla profondità dello scambio. Pertanto può accadere di suonare anche per una sola persona ma, se essa lo ricorderà per tutta la vita, allora l’incontro diviene un momento più importante del suonare alla Scala.

E questo è un mistero profondo sul quale interrogarsi.

(Intervista raccolta il 12 marzo 2025)

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