Fotovoltaico ed eolico, Ranucci: “Fonti rinnovabili dannose per l’agricoltura”

VITERBO – «Mi chiedo con quale coscienza e con quanta leggerezza l’associazione Gis, (Gruppo Impianti Solari), riesca ad affermare che sia una “convinzione diffusa, ma falsa, quella che le energie rinnovabili rubino suolo all’agricoltura e non tutelino la biodiversità”». Così la presidente di Coldiretti Viterbo, Maria Beatrice Ranucci, risponde all’associazione Gis (Gruppo impianti Solari), che con una nota stampa ha replicato alla richiesta da parte di Coldiretti Viterbo alla Regione Lazio di un confronto urgente su quanto sta accadendo nella Tuscia in merito all’installazione di pannelli fotovoltaici a terra e pale eoliche. 

«Le nostre non sono delle semplici e pretestuose “convinzioni”, ma certezze supportate da strumenti normativi nazionali e regionale, oltre che da studi scientifici. Ci basiamo sui fatti e i fatti ci dimostrano che il nostro territorio è sotto attacco e sta vivendo una vera e propria minaccia, che riguarda l’agricoltura, il turismo e la crescita economica».

È un fatto che le pale eoliche in progettazione superano le 200 unità e si tratta si strutture che possono superare i 250 metri di altezza. La Tuscia risulta essere la prima provincia del Lazio e tra le prime in Italia, per presenza di pannelli solari che ha raggiunto il 78,08% contro il 13,70%, il 6,58% di Roma, per arrivare all’1,64% di Frosinone e allo 0 di Rieti. 

È un fatto che la superficie occupata dal fotovoltaico a terra è pari al 50% della Superficie Agricola Utilizzata (SAU), con oltre 950 ettari. Ed è un fatto che “il cumulo degli impianti FER installati e autorizzati, in particolare nella Provincia di Viterbo, rappresenta una elevata criticità per la sostenibilità ambientale di ulteriori eventuali iniziative, in relazione all’equilibrio tra le vocazioni territoriali e gli obiettivi energetici”, così come si legge nella delibera di Giunta della Regione Lazio 171/2023, la stessa in cui troviamo “un criterio di proporzionalità e sussidiarietà tra province, tale da consentire, in ogni singola provincia, lo sviluppo delle FER esclusivamente fino a un massimo del 50% del totale autorizzato espresso in MWp dell’intera Regione”.

«E’ impossibile sostenere – prosegue Ranucci – così come ha fatto l’associazione Gis, che “i pannelli non pregiudicano l’uso agricolo delle superfici e che anzi ne contribuiscono alla valorizzazione della flora e della fauna locale”, perché è stato ampiamente dimostrato che bisogna prendere anche in considerazione gli effetti prodotti dal tipo di lavorazioni effettuate nella fase di cantiere e durante la manutenzione in primis diserbo e compattazione. Operazioni che protratte nel tempo, portano ad una progressiva ed irreversibile riduzione della fertilità del suolo, aggravata dall’ombreggiamento pressoché costante del terreno nel caso di pannelli fissi».

Ed è un fatto che questo determinerà la mancanza di due degli elementi principali per il mantenimento dell’equilibrio biologico degli strati superficiali del suolo, ovvero la luce e l’apporto di sostanza organica, con il conseguente impoverimento della componente microbica e biologica del terreno. Il rischio concreto è che questi suoli, a seguito della dismissione degli impianti, non saranno restituibili all’uso agricolo, se non a costo di laboriose pratiche di ripristino della fertilità, che richiedono molto tempo e importanti investimenti.

È un fatto che i commi 3 e 5 dell’articolo 20 del d.lgs. 199/2021 stabiliscano tra i principi generali per l’individuazione delle aree idonee all’installazione di impianti a fonti rinnovabili, la tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, della minimizzazione degli impatti sull’ambiente.

Si legge, “3. Ai sensi dell’articolo 5, comma 1, lettere a) e b), della legge 22 aprile 2021, n. 53, nella definizione della disciplina inerente le aree idonee, i decreti di cui al comma 1, tengono conto delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualità dell’aria e dei corpi idrici, privilegiando l’utilizzo di superfici di strutture edificate, quali capannoni industriali e parcheggi, nonché di aree a destinazione industriale, artigianale, per servizi e logistica, e verificando l’idoneità di aree non utilizzabili per altri scopi, ivi incluse le superfici agricole non utilizzabili, compatibilmente con le caratteristiche e le disponibilità̀ delle risorse rinnovabili, delle infrastrutture di rete e della domanda elettrica, nonché tenendo in considerazione la dislocazione della domanda, gli eventuali vincoli di rete e il potenziale di sviluppo della rete stessa”. 

«A rischio naturalmente sono anche i posti di lavoro – conclude Ranucci – che le imprese agricole non saranno più in grado di garantire, se non si metterà un freno a questa scellerata installazione di impianti fotovoltaici a terra e pale eoliche. Così come saranno a rischio tutte quelle strutture ricettive, agrituristiche e di ristorazione, perché il nostro territorio a forte vocazione turistica, perderà l’interesse che riscuote ora e lo stesso varrà per il mercato immobiliare. Ci preoccupano fortemente anche tutte quelle numerose produzioni di pregio che troviamo nella Tuscia dallabbacchio romano Igp alla nocciola romana Dop, dall’Olio extravergine di Olivia Tuscia Dop ai vini, fino alla lenticchia di Onano Igp e lasparago verde di Canino Igp. Ribadiamo che non siamo contro l’utilizzo di pannelli fotovoltaici, ma quello che proponiamo da sempre è di posizionarli sui tetti dei capannoni per non consumare suolo agricolo produttivo».

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