Francesco Mattioli sull’intervento di Claudio Santella

Il lungo, articolato e dottrinale intervento dell’amico Claudio Santella mi spinge ad alcune considerazioni “sociologiche”. Il che, farà alzare il sopracciglio a più di un giurista, visto che nel nostro Paese è duro a morire il pensiero di Benedetto Croce, il quale sosteneva che la sociologia non ha motivo di esistere, perché ci sono la Storia, l’Economia e il Diritto a fornire tutto ciò che serve per capire cosa accade nella società. Croce era un idealista, non capiva nulla di scienza, considerata roba da “vili meccanici”, e purtroppo per molto tempo ha influenzato la cultura italiana. Svilendo l’idea che la sociologia sia una “scienza” sociale, cioè emetta valutazioni sulla base di teorie elaborate partire dalla ricerca e la sperimentazione sul campo.
Questa forse noiosa premessa è necessaria per tentare di legittimare agli occhi dei giuristi quanto sto per argomentare per sintetici punti.
1. La società è il prodotto di un patto. Un patto produce regole. Le regole dipendono dalla capacità di taluni soggetti, per vari motivi, di far prevalere il loro punto di vista rispetto a quello di altri. Si chiama “potere”(fisico, ideale, pratico, economico, ecc.). Un patto equo non è mai oggettivamente equo, ma è solo “considerato” dalle parti come equo.
2. Le regole sembrano ispirarsi a valori (politici, filosofico-etici, religiosi, tutti e tre assieme) Possibilmente valori considerati assoluti e indiscutibili.
3. In realtà le regole cambiano nella storia e nei referenti etici, perché cambiano i rapporti di potere fra i vari gruppi, classi, categorie sociali, che dettano i valori di riferimento e quindi anche le regole.
4. Esiste una categoria di esperti a cui è demandato il compito di definire, scrivere, applicare le regole volute dal sistema: i giuristi.
5. In teoria i giuristi lavorano sulla base di criteri espressi dalla società, e in particolare da chi detiene il potere nella società. Quindi, in un democrazia, dal popolo, rappresentato nei suoi voleri da un parlamento e quindi da un governo eletto.
6. Qualora un soggetto, a qualsiasi livello di potere, si sottrae alle leggi, deve essere perseguito.
7. Affinché le leggi possano essere applicate a qualsiasi soggetto sociale, è necessario che siano chiare e non si prestino ad interpretazioni soggettive, che inducono inevitabilmente a rendere alterna, imprevedibile, malleabile l’applicazione della legge. E’ ben vero che la legge è per gli uomini e non gli uomini per la legge, ma la legge deve essere uguale per tutti. E oggi rischia di non esserlo…
8. La legge non deve essere meccanicistica nelle sue applicazioni, occorre sempre tener conto delle circostanze; ma non deve essere neppure tanto flessibile da diventare terreno di levantine considerazioni ed eccezioni che ripugnano alle aspettative di giustizia ed equità che appartengono all’intera società.
9. Se si lasciano ampie interpretazioni alla legge, coloro che le applicano si troveranno un potere formidabile tra le mani, perché potranno, pur non legiferando, applicare la legge secondo le proprie inclinazioni ideologiche.
10. In questi casi si crea un potere corporativo che può tentare di rendersi autonomo, autoreferenziale, in contrasto con il concetto di democrazia.
11. Il problema è che oggi in Italia, a fronte di certe inclinazioni autoritarie, la difesa del sistema giuridico, nei suoi referenti di principio, in quelli procedurali e nei soggetti che vi operano, è considerato una salvaguardia.
12. Ma questo rischia di creare un potere alternativo completamente sottratto al controllo del popolo sovrano, e un potere fortissimo perché legittimato ad imporre provvedimenti di legge di sua esclusiva competenza e referenzialità, perfino superiore a quello di un governo eletto.
13. Il rinvio alla Costituzione, che è norma di carattere generale, in tal caso ha ben poco a che vedere con l’applicazione di leggi che si ispirano ad essa, ma in modo sempre sottoponibile a interpretazioni ed evoluzioni di carattere storico, cioè sociale.
14. Di qui, il forte impasse dovuto alla irrisolta – e forse irrisolvibile, perché caratterizzata da una forte interdipendenza – competizione tra il potere legislativo e il potere giudiziario.
15. Ma attenzione, se è vero che è necessario che ci sia chi controlla i controllori, e altresì vero che è necessario che ci sia chi controlla i controllori dei controllori… Può sembrare una boutade, in realtà è questo il senso della realtà, non solo sociale ma perfino fisica. Insomma, per farla breve, nella società è fondamentale l’idea di interdipendenza, di principio e funzionale. Perché la società è questa: nessuno è variabile indipendente in una relazione. Esistono solo inter-azioni. perfino o il despota peggiore ha “bisogno” di sudditi.
16. La competizione tra potere legislativo e potere giudiziario agli occhi dell’opinione pubblica è poco comprensibile. A fronte di una crescente complessità della vita sociale, la gente è portata ad esprimere bisogni di salomonica semplificazione che la rassicurino su una idea di giustizia riparativa più ancora che rieducativa. La complessità e l’eterogeneità della nostra società non comporta solo vantaggi, ma anche pericolose forme di involuzione della convivenza umana, specie urbana e metropolitana. Se non si tiene conto di questa crescente esigenza postmoderna di ordine e di riduzione della complessità, governandola in senso democratico, ma comunque governandola effettivamente e senza lassismi ideologici di sorta, il rischio che il popolo elettore si affidi ad ordinatori politici di pochi scrupoli, come sta avvenendo in Europa e in America, sarà sempre più alto e la prospettiva di un futuro distopico non apparterrà più soltanto al cinema di fantascienza. Se lasci irrisolto un problema, ci sarà qualcuno che lo risolverà a modo suo e ne trarrà vantaggio agli occhi dell’elettore o di una opinione pubblica che oggi i social media stanno facendo diventare sempre più determinante nella legittimazione del potere. Come scriveva Mannheim, la libertà va esercitata con saggezza e sobrietà, altrimenti diventa licenza, poi amorale anarchia, poi una giungla di lupi vogliosi di prevalere.
Francesco Mattioli

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