FROSINONE- “Invito le Autorità istituzionali e regionali ad attivare, da subito, un tavolo permanente regionale sulle criticità delle carceri, che vedono ogni giorno la Polizia Penitenziaria farsi carico di problematiche che vanno per oltre i propri compiti istituzionali, spesso abbandonata a se stessa dal suo stesso ruolo apicale. E’ solo grazie ai poliziotti penitenziari di Frosinone che non abbiamo contato un altro morto tra le sbarre”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, commentando il suicidio di un detenuto ed un altro sventato nel carcere di Frosinone.
“Nel turno pomeridiano di ieri”, spiega il segretario nazionale per il Lazio del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Maurizio Somma, “l’Agente di Polizia Penitenziaria comandato di servizio I e IV sezione (Sezioni accorpate), ha sentito, mentre faceva il giro di controllo, provenire dei rumori strani in una cella della IV sezione: prontamente interveniva e notava il detenuto appeso alla finestra dentro la cella. Avvertiva prontamente i sanitari ed altri colleghi; anche il 118 è arrivato in tempi brevissimi, ma per il detenuto non c’era nulla da fare. Il detenuto era originario di Ceccano (FR) ed aveva 35 anni”. Somma aggiunge che “sempre nella serata di ieri un altro detenuto, nordafricano, ha tentato anch’egli di suicidarsi ma fortunatamente il personale di Polizia Penitenziaria è riuscita a sventare l’insano gesto”.
Per Capece, “a Frosinone servono Agenti giovani, una verifica dell’organizzazione del lavoro e il sostegno concreto delle istituzioni. Credo che chiunque, ma soprattutto chi ha ruoli di responsabilità politica ed istituzionale, dovrebbe andare in carcere a Frosinone a vedere come lavorano i poliziotti penitenziari, orgoglio non solo del SAPPE e di tutto il Corpo ma dell’intera Nazione. Noi sosteniamo infatti, da sempre, che tutto ciò che attiene alle carceri è rimosso dalle menti della popolazione e dell’opinione pubblica, che vive la detenzione come altro da sé, che fa notizia solo nei momenti patologici per evasioni, aggressioni, tragici casi – come suicidi – o per detenuti e inchieste eccellenti. Il lavoro in carcere è un lavoro oscuro, perché quando viene arrestato un pericoloso latitante la vicenda finisce sulle pagine dei giornali, ma tutto quello che accade successivamente, negli anni a seguire, è oscuro e non subirà la stessa sorte, non comparirà sulle pagine dei giornali né in televisione, non farà notizia”.
Per questo, conclude Capece, “è fondamentale che le istituzioni raccolgano nuovamente il nostro appello: investite nella sicurezza per avere carceri più sicure. Questo vale per Frosinone ma anche per tutte le altre strutture detentive laziali, che sono contrassegnate, chi più chi meno, da deficienze organiche e talvolta anche organizzative”.