Fryderyc Chopin, nato sotto il segno dei pesci

di CINZIA DICHIARA-

VITERBO- In questi giorni si ricorda la nascita di Fryderyc Chopin (1 marzo 1810- 17 ottobre 1849), genio romantico del pianoforte, strumento al quale il compositore polacco, parigino di adozione, ha dedicato una produzione musicale di immenso valore.

Dalla casa paterna di Zelazowa-Wola, nei dintorni di Varsavia, oggi museo e sede di concerti chopiniani di tutto rilievo, alla Parigi aristocratica, intellettuale e salottiera della prima metà dell’800, il “poeta” della tastiera visse una parabola esistenziale, paradigmatica dell’artista romantico, che si interruppe all’età di 39 anni a causa di quello che allora era il male del secolo, il “mal sottile”, ma il fulgore della sua arte segnò e impresse una svolta alla vita musicale del tempo, lasciando in eredità alla generazione successiva le premesse di un’ardimentosa libertà compositiva.

Acclamato dall’intellighenzia cosmopolita della capitale francese, era stato introdotto da un anfitrione la cui autorevolezza indiscussa gli aveva permesso, pressoché immediatamente, di accedere a un ambiente prestigioso che gli procurò lavoro, fama e successo incondizionato. Tale fu la stima di Franz Liszt (1811-1886), suo famosissimo scopritore, che questi volle dedicargli un volume postumo, celebrandone la grandezza con la sua attenta magniloquenza.

Il 13 settembre 1836 Henriette Voigt (1808-1839), pianista tedesca i cui figli furono battezzati da Felix Mendelssohn (1809-1847) e Robert Schumann (1810-1856), animatrice di un salotto musicale di rango, annota sul proprio diario:

«Chopin è stato qui ieri. Ha suonato per mezz’ora al mio pianoforte sia delle fantasie che alcuni dei suoi nuovi studi. Una persona e ancor più un modo di suonare interessante. Mi ha stranamente commosso. La dirompenza della sua natura fantastica si trasmette a chi ascolta attentamente. Io tenevo il fiato sospeso. Ammirevole è la leggerezza con cui quelle dita vellutate accarezzano, quasi sfuggendoli, i tasti. Mi ha incantato, non posso negarlo, in un modo come non mi era mai successo prima. Quel che mi rallegrava era il suo carattere infantile, naturale, che si evidenziava, sia nel comportamento, sia nel modo di suonare Il pianoforte.»

 Eppure il sacro vate del pianoforte evitava di esibirsi in pubblico, così da avere al suo attivo molti meno concerti di quelli che avrebbe potuto avere. Nel suonare, egli amava rivolgersi a un pubblico selezionato, riunito in salotto per incontri privati, elargiva i suoi tesori a una ristretta cerchia che ammetteva al suo lirismo espressivo come un sacerdote al suo culto, fatto di un canto che sgorgava dall’intimo sentire, mediante sfumature di suono ed effetti sottili ottenuti con l’attenzione a un tocco raffinato.

Una sorta di timidezza, di riserbo, di severità interiore gli impediva di abbandonarsi all’ebbrezza del successo e all’abbraccio sociale dei suoi fans. Lo testimonia Alfred Cortot (1877-1962), suo grande interprete, caposcuola e fondatore dell’Ecole Normale de Musique de Paris, il quale, nel suo volume Alcuni aspetti di Chopin afferma che l’artista confidò a un amico: «Tu non sai che martirio sia per me suonare in pubblico».

Ora che Chopin non avesse un carattere facile, ma quale grande artista ha mai avuto un carattere facile, è noto, come pure è noto, tuttavia, che la sua inclinazione al ripiegamento interiore non migliorò con le traversie sentimentali del suo legame più importante, quello iniziato nel 1838  con la stravagante e impositiva Aurore Dupin (Parigi 1804-Nohant 1876), sposata baronessa Dudevant, in arte George Sand, pseudonimo protofemminista di una scrittrice ricca e famosa formatasi sulla filosofia di Rousseau, che vestiva in redingote e pantaloni, fumava il sigaro e sfidava la morale comune. La sua roccaforte era il castello di Nohant (XVIII sec.), nel Berry, presso il quale Chopin fu inglobato nella famiglia e trascorse con lei, con i suoi figli e ospiti vari tra artisti, letterati, filosofi, politici, momenti di creazione e di vita intellettuale nonché di vacanza bucolica.

Scrittrice di romanzi indimenticabili, come il sovversivo Indiana, il passionale Lélia, l’umanitario Consuelo, e autrice di idilli, George Sand fu protagonista, neanche a dubitarne, della vita culturale, contro i benpensanti e in favore della libertà femminile. Personaggio- crocevia di amicizie e conoscenze del gran mondo, dal pittore Eugène Delacroix (1798-1863) alla chiacchieratissima contessa Marie d’Agoult (1805-1876), scrittrice anch’essa sotto pseudonimo (Daniel Stern), peraltro moglie di Franz Liszt e madre di Cosima che avrebbe sposato in seconde nozze Richard Wagner dopo aver lasciato il direttore d’orchestra Hans von Bülow (1830-1894), la Sand fu amica altresì di letterati quali Alexandre Dumas figlio (1802-1870) e Gustave Flaubert (1821-1880), nonché sostenitrice dell’arte sopraffina di poeti quali Alfred De Musset (1810-1857), suo amante come pure Prosper Mérimée (1803-1870). Politicamente impegnata sul fronte dei problemi sociali, strenua paladina dei disagiati e simpatizzante di Mazzini (1805-1872), la celebre femme fatale fondò anche un suo giornale di orientamento socialista, La Révue Indépendante.

 Indomito spirito romantico, accompagnò il suo gracile ma fascinoso ed elegante Chopin a Maiorca, presso il convento certosino di Valldemossa, affinché potesse superare il rigore invernale esponendosi al clima mite delle Baleari consigliato dai medici, e assisté colà alla stesura degli ultimi Préludes, pagine poetiche e visionarie la cui composizione descrisse nella sua ponderosa Histoire de ma vie.

Lei e il pianista hanno rappresentato appieno ciò che si suole intendere per intreccio di vita ed arte. Tuttavia la bizzarra e, per quei tempi, scabrosa unione, lei divorziata, autonoma e anticonformista, lui umbratile, sensibilissimo cagionevole e schivo, rese problematico il bilanciamento tra il di lui esistere alla ricerca della nota blu e il di lei sfidare le convenzioni a costo di muovere l’opinione pubblica fino a scandalizzare tutta un’epoca. Una protettiva ma capricciosa femme savante della quale l’inafferrabile e ritroso Chopin mal tollerava la sguaiatezza, alcune grossolanità di modi, lui che possedeva la finesse e l’educazione di un principe. Ne temeva l’audacia, tanto che, da buona femminista ante litteram, era stata lei a fare il primo passo di un amore tumultuoso e altalenante, destinato a naufragare nel mare delle differenze caratteriali. Il riservato compositore della Fantaisie-Impromptu, era desideroso di quiete ed equilibrio, ciononostante fu la stima professionale a irretirli reciprocamente; basta considerare come il musicista si esprime raccomandando un lavoro della Sand in una lettera all’amico politico Wojciech Grzymała (1793-1871) datata Marsiglia, 17 marzo 1839, contenuta nell’epistolario Lettere intime (Lettres) a cura di Luigi Cortese (Alessandro Minuziano Editore, Milano, 1946):

«La mia compagna ha terminato da poco il più ammirevole dei saggi su Goethe, Byron e Mickiewiz. Bisogna leggerlo per provare una gioia del cuore: immagino la tua soddisfazione. Tutto in esso è così vero e vi si manifesta una grandiosità di vedute esente da qualsiasi complicazione o intento laudativo […] Tutti lo leggerebbero…»

Ma lo spirito artistico di Chopin è altrove. Come la sua anima, così anche la sua musica è un monumento al paese d’origine. Ce lo conferma Robert Schumann nella raccolta delle Schriften curata da Roberto Calabretto per i Saggi Marsilio col titolo Chopin e il Virtuosismo romantico:

«L’uomo di genio tende certamente al cielo con le sue vette fiorite, ma allarga le radici nella sua amata terra.»

Immedesimato in un rapporto esclusivo con la sua arte, conservatore legato affettivamente al valore della tradizione del suo popolo, egli ha inteso con tutte le sue fibre intonare attraverso la partitura il canto incessante della Polonia, della sua dolcezza dolente, del suo fuoco ardimentoso. L’accorato sentimento di appartenenza a un popolo fiero e sofferente viene da lui espresso senza soluzione di continuità attraverso l’adozione dei ritmi di danza, aristocratici come la Polonese, o popolari come la Mazurka e viene esaltato nell’impeto degli Impromptus, degli Scherzi e della Fantasia, nella contemplazione onirica dei Nocturnes, nella struggente poesia delle 4 Ballate, nell’amabilità nella Berceuse e nella dolcezza punteggiata da slanci, rapidi affacci sulla brillantezza, della Barcarole, e persino nelle più ‘programmatiche’ Sonate. Le sue pagine sono un inno alla Polonia, alla sua vena melodica, da Chopin esternata grazie all’indole lirica dirompente e inarrestabile, in uno stile straordinariamente commovente.

André Gide, nelle Notes sur Chopin scrive: «Come sono semplici le idee musicali di Chopin! Nulla, in esse, è paragonabile a quanto tutti gli altri musicisti avevano fatto prima di lui; questi (escluso tuttavia Bach) partono da un’emozione, come il poeta, che solo in seguito cerca le parole per esprimerla. Al pari di Valéry, il quale, al contrario, parte dalla parola, dal verso, Chopin da artista perfetto, parte dalle note (anche per questo si diceva di lui che “improvvisava”); ma, ancor più di Valéry, egli lascia subito che un’emozione tutta umana invada questo semplice elemento, da lui ampliato fino alla magnificenza.»

E in perfetta coerenza, dietro sua stessa richiesta, dopo la scomparsa nella sua casa di place Vendôme, le esequie nella Chiesa della Madeleine e la successiva tumulazione accanto a altri immortali esponenti dell’umanità nel cimitero di Père Lachaise, dove Chopin giace in un monumento tombale alla cui sommità spicca la statua della Musica (la musa Euterpe) in lacrime realizzata dal marito della figlia di George, Solange,  il suo cuore, chiuso in una teca di cristallo, superata una serie di vicissitudini che lo videro passare di mano in mano, pare anche dai nazisti, è stato trasferito nella Chiesa barocca di Santa Croce, a Varsavia, dove tutt’oggi viene ossequiato e riverito, quasi venerato.

E sì, perché Chopin è stato una sorta di santo. Un santo della musica pianistica sicuramente.

 

 

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