di MARIELLA ZADRO –
La Sezione viterbese “Pasquale Picone” della Società Filosofica Italiana (SFI) ha organizzato un incontro venerdì 7 marzo alle ore 17:00 presso la Libreria Etruria in via Giacomo Matteotti 67, a Viterbo “Ricomporre l’infranto Walter Benjamin tra messianismo ebraico e utopia libertaria”.
“Là dove, davanti a noi, appare una catena di avvenimenti, [l’angelo della storia] vede un’unica catastrofe che ammassa incessantemente macerie su macerie” (W. Benjamin)
È ancora utile leggere Walter Benjamin a oltre ottant’anni dalla sua scomparsa?
Questa la domanda alla quale il dott. in filosofia Gabriele Ametrano cercherà di analizzare il suo pensiero ed invitare a riflettere su concetti alquanto attuali.
Gabriele Ametrano è nato a Viterbo nel 2001; dopo essersi diplomato al Liceo classico “Mariano Buratti” di Viterbo, si è iscritto all’Università “La Sapienza” di Roma, dove si è laureato al corso triennale nel 2023 con una tesi di Filosofia Teoretica, avendo come relatrice la Prof.ssa Donatella Di Cesare. Attualmente sta concludendo i suoi studi nel corso biennale di laurea specialistica sempre in Filosofia alla “Sapienza” di Roma.
Motivo conduttore dell’opera di Walter Benjamin, afferma il dott. Ametrano, è il costante e irriducibile intreccio tra la dimensione della redenzione e quella dell’utopia, la continua e inscindibile sovrapposizione della sfera religiosa e teologica con quella politica e sociale: si tratta di due piani solo apparentemente estranei e privi di influssi reciproci, la cui interazione ha in realtà esiti generativi filosoficamente dirompenti.
Cardine di un tale intreccio è il concetto ebraico di Tikkun che, nella tradizione della Qabbalah luriana, indica il principio della riparazione dell’ordine infranto e che è posto da Benjamin al centro della sua filosofia del linguaggio e della storia.
Per Benjamin, affinché vi sia redenzione è necessaria la riparazione della sofferenza, della desolazione delle generazioni vinte, il compimento degli obiettivi per cui esse hanno lottato e fallito. Tra le tante azioni umili e umane che possono avere valore messianico, emerge come l’essere capace di radunare e sollevare le narrazioni e le storie dei vinti della storia, la labile voce di coloro che non hanno avuto voce, sia l’atto redentivo per eccellenza: non tanto nella salvezza delle generazioni future, ma nella liberazione dei calpestati, nell’emendazione del torto passato, si gioca il tikkun.
In tale ottica, la storia – lungi dall’essere tanto un processo lineare e progressivo quanto un declino fatale destinato alla catastrofe – è un campo di fratture e di possibilità interrotte, in cui il passato è rammemorato non come un semplice oggetto di contemplazione, ma come una riserva di potenzialità rivoluzionarie.
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