Gala Chistiakova e Diego Benocci, pluripremiato duo pianistico a 4 mani, nel cartellone dei concerti Unitus

di CINZIA DICHIARA –

VITERBO- Per il concerto di questo sabato 25 febbraio 2023 (Auditorium di S. Maria in Gradi, ore 17) si esibirà il Duo Degas, costituito dai pianisti Gala Chistiakova e Diego Benocci, una coppia unita nell’arte e nella vita, attiva con successo nel concertismo internazionale e di recente vincitrice del Primo premio assoluto nella sezione “Duo a quattro mani” del Concorso Internazionale “Roma” 2022.

Il noto duo pianistico si è affermato grazie all’alto livello tecnico ed interpretativo che si potrà apprezzare nell’interessante e vario programma di sala. Per cominciare, la Sonata K. 381 (Allegro; Andante; Allegro molto) di Wolfgang Amadeus Mozart (Salisburgo, 1756-Vienna, 1791), piacevolissimo brano del 1775 in stile galante, che rivela brillantezza e briosità di accenti, richiedendo al contempo levigatezza di suono e preziosità di tocco. Seguiranno suggestive pagine romantiche del norvegese Edvard Grieg (Bergen, 1843-1907) del quale ricorrono i 180 anni dalla nascita, occasione che ha ispirato la scelta dei brani clou della serata: dapprima la Canzone di Solvejg dalla seconda Suite op. 55 tratta dalle musiche di scena del Peer Gynt op. 23, quindi le pittoresche Danze Norvegesi op. 35 (Allegretto marcato; Allegretto tranquillo e grazioso; Allegro moderato alla marcia; Allegro molto) del 1880, quattro melodie nazionali che presentano una forma tripartita ‘A-B-A’, dunque con sezione centrale a carattere contrastante. Le loro attraenti melodie espongono temi e ritmi folkloristici ora graziosi ora irruenti, a tratti melanconici e lirici, di sicuro accattivanti.

Ancora dal Peer Gynt di Grieg, segue in programma la prima Suite op. 46 (Il mattino; La morte di Åse; Danza di Anitra; Nell’antro del re della montagna), nella quale la musica descrittiva si nutre di colori espressivi, con soluzioni timbriche e ritmiche che animano la narrazione fiabesca del soggetto, ispirato alla leggenda nordica del poema in cinque atti del drammaturgo Heinrich Ibsen (Skien, 1828- Oslo, 1906). Grieg trasse le due Suites op 46 e op.55 a 4 mani dalle musiche orchestrali di scena scritte a corredo delle avventure immaginarie del sognatore anticonformista Peer Gynt, personaggio piuttosto privo di fermezza e di ideali, che va districandosi tra gnomi, caverne, giganti e streghe, dalla Norvegia al deserto del Marocco fino al Sud America, nell’incontro con le seducenti figure femminili di Solvejg, la donna che l’ha sempre amato, di Ingrid figlia di un ricco contadino, di Anitra, figlia di un beduino che gli ruba il cavallo, nonché con strani personaggi quali il Gran Curvo, il Passeggero Sconosciuto (forse il fantasma di lord Byron), il Fonditore di Bottoni, l’Uomo Magro (il diavolo?).

Dopo tale parentesi fantastica il concerto si concluderà con l’impetuosa versione a quattro mani di un brano famosissimo: la Rapsodia Ungherese n. 2 di Franz Liszt (Raiding, 1811 – Bayreuth, 1886) i cui struggenti motivi melodici e sfrenatiritmi gitani sono trasferiti dall’orchestra alle 4 mani dei pianisti.

La formazione di duo pianistico a 4 mani suscita entusiasmo e non è infrequente nelle nostre sale da concerto. Essa si impose nella vita musicale della Mitteleuropa dell’800, presso la quale la cosiddetta hausmusik divenne protagonista degli incontri salottieri. Godendo del pieno clima Biedermeier che la benedì tra conversazioni liberali letterario-filosofiche a base di pasticcini e rosolio, essa rispondeva all’esigenza di diffusione dei brani più famosi e importanti del repertorio colto. Pagine di musica sinfonica e operistica venivano trascritte prevalentemente a 4 mani per essere rese accessibili agli appassionati. Era consuetudine eseguire, anche in versioni facilitate per amatori, le sinfonie di Beethoven così come le ouverture più note, le arie entrate nel cuore dei melomani e addirittura interi finali d’atto poiché tra i generi amati dominava largamente l’opera lirica.

Tuttavia, ben presto, la possibilità di sfruttare l’estesa gamma di altezze, riproducendo il tessuto orchestrale sulla tastiera con diversi registri e combinazioni di voci interne ed esterne alternate o sovrapposte nella distribuzione delle parti tra i due esecutori, potenziò lo sviluppo di una letteratura specifica a 4 mani. E grandi nomi della storia della musica, da Mozart a Schubert, da Schumann a Brahms, da Rachmaninoff a Stravinskij, da Dvořák a Poulenc, contribuirono alla sua fioritura donandole brani entrati nel repertorio.

Per di più, in qualità di esecutori non si sottrassero a una così incantevole letteratura pianisti insigni quali ad esempio Clara Wieck, gloriosa consorte di Robert Schumann, e Johannes Brahms, fino ad arrivare a celeberrimi duo pianistici del ‘900 acclamati in tutto il mondo: gli indimenticabili Paul BaduraSkoda e Jörg Demus, i fratelli Alfons e Aloys Kontarsky, nonché le attivissime sorelle Katia e Marielle Labèque.

Occorre considerare che per ottenere un risultato esecutivo di livello la pratica a 4 mani richiede impegno. L’equilibrio tra i due pianisti, dunque tra le parti, va guadagnato con un lavoro certosino attraverso una lettura molto attenta agli elementi del discorso, tra frasi in dialogo o in canonica giustapposizione e passaggi dall’uno all’altro pianista.

Ciò comporta il dover articolare le dita con uguale approccio al tasto, sensibilità di peso, e omogeneità di tocco sulla medesima tastiera; inoltre può rivelarsi poco agevole suonare a distanza tanto ravvicinata. Il problema non è soltanto che debba esservi un’intesa nella visione esecutiva, poiché tale è il risultato al quale mira ciascun ensemble. Ma perseguire un tocco di densità affine, una somiglianza di articolazione e di afflato musicale con slancio sincronicamente misurato può comportare qualche difficoltà anche nella posizione da assumere; addirittura vi sono brani del repertorio, come ad esempio la trascrizione a 4 mani del Sacre du Printemps di Stravinskij, che necessitano di uno studio calcolato di ingegnose posizioni delle mani.

Un simile affiatamento è requisito indispensabile a creare un amalgama bilanciato e adeguato che il Duo Degas ha fatto proprio: due persone e un solo cuore. Nell’arte come nella vita, un pensiero concorde e costante.

  • Abbiamo invitato quindi la coppia di pianisti, moglie moscovita e marito italiano, a rivelarci qualche dettaglio della sua sintonia musicale ed esistenziale. Il portavoce è Diego. Innanzitutto, come nasce il duo a 4 mani?

«Ci siamo conosciuti nel 2013 presso l’Accademia Pianistica Internazionale Incontri col Maestro di Imola quando io mi stavo perfezionando col maestro Enrico Pace e Gala col maestro Boris Petrushansky, in un ambiente di studio entusiasmante, fra colleghi provenienti da tutto il mondo. In tal modo siamo andati avanti nella nostra carriera solistica, salvo che negli ultimi anni abbiamo iniziato del tutto spontaneamente a suonare a 4 mani, fino ad avere esperienze anche a due pianoforti e con l’orchestra, suonando il Concerto K 365 di Mozart, il Carnevale degli animali di Saint-Saëns, le due Suites op. 5 e op. 17 di Rachmaninoff. Oggi abbiamo al nostro attivo un repertorio vasto.»

  • Quali sono gli ingredienti alla base della qualità delle interpretazioni?

«La sincerità, certamente. Quando suoniamo siamo davanti a un pubblico che ci ascolta e ‘sente’. Ed esso comprende subito se un musicista vuol esprimere un concetto in una maniera artificiosa o se quello che dice proviene dal cuore. L’onestà intellettuale prima di tutto.

Poi, nel suonare in duo occorre talvolta farsi un po’ indietro, poiché non si può suonare a 4 mani come si suona da solisti. Spesso siamo soliti discutere di idee, di frasi, di criteri da mettere in discussione: questo è un processo molto costruttivo. La ricerca dell’equilibrio del suono richiede sempre molto lavoro, sapendo valutare ove dare, a volte meno a volte più. Fortunatamente suoniamo in duo dal 2014, ci intendiamo davvero bene e abbiamo occasione di studiare molto insieme, realtà oggettiva importante per trovare un suono comune.

  • Più specificamente

A livello tecnico abbiamo il nostro metodo per dosare le sonorità secondo il senso architettonico delle linee della composizione. Chiaramente nel tessuto complessivo in genere la parte centrale deve risultare più leggera rispetto alle parti estreme, acuta e grave. In tal modo riusciamo a creare un suono tridimensionale che arrivi lontano nella sala da concerto. Ad esempio, di fronte a una dinamica ‘forte’ differenziamo i pesi delle parti al fine di ottenere una sonorità in generale più corposa: tutta questione di bilanciamento tra le nostre mani.

Oltre a tutto ciò, nella partitura bisogna cercare di rispettare o almeno di interpretare la composizione nel modo più vicino all’autore. Pur cercando di non sacrificare la nostra individualità, non perdiamo mai di vista una totale adesione alla musica che andiamo ad eseguire.»

  • Una volta Alfons Kontarsky mi raccontava scherzosamente a lezione, al Mozarteum, che lui e il fratello Alois avevano dei cenni d’intesa, come un impercettibile colpo di gomito per un certo tipo di attacco. Ecco, se ne avete uno, qual è il vostro trucco?

«Generalmente adottiamo una minima gestualità del polso e ci troviamo molto bene. Di certo nel duo a due pianoforti con l’orchestra è piuttosto usuale un cenno col capo, soprattutto quando capita di suonare un concerto per pianoforte e dirigerlo, come in Mozart. »

  • Quali elementi è bene evidenziare ogni volta nella partitura gestita in collaborazione?

«Facciamo davvero attenzione alle dinamiche, curiamo lo spessore dei volumi. Teniamo molto alla trasparenza del suono, qualità che ci viene riconosciuta dalla critica. Il nostro intento tra i più ricercati consiste nello sprigionare una vasta gamma di colori. Capita spesso infatti di sentir suonare con un’escursione ridotta dal ‘mezzo forte’ al ‘forte’; noi cerchiamo di produrre sonorità comprese tra un vero ‘pianissimo’ e il ‘fortissimo’, quando occorre.

 Oltre a ciò sorvegliamo con estrema attenzione la conduzione del discorso attraverso le ‘linee’ affinché non si spezzino. Perseguiamo una loro continuità, cosa che nel 4 mani può essere complicata ma di notevole importanza. Cerchiamo di pronunciare il disegno melodico con naturalezza espressiva e di ‘far parlare’ la musica con sensibile adesione emotiva. Tale finalità estetica proviene soprattutto dalla scuola russa in cui si è formata Gala e dalla mia esperienza con Enrico Pace. »

  • Il fraseggio?

«Nel fraseggiare il ‘legato’ assume una valenza decisiva. La sua buona resa implica un intendimento poeticamente significativo unito ad accorgimenti tecnici: la si ottiene scaricando il peso naturale sui tasti. Deve essere legatissimo ed eloquente al fine di conferire alla frase una sua plastica bellezza

  • Quali, i brani più interessanti?

«Ogni volta che ci immergiamo nella musica di un compositore la apprezziamo sempre di più nel tempo. Di solito amiamo spaziare, e il bel repertorio per duo a 4 mani ce ne offre la possibilità. Il nostro ultimo progetto verteva su Brahms; il prossimo sarà dedicato a Grieg e quindi ora siamo molto dentro la musica del compositore norvegese ma anche nell’universo compositivo di Rachmaninoff. Infatti torneremo a Viterbo il 2 dicembre con un altro programma che comprenderà i Sei Pezzi op. 11, il lavoro più importante tra quelli che l’autore russo naturalizzato statunitense ha scritto per 4 mani. Ci prefiggiamo di registrarli dopo l’estate in un singolo che fa capo a un progetto comprendente altresì la registrazione delle due Suites e delle Danze Norvegesi di Grieg.»

  • Prossimi Impegni discografici?

«È già uscito il nostro primo cd per On Classical, rilanciato anche per Naxos America, con musiche di Čajkovskij dalle Suites dei balletti La bella addormentata, Lo Schiaccianoci e Il lago dei Cigni nelle trascrizioni per 4 mani di Debussy, Rachmaninnoff ed Eduard Langer, un contemporaneo di Čajkovskij cui questi dedicò Capriccioso (Allegretto semplice), quinto dei suoi “Sei pezzi op.19”.

A breve uscirà il secondo cd, registrato la scorsa estate, sempre per On Classical, sotto l’etichetta Naxos. »

  • Come vivono, lei e Gala, il connubio di musica e vita?

«Molto bene. Felicemente. È un punto favorevole e vantaggioso il poter condividere musica e vita. Suoniamo di continuo e andiamo insieme a suonare, quindi condividiamo molto.

Abbiamo anche un bambino, il quale segue anch’egli gli avvenimenti della nostra vita musicale. Cerchiamo infatti di portarlo con noi ogni volta che possiamo, come faremo questo prossimo sabato: verremo a Viterbo tutti e tre!»

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