Il cambiamento come cammino di una speranza operante

di FRANCESCO MATTIOLI-

Dove stiamo andando? O, per dirla con Pietro (Gv, 6,68), “dove andremo?”. E’ un domanda che molti si vanno chiedendo – e non sono tutti cristiani – di fronte ad un mondo che sembra procedere a tentoni. Ma non si torna indietro; l’Umanità è sempre in cammino e guarda avanti: talvolta ha provato a retrocedere, ma non è durata, come vi fosse un vento, per lo più provvidenziale, che la spingesse a riguadagnare la strada di fronte a sé.

Un cammino talvolta affascinante, a volte periglioso, quasi che senza avvedersene gli esseri umani si stessero dirigendo verso una voragine. Nel XX secolo ce ne sono state numerose dimostrazioni; all’inizio, una guerra mai vista per quanto fu sanguinosa scatenò atteggiamenti di nichilismo, di cinismo, di ritiro nel mondo autoreferenziale delle esperienze interiori o, all’opposto, proclamazioni di genica ed etnocentrica onnipotenza. L’Umanità ne venne fuori inseguendo alcuni ideali che si associavano ai più antichi valori dell’occidente: l’uguaglianza e la fratellanza già predicate nei vangeli, la libertà evocata dalla rivoluzione francese, la democrazia conquistata con il sacrificio dei combattenti per un mondo più giusto. E poi, il pacifismo ad oltranza, la compassione e la carità, la difesa dell’ambiente, il superamento delle diversità, il rispetto reciproco tra gli esseri umani. Il tutto, condito da una scienza considerata infallibile, votata al conseguimento del sapere e del progresso, impegnata a liberare l’Umanità dai malanni, dalla povertà, a lanciarla verso l’empireo della ragione e di una consapevole e rafforzata fiducia in sé stessa.

C’era stata, certo, qualche voce inquieta; i cosiddetti “Critici della società di massa” paventavano una strumentalizzazione dei nuovi media da parte di pochi detentori del potere, ed è proprio intorno alla metà del secolo che, accanto alle opere di questi filosofi e studiosi di comunicazione, vengono scritti inquietanti romanzi – Fahrenheit 451, La svastica sul sole – che prefigurano futuri distopici e minacce per l’Umanità.

Ma la speranza reggeva facilmente: nonostante qualche tragico ostacolo, la democrazia sembrava correre, se perfino un’Europa divisa per secoli era riuscita a farsi unitaria negli intenti, negli scambi, nelle leggi.

Tuttavia il XXI secolo ha appannato questo quadro così accattivante. Forse l’Umanità è cresciuta così in fretta in promesse e opportunità da produrre una società globale sì, ma estremamente complessa. E di qui una società liquida, anzi addirittura gassosa, una società dell’incertezza dunque, o addirittura un’epoca di precarietà costante, l’ incertocene. Come se l’Umanità si trovasse di fronte a tanti bivi, senza capire quale via scegliere, se quella apparentemente più facile, o quella impegnativa ma più gratificante, se quella adatta ad alcuni o l’altra alla portata di tutti; se quella in rapida e fascinosa salita, quella confortevolmente pianeggiante o quella in facile ma subdola discesa; quella che tira diritto, quella che piega da un lato o quella che conduce al lato opposto. Se negli anni ’80 del ‘900 si era constatata la crisi delle ideologie, oggi si testimonia il pullulare delle ideologie private, dei saperi individuali, personalizzati sugli interessi particolari dei singoli individui e scarabocchiati sui social o sulle tribune della politica mediatica. E la scienza non aiuta più con le sue certezze; l’affermarsi della fisica quantistica ci restituisce una verità provvisoria, negoziata, convenzionale che nell’onestà di considerarsi perfettibile presta il fianco alla critica sgangherata ma gridata del chiunque. E non solo. La scienza ha prodotto una entità inquieta che attraversa le nostre strade e si slancia avanti a noi, provando a disegnare il futuro: l’Intelligenza Artificiale. Angelo e Demone allo stesso tempo, invocata e temuta, è forse il fattore ritenuto determinante nel tracciare le strade del cambiamento, un cambiamento che molti ormai prefigurano come epocale. E sebbene molti studiosi avvertano che in fin dei conti A.I. è come un coltello -è sempre chi lo costruisce e lo maneggia a determinarne usi e disusi – già qualcuno teme che un giorno non lontano essa scelga da sé e non necessariamente per noi.

Peraltro, neppure la religione, tradizionalmente ricovero per chi si sente perduto, riesce a farsi scialuppa di salvataggio dalle nostre incertezze. Anch’essa è drammaticamente attraversata dalla storia, dagli interessi di

parte, da un tradizionalismo formalista che spesso tradisce gli stessi ideali fondamentali della fede, che sono gli stessi per ogni religione vera: pace, uguaglianza e rispetto fra gli esseri umani.

E allora? Signore, dove andremo?

C’è una singolare e provocatoria occasione quest’anno che ci raduna tutti, di ogni etnia, fede, credenza a sperare nel futuro. E’ quella legata al Giubileo. Che non è solo un evento religioso, ma anche un evento secolare. Che emerge, si proclama e si propone proprio mentre sembra vincere il potere dei forti, l’opportunismo dei deboli, l’egoismo e l’egotismo di tanti. Perché prima ancora che una preghiera, o un rituale e un percorso di fede riservato ai soli credenti, appare come una esplicito richiamo che è nel cuore di pressoché tutta l’Umanità, almeno di tutti coloro che non credono alla violenza, alla guerra, all’inganno, all’odio, al suprematismo e vogliono guardare ad un futuro migliore: il richiamo alla speranza.

Una speranza operante, beninteso. Un speranza che non è né appesa al fato, né limitata da un realismo minimalista. Perché anche la speranza è un viaggiatore in cammino, che deve guadagnarsi la via con determinazione, impegno, talvolta con sacrificio, spesso del proprio orgoglio.

I Camminatori della Speranza sono come i pellegrini del Giubileo. Come questi, alcuni avanzano spinti da una fede d’acciaio; altri alternano alle motivazioni di fede quelle del piacere profano; altri sono inclini a soddisfare mere spinte esperienziali, magari con la sottaciuta attesa di crescere anche in spirito; altri ancora sono solo curiosi o collezionisti di rituali sociali. Ma tutti costoro percorrono il cammino della speranza: fisicamente, limitatamente o ad intermittenza, formalmente, opportunisticamente, immaginificamente, spiritualmente che sia. E ciascuno di costoro pesta sul cammino, creando un sentiero, e una strada, e una direzione e infine una via. Così che affidarsi alla speranza non sia un segno di rassegnazione o di resa, ma sia il rafforzamento delle motivazioni di chi intende tenere dritto il timone sulla rotta di una costante crescita etica dell’Umanità.

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