Il Comitato 10 Febbraio ha incontrato gli studenti statunitensi della SYA, School Year Abroad, per parlare di foibe

VITERBO – Il Comitato 10 Febbraio è stato invitato a un incontro con gli allievi americani della SYA, School Year Abroad, che ha sede in Viterbo.

Sono intervenuti Silvano Olmi, giornalista e dirigente nazionale del Comitato e Antonio Laruccia, esule da Lussino e Generale dell’Esercito in pensione.

Gli esponenti del Comitato sono stati invitati dal professor Daniele Gatti e dal direttore Patrick Scanlon, per parlare agli allievi dell’istituto, in occasione del Giorno del Ricordo, della tragedia delle foibe e dell’esodo di 350mila italiani.

“Ho incontrato degli studenti attenti e motivati – dice Silvano Olmi – con gli insegnanti avevano già studiato le vicende del confine orientale d’Italia. Abbiamo approfondito alcuni aspetti e parlato della manifestazione dedicata a Norma Cossetto, evento ideato a Viterbo da Maurizio Federici e celebrato nell’ottobre dello scorso anno da ben 184 città italiane ed estere.”

Particolarmente emozionante la testimonianza dell’esule istriano.

“Nel 1945 con la famiglia eravamo sfollati a Lussino – ricorda Antonio Laruccia – sull’isola c’era un piccolo presidio di militari italiani comandanti da un sergente maggiore. Gli slavi li ammazzarono tutti e li seppellirono fuori dal cimitero. Le salme di quei poveri ragazzi sono state esumate solo di recente e riconosciute solo grazie all’esame del DNA. I comunisti titini ci imposero di parlare la lingua slava. Organizzavano delle manifestazioni per noi ragazzi, dove cercavano di indottrinarci allo loro ideologia. Mio padre era nella Polizia e prestava servizio a Fiume. Venne sequestrato dagli jugoslavi, torturato e interrogato. Un giorno i suoi carcerieri inscenarono anche una finta fucilazione. Si salvò per miracolo e andammo a Verona, ospiti di una famiglia di amici.

I miei famigliari soffrirono tanto per aver dovuto lasciare la loro terra natale – ricorda il Generale Laruccia – io ebbi difficoltà di inserimento nella scuola. Nel dopoguerra tornai a vedere quella che era stata la mia casa. Terminate le vacanze, gli jugoslavi non ci volevano far rientrare in Italia. Dovemmo attraversare a piedi il confine, guidati da un contrabbandiere.”

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