di MARCO ZAPPA-
VITERBO- Lo scrivo subito, è stata una bella celebrazione al di là delle suggestioni che nascono dal saluto di un vescovo che lascia la guida della diocesi dopo undici anni di attività pastorale e dall’eccezionalità dell’evento.
E lo è stata anche non solo per la grande partecipazione di autorità, rappresentanza di ordini religiosi e popolo viterbese che hanno affollato Santa Maria della Quercia…
Il valore aggiunto che ho riscontrato l’ha offerto la solennità che certe celebrazioni riescono a trasmettere, la compostezza che inducono a noi comuni mortali coinvolgendoci nel “Mistero” e che ci fa partecipare con attenzione e devozione.
E allora mi hanno colpito molti aspetti che cerco si sintetizzare in breve.
La fermezza dimostrata da grandi e piccini che non hanno denotato alcuna forma di insofferenza né fisica né mentale soprattutto se si considera la lunghezza della celebrazione, quasi due ore, trascorse tra l’altro da molti in piedi, causa carenze di sedie.
La pulizia dei canti, guidati con seria compostezza e poi la decisione nello scandire le parole durante le letture con voce ferma e netta…tutto chiaro, semplice e percepibile.
E ancora: durante l’elevazione un silenzio assoluto (con la sola eccezione del solito stupido cellulare che qualcuno ahimè continua a lasciare acceso con suoneria attiva) e l’atteggiamento non certo esteriore di alcuni fedeli in fondo alla chiesa portati ad inginocchiarsi sull’esempio di monache e frati.
In tale contesto guardando il soffitto d’oro a cassettoni ho percepito la forza della Chiesa secolare, riassaporando quella sensazione che più di una volta mi ha affascinato durante le celebrazioni in San Pietro e che fa capire come mai, nonostante i limiti e le miserie di noi umani, le mille difficoltà, se non gli scandali, essa riesca ancora a tenersi stretti i suoi figli e affascinare chi non l’ha mai conosciuta.
Il lettore potrà obiettare che tutto ciò è assolutamente normale, che questo si percepisce durante una messa ogni domenica in ogni chiesa della città…
A questi rispondo che non è proprio così e ribadisco, come ho già scritto in merito, che spesso le celebrazioni sembrano tutt’altro, così come sono, farcite di canti incomprensibili che la moltitudine non conosce ma che deve sorbirsi (validi solo per alcuni frustrati del karaoke dalle voci sguaiate quando non stonate), con chitarre e tamburelli che vanno fuori tempo, senza controllo, né grazia alcuna.
Con fedeli che ciarlano per tutto il tempo guardando l’orologio nell’attesa che passino presto i quaranta minuti canonici.
Con alcuni che declamano le letture velocemente, come se inseguiti da qualcuno, o a voce bassa, triste o spenta, neanche stiano leggendo un necrologio e celebranti simili a show man che trasformano la liturgia in un’autentica pagliacciata.
Finalmente dunque qualcosa di bello e intenso in un contesto di mediocrità.