Il cuore antico di Marta

di DANIELA PROIETTI-

MARTA (Viterbo) – Ho ricominciato a viaggiare e, benché questi viaggi non durino che lo spazio di qualche ora, o al massimo di una giornata, sono in grado di scatenare in me emozioni talmente profonde da non riuscire a trattenerle.

Il giugno di quest’anno si sta rivelando un mese decisamente capriccioso e, come se la sua sostanza fosse della carta copiativa, sta proponendo tutte le bizze di un marzo tardivo. Domenica scorsa sono stata a Marta. Non è certo una meta desueta, il paese è sulle rive del Lago di Bolsena, il lago vulcanico più esteso d’Europa e il quinto in ordine di grandezza dopo i tre grandi laghi del settentrione e il Trasimeno, di origine tettonica. Stavolta, la mia gita non è stata come tutte le altre.

Una volta un mio carissimo amico, parlando di una persona che gli aveva rubato il cuore, disse “E’ stato come accorgermi per la prima volta di avere un quadro meraviglioso appeso alla parete di casa. Tanti anni che era lì, e non me ne ero mai accorto. Passavo davanti al dipinto ogni giorno, e ne ammiravo la combinazione dei colori, senza far caso alle linee che li definivano e alle pennellate che componevano le forme stesse. Soltanto quando per puro caso mi sono soffermato a scrutarlo con attenzione, ne ho capito il pregio”. Anche la donna doveva essergli passata avanti di continuo negli anni, ma si era accorto di lei quando oramai era troppo tardi.

Marta mi ha colpita in maniera analoga. L’ho conosciuta per anni soltanto come località di villeggiatura e sede di ottimi ristoranti di pesce, ma ho dovuto ricredermi: è stato come dischiudere una teca in vetro opacizzato dal tempo. All’interno, ho trovato un monile che mai mi era stato svelato. Il cielo di metà giugno non prometteva affatto bene. Temevamo che da un momento all’altro i grandi cumuli si sciogliessero in una miriade di goccioloni di pioggia. Per contro, di tanto in tanto, il sole esitante andava ad illuminare le acque del lago e la terra, regalandoci quel tepore che sarebbe normale a ridosso della stagione estiva. Eravamo stati accolti dalla lunga fila di tigli, allineati come dei soldati sull’attenti, che portano ristoro ai passanti durante la stagione estiva. Il lungolago della cittadina si snoda per diversi tratti, e ciascuno di essi ha delle caratteristiche differenti.

Abbiamo parcheggiato la nostra macchina poco prima del Borgo dei Pescatori. Quando arrivo in qualche posto, la prima necessità che sento, è sedermi ed osservare tutto ciò che mi attornia. Siano esse persone, paesaggi, monumenti o natura. A Marta non ci sono certo problemi nel trovare una seduta, e il panorama offre uno spettacolo decisamente poco comune.

Come declamava il filosofo cinese Lao Tzu, vissuto molti secoli prima di Cristo e fondatore del Taoismo (disciplina che si pone come obiettivo la preservazione della vita e della pace della persona), “l’uomo dovrebbe fare in modo che il proprio cuore sia come un lago, con una superficie calma e silenziosa e una profondità colma di gentilezza”.

Nei tanti anni che mi sono recata al lago, sono state rarissime le volte in cui lo ho visto increspato, specie in estate. Una macchia di colore puro, tra il blu e il grigio, determinato dalla sensibile profondità. Domenica era ancora una volta calmo, e l’Isola Martana, appoggiata sulla distesa d’acqua, era chiara davanti a noi. Spostandosi verso nord, e costeggiando la riva, si giunge al “Borgo dei Pescatori”, luogo di residenza dei pescatori del paese che, a bordo delle loro piccole imbarcazioni, si spingono al largo per portare sui banchi delle pescherie il celebre lattarino e il gustosissimo coregone, uno dei pesci più buoni che mi sia mai capitato di mangiare.

Di fronte al lago spiccano le pittoresche e colorate case di questi lavoratori del mare, che ormeggiano le proprie barche sulla riva accanto alle reti da pesca. E’ una meraviglia vedere questi strumenti dal sapore antico, adagiati sul piccolo arenile come se stessero riposando, stremati dal duro compito assolto nell’oscurità della notte. Continuando a camminare, si giunge a un piccolo molo e a un promontorio.

Come viene l’estate, mi piace indossare delle scarpe con i tacchi alti. Secondo me non esiste nulla di più femminile di un sandalo col cinturino alla caviglia. Di certo, salire le scale in cemento non è stata una passeggiata, e lo è stato molto meno scenderle, ma la visione della piccola porzione di spiaggia appartata che abbiamo iniziato a scorgere tra i fitti rami degli arbusti che si innalzavano ai lati dei gradini, ne è valsa la pena. Non avendo con noi il costume, e non essendo confortati da temperature tipicamente estive, siamo tornati indietro e ci siamo incamminati per uno dei vicoli stretti e angusti collocati appena al di sotto della Torre dell’Orologio. I paesi della Tuscia si assomigliano un po’ tutti, sarà per la pietre usate, il duro peperino e il più friabile tufo o per l’architettura caratterizzata da elementi semplici, oppure ancora per le strette viuzze che separano un’abitazione dall’altra, in alcuni punti così prossime, che sembrano quasi baciarsi. Marta non è differente dagli altri, ma racchiude un’anima medioevale che mi ha immediatamente incantata. Ci siamo incamminati per le lievi e strette salite che, intrecciandosi tra i palazzetti adornati da fiori, portano alla torre che sovrasta il paese e domina il bacino lacustre. Mi sono soffermata ad ammirare gli edifici, uno ad uno, esaminandone le pareti, gli stipiti delle porte e delle finestre e cercando di valutarne l’età, dopo aver osservato gli effetti provocati dall’azione del tempo. Ho immaginato come possa essere il buongiorno guardando al di fuori di una delle piccole finestre che interrompono la precaria uniformità delle mura, specialmente nei nebbiosi mattini autunnali, quando i raggi di luce fanno capolino tra i petali dei gerani. Guadagnando la torre, ci siamo imbattuti nello straordinario panorama offerto dal lago, dalle colline che lo contengono e dalle isole. C’era vento, e le enormi nubi ancora una volta giocavano a nascondere il sole, donando un’ampia gamma di chiaroscuri al paesino. La torre, alta 21 metri, domina la cittadina e ne è il simbolo. A pianta quadrata e tronco ottagonale è, assieme alle prospicienti case, ciò che rimane della rocca. E’ possibile accedere alla terrazza che sovrasta la torre, ma noi non ne abbiamo avuto l’opportunità. Nel punto d’ingresso che immette all’ultimo piano, è incisa una data, 1253, che sembrerebbe segnare l’anno di copertura della stessa. Nella parte inferiore, invece, un bassorilievo rappresenta l’insegna araldica della famiglia Farnese. La torre fu celebrata anche da Dante nella sua Commedia, e ne è testimonianza una mattonella in ceramica apposta al suo basamento in cui sono riportati alcuni versi del Paradiso che nominano, appunto, la “malta”, la prigione riservata agli ecclesiastici che Dante identifica con essa. Da questi elementi è possibile desumere che abbia origini molto antiche, sebbene non se ne conosca la datazione esatta. La tradizione vuole che sia stata edificata facendo uso delle pietre della distrutta città di Bisenzio, ma secondo alcune altre fonti l’uniformità del colore farebbe pensare che siano state estratte da una cava. Poco distante dalla torre, si trova un luogo molto suggestivo, la grotta delle apparizioni dove, a partire dal 1948, la Madonna si sarebbe rivelata diverse volte. Scendendo, abbiamo notato un grande palazzo, dalle alte pareti, massiccio, quasi avesse ricoperto il ruolo di fortezza. Marta è anche teatro di vivaci sagre e di un’importantissima festa religiosa, in cui si onora la Madonna del Monte, il cui santuario, arroccato su una collina sulla Via Verentana, domina il paese. Il 14 maggio di ogni anno,tranne il corrente, per motivi a noi ben noti, si svolge una delle feste più coinvolgenti di cui io abbia memoria, la Barabbata, o Festa delle Passate. La preparazione dell’evento, impegna i martani per quasi l’intero anno. Nei primi anni della mia carriera, ho avuto la fortuna di insegnare la lingua francese in tre classi della scuola primaria di Cellere, un piccolo borgo che dista circa 20 km da Marta, dove era tradizione portare i ragazzi ad assistere alla Barabbata. A me non era mai capitato di vederla, anche perché data l’altissima affluenza di pubblico, è necessario recarsi sul posto al mattino molto presto. Andammo con lo scuolabus, che ci portò direttamente al centro del paese. Il tripudio di colori e l’abbondanza dei fiori, dei frutti della terra e del lago, provocò in me una sorta di Sindrome di Stendhal. La ricchezza dei prodotti della natura toccò direttamente le corde dell’anima, provocando in me un’emozione talmente forte che, a distanza di oltre 25 anni, ancora ricordo. Non so se sia vero, ma una volta ho sentito dire che i nativi di Marta, ogni 14 di maggio, fanno carte false per poter essere presenti alla loro incredibile e unica festa. In estate, invece, si andava alla Sagra del Lattarino, un pesce di lago dalle dimensioni minuscole che veniva fritto in un enorme padellone. I tanti avventori, ne mangiavano in gran quantità estraendo i piccoli pesci da cartocci in carta paglia. Il desinare

era accompagnato da uno dei migliori vini della zona, la Cannaiola, un rosso forte e corposo ottenuto dalle uve del luogo.

Da bambina, con mio padre, andavamo a comprarlo da un contadino del posto. Aveva una casa particolarissima, la ricordo in modo sommario, ma per accedervi bisognava salire una rampa lunghissima e ripida. Al di sotto del livello stradale, c’era la cantina, una grotta buia e fredda dove erano alloggiate grandi botti piene di gustosa Cannaiola, di cui ci veniva sempre offerto un bicchiere d’assaggio.

Marta è una località in grado di soddisfare ogni senso del nostro corpo… la vista, con i suoi struggenti panorami, l’udito col muoversi calmo e ovattato delle acque, il tatto, quando viene a contatto con le stesse acque del lago, l’olfatto, con gli odori tipici delle zone pescose e, soprattutto, il gusto, grazie all’ottima qualità dei prodotti ittici e a quel meraviglioso vino rosso che non ha eguali.

 

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