Il Trio ROMAE, un ensemble di interpreti versatili. sabato a Viterbo per l’Unitus

di CINZIA DICHIARA-

VITERBO- Il prossimo concerto della XIX Stagione concertistica pubblica 2023-2024 dell’Università degli Studi della Tuscia, organizzata dal prof. Franco Carlo Ricci, prevede sabato alle ore 17, presso l’Auditorium di S. Maria in Gradi, l’esibizione di un trio di giovani musicisti: Marco Bonfigli, clarinetto, Luca Peverini, violoncello, e Michelangelo Carbonara, pianoforte, riuniti nell’ensembleTrio Romae’.

Il programma comprende una varietà di brani: il Trio op. 114 in la minore di Johannes Brahms (Amburgo, 1833-Vienna, 1897), il Trio in re minore di Michail Glinka (Novospasskoe, Russia, 1804-Berlino, 1857) e le Cuatro Estaciones Porteñas (Primavera Porteña, Verano Porteño, O tono Porteño e Invierno Porteño) di Astor Piazzolla (Mar del Plata, Argentina, 1921-Buenos Aires, 1992).

Per conoscere più da vicino i tre interpreti e sapere qualcosa della loro collaborazione Incontriamo il portavoce dell’ensemble, il socievole ed entusiasta Michelangelo Carbonara. Pianista del trio, vanta nomi altisonanti di maestri nel suo curriculum, da Sergio Perticaroli, Giuliana Bordoni Brengola e Fausto Di Cesare a Bruno Canino, Gyorgy Sandor, Alicia De Larrocha, Aldo Ciccolini e altri ancora; scuole di perfezionamento prestigiosissime, dall’Accademia Nazionale di Santa Cecilia al Mozarteum di Salisburgo, e, altrettanto, premi in concorsi internazionali (tra cui lo Schubert di Dortmund) e concerti in tutto il mondo, dalla Cina alla Carnegie Hall di New York; attività discografica di rilievo e attività didattica al conservatorio di Potenza nonchè masterclass in Romania, Cina e Canada.

La nostra chiacchierata ha inizio così:

  • Come nasce il Trio Romae?

Marco, Luca ed io ci conoscevamo già, essendoci incontrati in conservatorio e in accademia. Divenuti amici, tra di noi è stato naturale trovarci a suonare insieme.

  • A conferma che gli ensemble nascono quasi sempre per affinità, per amicizia, per condivisione…

Sì, in tal modo anche le prove sono un vero piacere, sono occasioni per dialogare e confrontarsi, dunque un valore aggiunto.

  • Quando avete deciso di costituire il trio?

Non è molto tempo, in realtà sono appena tre o quattro anni.

  • In questo periodo come si è svolta la vostra attività concertistica? Avete partecipato a festival, fatto registrazioni?

Siamo stai a suonare all’estero, in Albania, in Croazia, a Hong Kong, abbiamo fatto delle tournée. Abbiamo suonato anche per i Concerti del Quirinale.

  • Il vostro repertorio?

Il repertorio per questa particolare formazione non è vastissimo, quindi innanzitutto abbiamo messo su i capolavori, pezzi obbligati, come Beethoven, Brahms, il Trio di Nino Rota, inoltre alcune trascrizioni interessanti, ad esempio quelle di Piazzolla, che pur non nascendo per questa formazione si prestano molto, anche perché siamo tutti e tre propensi a coltivare gli aspetti più moderni del fare musica, non solo classica ma anche jazz, pop, rock. Amiamo mescolare musica da film, colonne sonore, Morricone e altre trascrizioni, spaziando un po’. Uno strumento ad arco e uno a fiato come il clarinetto permettono di fare più generi rispetto alla formazione di trio con archi e pianoforte; un tale trio è formazione più composita.

  • Il programma di sabato come è stato scelto?

Soprattutto in base al gusto. Abbiamo piacere di suonare Brahms. Questo trio non è troppo eseguito, ed è spettacolare. Siamo partiti da lì. Poi, per abbinare qualcosa di carattere e stile contrastante abbiamo pensato a Piazzolla, autore raramente eseguito in questa formazione. Normalmente infatti si esegue in quintetto con pianoforte e archi. Invece, le parti distribuite solo a tre strumenti divengono un poco più dense e rendono bene.

  • In tal caso presentate trascrizioni elaborate da voi stessi?

Questa è una trascrizione diciamo ufficiale, non originale, ma le trascrizioni più accreditate sono state riviste e approvate dallo stesso Piazzolla.

Poi abbiamo pensato a Glinka per la sua cifra particolare, soprattutto in questo brano, uno strano connubio di musica russa e musica italiana.

  • Addentrandoci più nel programma, e iniziando da Brahms, per il quale il clarinetto riveste una valenza privilegiata, qual è il vostro modo di ‘sentire’ questo autore?

Per noi è un pezzo nuovo, ancora non eseguito nelle tournée precedenti. Abbiamo iniziato a suonarlo insieme quest’anno, mentre, invece, ognuno di noi lo aveva suonato in passato e dunque ne aveva già una idea propria. È stato perciò interessante lo scambio di pareri. Ma l’aspetto più bello è che la struttura del brano non necessita di un compromesso esecutivo, lasciando ampia libertà a ciascuno di poterlo immaginare sia come brano piuttosto ‘posato’, poiché è un Brahms maturo, sia di leggerne la valenza espressiva, la melodiosità, con una certa flessibilità. Non occorre sacrificare alcun punto di vista poiché possono convivervi anche caratteri contrastanti. Non lo sapevamo, lo abbiamo scoperto studiandolo.

Brahms viene spesso trattato, ma questo è solo un mio pensiero, come un compositore i cui brani siano dei blocchi puri. La sua scrittura è piuttosto ‘quadrata’; ad esempio, raramente indica ‘rallentando’ o altre inflessioni del discorso e invece vi è bisogno di una componente di libertà e di fantasia non scritte ma contenute dentro le note. Soprattutto l’ultimo Brahms è più denso e anche più sintetico, i brani sono meno estesi e più concentrati, includono maggiore sostanza. Sviscerarne le caratteristiche significa a volte trovare dei modi che richiedono immaginazione e libertà al punto giusto, per conseguire una varietà che la scrittura da sola non produrrebbe. È una bella sfida perché questo è uno dei brani più complessi, più delle sonate per clarinetto, ad esempio. Esse sono più ‘dirette’, lineari, invece il Trio per clarinetto è più complesso e altrettanto il Quintetto con archi e clarinetto, poiché da lì bisogna tirare fuori un mondo. Il primo Brahms era più estroverso più entusiasta, l’ultimo Brahms diviene più pensato, più maturo, richiede un lavoro di cesello affinché non divenga dispersivo per chi ascolta. Musica non semplice da porgere.

-In questo Trio siete tre solisti autonomi che dialogano. Ciò è sempre possibile?

In generale tra noi vige una sintonia d’intenti e un grande intuito comune che circola tra le parti, pertanto accade che, chiunque di noi prenda l’iniziativa, gli altri due si sintonizzano e seguono. Ma ciò non vuol dire che suoniamo in maniera eccentrica, eh! In definitiva, il nostro Brahms non è granitico, compatto, uniforme, bensì sfaccettato.

  • Glinka, che cosa vi ha spinto verso questo autore?

Ci ha sempre attratto molto. È alquanto bistrattato, ma attualmente comincia ad essere più in vista perché si va alla ricerca di pezzi inusuali. La sua maggiore qualità riguarda l’aspetto stilistico, il carattere lirico. È l’autore più melodrammatico tra i russi. Presenta delle parti talmente cantabili che potremmo definire donizettiane. La concezione formale del breve trio che eseguiremo, dura in tutto un quarto d’ora, appare forse un po’ bizzarra: il brano è diviso in 4 sezioni, a metà tra la rapsodia e il trio; la struttura del primo movimento è priva della ripresa, che arriva invece nel secondo movimento. È ben scritto a livello strumentale.

  • E per finire, invece, Piazzolla

Autore estremamente divertente per me, ma anche per i miei colleghi. Entriamo in un altro mondo. Laddove con Brahms e anche con Glinka occorre equilibrare tutto, dare una visione precisa, con Piazzolla siamo quasi al pop, ci si può lasciar andare, non c’è bisogno di dosare. È musica più viscerale; è un vero contraltare, un bel contrappeso alla prima parte del programma. E ha una forte presa sul pubblico. Penso che Piazzolla abbia avuto intuizioni fantastiche ma che le abbia sfruttate continuamente, molto a lungo.

Si sente che il pubblico è contento di ascoltarlo. Le sue Quattro Stagioni sono un esempio di  composizione meno semplice e più strutturata. Un paio di esse durano da sole circa 20 minuti, dunque si tratta di un tango un po’ lunghetto, intellettualizzato.

A noi piace essere visti come un gruppo del presente, io andrei anche oltre, verso i Queen o giù di lì! Mescolare i generi, con garbo, è anche un segno educativo. Quando studiavo erano ancora ben ben definite le ‘classi’. Chi faceva ‘musica colta’ considerava il jazz una brutta scuola.

  • Certamente, la musica colta è stata sempre un po’ sul podio. Con quale atteggiamento affrontate la concezione intellettuale e gli aspetti complessivi di un Beethoven o di altro autore, ma anche del pop o di un altro genere?

La cosa più importante è che noi rispettiamo molto i diversi stili. Ogni autore e ogni stile hanno dei precisi connotati che vanno rispettati. L’approccio a livello emotivo è completamente diverso per ciascun autore o genere, ed è bello che sia così. Non amo unire generi diversi in una commistione di pasticci goffi, poiché le loro differenze si possono far coincidere fino a un certo punto. Questi esperimenti sono serviti in passato, forse, per avvicinare il pubblico.

  • Tipo le contaminazioni di Pavarotti & Friends?

Sì, tuttavia trovo che unire i generi sia un modo di eludere, come se si volesse evitare di definire e chiarire l’uno o l’altro linguaggio. Bisogna invece avere la sicurezza di interpretare ciascuno stile con le caratteristiche sue proprie e renderlo apprezzabile per questo, che sia classico o pop.

  • La differenza tra il genere cosiddetto ‘classico’ e i generi ‘leggeri’?

Nel ‘classico’ bisogna agire da narratori per farlo arrivare al pubblico e farlo capire, altrimenti all’ascoltatore medio non arriva. Il narratore riesce a farsi seguire e a far recepire la sua parte. Tale  è l’obiettivo più difficile e importante da conseguire. Altrimenti, si suona senza dire nulla. Interpretare vuol dire dare la versione di racconto e godere questo racconto anche se non lo si conosce, seguendolo nelle linee della sua bellezza. Sta al musicista riuscire a comunicarle.

Invece nel ‘pop’ questo problema non c’è. Per le nostre orecchie è pronto all’uso, la sua comprensione è immediata. In tal caso è più interessante renderne profonda la parte fisico-viscerale, che conta tantissimo. Contiene molta meno filosofia e più corrispondenza di vita reale.

  • E tutto questo non va a inficiarne il valore, siccome parliamo di arte…

Si potrebbe mai dire che un romanzo come Guerra e Pace di Tolstoj possa avere meno valore di una commedia eccezionale come A qualcuno piace caldo? A me non viene da pensare che l’uno possa essere superiore all’altro. Intanto ciascuno dei due autori non avrebbe saputo fare quello che ha fatto l’altro. Quindi, in ogni genere artistico, riuscire a creare qualcosa che funzioni è difficile. E allora riuscirvi è arte, vi è dentro una sapienza.

  • Un breve ritratto dei suoi colleghi

Marco (clarinettista di Latina, insegnante a Monte San Biagio e anche in sedi estere prestigiose, è attivo come concertista in tutto il mondo, dalla Colombia, a San Francisco a Hong Kong, ndr.) è una persona genuina e solare e prende anche la musica in questo modo, Quando suona si muove tanto, come se volesse mimare i brani per trasmetterli al pubblico. È molto incline al suono cantabile, come  farebbe un grande cantante, e non è proprio un tipo freddo nel suonare ma, al contrario, si dà completamente. Ama l’empatia con chi ha intorno ed è sempre pronto a spiegare i brani al pubblico. Possiede grande energia e nel suonare è molto fantasioso. Nel repertorio più moderno è liberissimo, ha uno spregiudicato uso degli stili.

Luca (romano, violoncello stabile presso il teatro dell’Opera di Roma, vincitore di concorsi importanti formatosi in Accademia di Santa Cecilia e in Accademia Chigiana, e concertista in tutto il mondo, ndr.) invece è più serioso, di stampo accademico, ha un suono strepitoso, proprio in quanto a cavata e a vibrato, molto riconoscibile e molto bello. È di temperamento calmo, predilige i tempi moderati. Penso che il nostro trio sia una bella combinazione, siamo talmente diversi!

  • Quali sono i requisiti basilari per cui delle persone possono ottenere dei risultati insieme?

Tutti i membri dell’ensemble devono amare profondamente la musica. Niente capricci o mancanza di tempo, ma dedizione totale, dignità fino in fondo nell’impegno con il gruppo, che va vissuto con piacere.

A noi piace la musica e amiamo suonare insieme. In aggiunta, compatibilità di intenzioni, di conoscenze. Di fondo, occorre un sano spirito di gruppo: saper entrare nel mondo dell’altro e in quel momento supportarlo. A differenza del quartetto d’archi, che richiede una fusione totale come se si fosse uno strumento unico, il trio lascia maggiore spazio alle individualità ed è un ottimo modo di stare insieme.

  • Per concludere

Un saluto al pubblico viterbese e alla stagione che esiste da anni e ho frequentato da esecutore molte volte. Il nostro è un concerto, come molti di quelli che si svolgono a Viterbo, pensato per offrire qualcosa di interessante, una formazione e un repertorio non conosciuto da molti, che presenta molteplici aspetti da scoprire. È davvero vario, bello, completo, da conoscere. E noi tre cercheremo di rendere onore a questo programma.

 

 

 

 

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