In versione pdf la pubblicazione “Atlante dei patrimoni territoriali e di comunità dell’Ecomuseo Alta Tuscia”

ACQUAPENDENTE (Viterbo) – Regalone natalizio da parte dei Comuni di Acquapendente e Proceno a tutti i lettori del nostro quotidiano. In versione PDFhttp://www.comuneacquapendente.it/…/Atlante_Ecomuseo..è consultabile la stupenda pubblicazione “Atlante dei patrimoni territoriali e di comunità dell’Ecomuseo Alta Tuscia”. Realizzata dall’Ecomuseo del Paglia dell’Ecomuseo del Paglia” la quale prossimamente uscirà in versione cartacea. Realizzata con il contributo economico della Regione Lazio – Direzione Regionale Cultura e Politiche Giovanili, è stata progettata e coordinata editorialmente da Enrico Petrangeli, sintesi contenutistica ed elaborazione delle cartografie tematiche: Antonella Lisi, fotografie di Filippo Belisario, Matteo Faggi, Cesare Goretti, Roberto Papi, Moica Piazzai, Adio Provvedi, Maurizio Sabatti, fondo Fotografico della Biblioteca comunale di Acquapendente, archivio fotografico del Museo del Fiore (Torre Alfina ideazione grafica e impaginazione Cesare Goretti, Stampa: New Print Ambrosini di Acquapendente finito di stampare nel mese di novembre 2020. Nell’augurare ai nostri affezionati lettori di trascorrere serene feste di fine ed inizio i Sindaci Dottoressa Cinzia Pellegrini (Proceno) e Dottor Angelo Ghinassi (Acquapendente) forniscono il proprio contributo alla versione.

CINZIA PELLEGRINI SINDACO DI PROCENO

Fin da quando ho memoria, due momenti della vita di Proceno mi hanno veramente affascinato e riportato a casa: la Processione di Sant’Agnese e quella del Primo Maggio. Ricordo piccola sbrigarmi, nella salita del Salaiolo, per prendere posizione nella piazza della Chiesa grande, e assistere al momento in cui qualcuno, con voce chiara gridava e grida ancora, “Evviva, Evviva, Evviva Sant’Agnese”, mentre i portantini della statua della Santa Patrona la innalzano al cielo per 3 volte. Se si pensa ad alcune feste patronali della nostra Provincia, una su tutte quella di Santa Rosa di Viterbo, la Processione di Santa Agnese a Proceno potrebbe sembrare piccola, meno caratteristica. Eppure l’emozione, quella vera, quella profonda, quella che prima cresce incurante mentre cammini per le vie seguendo la statua e poi, profonda e sincera, improvvisa e intima ti prende quando arrivi in piazza, quella è qualcosa da custodire e da preservare. E poi la processione del Primo Maggio. Se quella di Santa Agnese la considero essenzialmente come un rito per riscoperte intime e personali, quella del Primo Maggio forse la racconterei come un ritrovo di famiglia. Andiamo in piazza, parcheggiamo la nostra macchina, che per l’occasione è stata scrupolosamente pulita, possibilmente già rivolta “con il muso” verso la strada della Pace. Ascoltiamo la messa, in piazza, con la statua di San Giuseppe sopra un trattore o sopra un camioncino. Poi con le parole “Andate in Pace” e la benedizione del parroco, corriamo alle nostre macchine, con l’obiettivo di convincere anche l’amico che farà il “Giro del Giglio” a prendere posto nella macchina della tua famiglia. Saliti in macchina, si accendono i motori e si segue la statua, suonando il clacson. Andando poi, ovviamente, pianissimo. Passando in sfilata davanti alle case di famiglia i bambini hanno il diritto di suonare più forte, e allora vedi affacciarsi tua nonna, tua zia, tua mamma che ti salutano e poi felici, anche loro, si ritirano a preparare il pranzo. Ieri come oggi. Ieri più di oggi. Mi sono sempre chiesta perché lo facciamo, chi è stato il primo a portare la propria macchina, un trattore o il motorino, in piazza, il giorno della Festa dei Lavoratori per farlo benedire dal santo dei lavoratori. Ma da quando sono diventata sindaco sono stata mossa dalla paura che questi momenti si perdessero, che la nostra generazione, molto di corsa, non trasmettesse l’emozione alle generazioni successive che sta dietro quei gesti rituali. Mi sono chiesta come questi ricordi potessero diventare anche direttrici di qualità dell’abitare e del vivere di una comunità. Quando mi è stato raccontato cosa fosse l’Ecomuseo credo di aver socchiuso gli occhi e detto a me e agli altri: “Non ho capito, spiegami di nuovo”. “Perché si fa fatica a capire che qualcosa della nostra eredità immateriale come un’abitudine, una tradizione, possa essere ricostruito nella sua genesi e nel suo significato sociale, simbolico e culturale attraverso un approccio rigoroso e rispettoso che possa ri-proporlo per contribuire a mantenere vivo un paese. Impegnarsi nella costruzione di un ecomuseo non è un atto di amarcord: è anche l’occasione per sapersi allenare ad accettare i cambiamenti e le innovazioni del futuro. E’ anche lavorare per costruire appartenenze e generare in coloro che hanno scelto le città anche per lavoro, la volontà di ritorno alle proprie seconde case; significa impegnarsi a rendere il paese attrattivo per visitatori e per chi voglia stabilircisi e intraprendere un’attività economica. Ricordo in passato il campionato dei rioni, i ragazzi formare la squadra che spesso concludeva con una cena organizzata per le strade. Oggi magari non ci sarebbero i numeri di persone per organizzare una squadra. Ma ci sono i bambini che d’estate si chiamano con i cellulari e organizzano le partitelle nella piazza o sulla terrazza. Un Ecomuseo è tale se sa entrare in queste situazioni; se si da come l’allenamento emotivo a capire che quel gesto di riunirsi insieme farà si che, tra qualche anno, qualcun altro lascerà giocare il proprio figlio dicendo “ricordo quando…”. Ed è un approccio ecomuseale che ti consente di verbalizzare la differenza tra tradizioni delle campagne e tradizioni del paese, di cui si trova riscontro per esempio nelle diverse ricette di famiglia, nel “più sale o meno sale” o l’ancor più sfidante, nel “farina qb (quanto basta)” che fa impazzire la nostra generazione. L’Ecomuseo consente di far uscire queste peculiarità dall’ambito personale e familiare e di farle diventare patrimonio comune. Questo Atlante vuole essere allora una prima raccolta degli ingredienti che compongono un ecomuseo; una raccolta di informazioni del nostro passato e di approcci metodologici che le riattualizzano e le dispongono per il nostro futuro. I momenti come quelli della vendemmia, o del raccolto che in parte sta scomparendo, insieme ad alcuni visi e voci importanti delle diverse generazioni; le gite con la banda musicale, che a Proceno oggi non c’è più; i pranzi al fiume, che potrebbero sembrar avere meno appeal rispetto ad un weekend a Parigi, trovano allora un proprio posto, come in un album di famiglia, custoditi e alimentati dalle generazioni che si succederanno. A Proceno la divisione, come l’unione, ha caratterizzato il nostro passato. Il poterli e saperli narrare, con l’emozione e senza l’intenzione della valutazione, ci ha guidato nel costituire le basi dell’Ecomuseo Alta Tuscia del Paglia. Il nome di questo Ecomuseo nasce anche dalla volontà di raccontare il mondo degli elementi naturali che creano confini anche territoriali ma che poi si ritrovano lambiti come nel corso di un Fiume. Che i Procenesi e gli Acquesiani non siano sempre andati d’accordo non è storia nuova; ma che questa sorta di concorrenza sia motore di appartenenza a questo territorio risulta allora altrettanto stimolante. L’Atlante vede i capitoli 3, 4 e 5 dedicati alla geologia, all’idrografia, alla flora e fauna; i capitoli propongono le conoscenze naturalistiche che spiegano il perché, per esempio, l’aglio rosso possa essere seminato nel territorio di Proceno, di natura per lo più argillosa, e non possa essere prodotto nella zona dell’Alfina, di natura vulcanica. Considerare le peculiarità dell’agrobiodiversità locale e considerarli nelle possibili direttrici di sviluppo locale è il contenuto del capitolo 18. Ci sono vari capitoli dedicati alle nostre tradizioni e alle nostre consuetudini, come il capitolo 12, che racconta la funzione sociale delle feste, la loro necessità e la loro evoluzione: quelle tradizioni che si inventano. Il 13 e il 14 offrono uno sguardo sulle condizioni dell’ecomuseo, rappresentate dalla rete di relazioni e da alcune attività della Riserva e dall’altro lato dalla rete sentieristica: a piedi sul territorio perché l’ecomuseo è diffuso, non raccolto. Ed è qui che ritroviamo la Francigena che tanto ci ha insegnato a capire che, cambiando prospettiva, noi di Proceno potevamo definirci non “quelli dell’ultimo paese del Lazio”, ma “quelli del primo paese del Lazio” giacché la nostra posizione rende Proceno Porta della Regione Lazio. Un giorno, anni fa, un giornalista di Siena parlando dei Procenesi ci definì “inconsapevolmente autentici”. Quel giorno mi piacque molto la definizione. Con i capitoli 1, 2 e poi il 16 e il 17 abbiamo allora la possibilità di capire meglio come questo Ecomuseo possa sostenere la nostra comunità rendendola, con racconti orali e con la costruzione di comunità, “consapevolmente autentica”.

SINDACO DI ACQUAPENDENTE ANGELO GHINASSI

Perché recuperare e valorizzare la memoria delle nostre radici, delle nostre tradizioni, della nostra identità? In un mondo sempre più globalizzato, dove le mille culture e tradizioni si fondono in una moderna Babele, dove anche i gusti si sono ormai appiattiti e standardizzati, ahimè, verso il basso. Dove, in nome della speculazione, la natura viene costantemente violentata. Dove prevalgono le mode e le opinioni dettate dai social media, dove tutto è vero e tutto è falso allo stesso tempo. Dove si è perso il senso della bellezza. Sentivamo veramente il bisogno di un Ecomuseo? L’Ecomuseo Alta Tuscia del Paglia, come è ben spiegato in questo Atlante, non è un luogo per la raccolta e la conservazione, ma piuttosto è un mezzo per il recupero e l’utilizzo, con modalità evolutive, della nostra identità, non fine a se stessa, ma al servizio del nostro territorio. Uno strumento attraverso il quale valorizzare il nostro patrimonio immateriale, formato da competenze, saperi, abilità, conoscenze e tradizioni, per prenderci cura del nostro patrimonio naturale e culturale. Un obiettivo ambizioso ma necessario, soprattutto per i nostri giovani, ai quali sono stati tramandati, forse poco e male, modelli di vita quotidiana e orizzonti di valore che noi, quelli della mia generazione, abbiamo fatto in tempo almeno a conoscere e che hanno caratterizzato la nostra ancestrale cultura. Pensiamo ad esempio al valore del cibo, all’importanza del gusto. Riscoprire il piacere dei cibi semplici della nostra terra, come le biche col sugo buciardo e ‘l vino adacquato, oppure apprezzare la fatica del lavoro dei campi che, seguendo la liturgia della biodiversità, è in perfetta armonia con la natura. E ancora, aprire gli occhi per riscoprire il nostro paesaggio, che non è la natura incontaminata, ma è opera dell’uomo, che attraverso l’agricoltura lo ha rispettato e con l’architettura rurale lo ha valorizzato. Dobbiamo essere consapevoli che lo scenario rurale del nostro territorio è di grande valore ed è un’importante risorsa turistica che va tutelata. Ne sanno qualcosa i tanti, tra pellegrini, viandanti ed escursionisti, che attraversano il nostro territorio, dove il sentiero non è solo un mezzo per raggiungere un luogo ma è esso stesso il fine. Poi c’è il paesaggio urbano, il centro storico di Acquapendente, i borghi di Torre Alfina e di Trevinano, luoghi da recuperare, dove c’è ancora molto da fare. Dobbiamo essere consapevoli che qualunque intervento, di recupero, di messa in sicurezza, di adeguamento, di ampliamento o nuova costruzione, deve essere rispettoso del contesto storico dove è inserito il fabbricato. Il nostro Ecomuseo può aiutarci anche in questo, perché è al tempo stesso custode della nostra storia e archivio della memoria, non un archivio statico ma dinamico, continuamente alimentato dalla nostra evoluzione. L’Ecomuseo, quindi, è innanzitutto uno strumento per noi, per la nostra comunità, per apprezzare l’eredità immateriale, molto più preziosa di quella materiale, ricevuta dai nostri avi e tramandarla ai giovani e alle future generazioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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