L’8 giugno 1810 nasceva Robert Schumann

di CINZIA DICHIARA-

Bisogna spesso benedire il cielo per averci mandato su questa terra uomini ai quali è stato affidato il mandato di elargire bellezza attraverso opere d’arte immortali. Rientra senza dubbio tra questi il compositore e critico musicale tedesco Robert Schumann, nato a Zwickau l’8 giugno 1810, e scomparso nella clinica per malati mentali di Endenich, nei sobborghi di Bonn, il 29 luglio 1856.

Autore di capolavori sinfonici e da camera, nonché di fondamentali pagine pianistiche del repertorio romantico, il suo genio ha dominato lo scenario mitteleuropeo del primo ottocento imponendosi con la sua particolarissima e schizzata individualità di artista assoluto. Dalla prima opera, il Tema con Variazioni sul nome Abegg, è evidente una sorta di gioco criptico del quale le note, corrispondenti alle lettere dell’alfabeto, rivestono significati collegati a idee creative programmatiche, poiché seguono un disegno nascosto che molti musicologi si sono adoperati a studiare scoprendo all’interno della sua musica un segreto mondo letterario, dal quale essa scaturisce.

Fin da ragazzo, come ebbe a scrivere anche nei diari, aveva manifestato un’originalità di pensiero unita a qualche sintomo di stranezza nella personalità. Ciò lo aveva condotto nella direzione di una irrefrenabile fantasia che sfogò scrivendo composizioni musicali dettate da un mente sorprendente. Tutto ispirato a simboli, a codici di riferimento di un universo sentimentale e poetico influenzato dall’estetica di autori altrettanto immaginifici, il più vicino al suo modo di sentire Jean Paul Richter (1763-1825), del quale ammirava il mondo letterario di romanzi come Flegerjahre o Titan con l’entusiasmo di uno scopritore.

Le sue idee sono spesso espressione dei due personaggi jeanpauliani Florestano e Eusebio, nei quali ama sdoppiarsi secondo una tendenza del tempo cui non si sottrae neanche il giovane amburghese Johannes Brahms (1833-1897), suo protetto e devoto amico, firmando i suoi primi pezzi come giovane Kreisler.

Il maestro Kreisler, un pazzo Kappelmeister tratto dalla letteratura di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann (1776- 1822), rappresenta nell’immaginario schumanniano un personaggio- modello per una delle più belle creazioni pianistiche, i Kreisleriana op. 16.

Fondamentale l’attaccamento di Robert all’adorata moglie Clara Wieck (1819-1896), insigne pianista dell’800, figlia del suo maestro Friedrich Wieck (1785-1873) da lui sposata dopo aspre battaglie in tribunale poiché Wieck era contrario all’unione, pare, per alcuni tratti di debolezza che già intravedeva nel giovane Robert.

L’esistenza meravigliosa e inquieta dei due coniugi Schumann fu vissuta nella temperie dell’idealismo romantico mentre entrambi si affermavano nella carriera, lui di compositore e direttore d’orchestra tra Lipsia, Dresda e Düsseldorf, lei di concertista in giro per l’Europa. Al contempo allevavano una discreta prole (in totale otto figli, non tutti sopravvissuti, dei quali l’ultimo, battezzato Felix in onore dell’amico Mendelssohn, nacque dopo l’internamento di Robert a Endenich).

La loro era una corrispondenza di anime tra artisti sopraffini, che con i loro spiriti vivificarono e sostanziarono la vita culturale dell’epoca; oggi conosciamo moltissimo, tra diari personali, scritti di amici, cronache del tempo, critiche musicali ecc.

Il peculiare modo di concepire la composizione nonché lo stretto legame con Clara, furono tali che inizialmente l’uno componeva ispirandosi a brani dell’altra, come accade negli Improvvisi op. 5 su un tema di Clara Wieck (dalla Romance variée op. 3 della pianista).

In particolare, la figura di Clara, come stella fissa, è onnipresente nella fantasia schumanniana, tanto che nelle sue composizioni i riferimenti tematici legati alla sua immagine sono piuttosto frequenti. Incantevoli e appassionati brani dedicati agli ensemble come il Quartetto op 47 e il Quintetto op. 44, furono scritti pensando a Clara, alla quale il quintetto è espressamente dedicato.

Lo stile di Schumann, sorprendente di continuo, ora lirico, ora frizzante, gaio ed esplosivo, ora triste e ripiegato, è sempre inquieto, con escursioni nella libera luminosità ma anche nella penombra del mistero. Esso offre un caleidoscopio di immagini e di sensazioni che si possono apprezzare ascoltando Papillons op. 2, Carnaval op.9, Davidbundlertanze op. 6, Toccata op. 7, Studi sinfonici op. 13, Scene infantili op. 15, Fantasia op. 17, Arabeske op. 18, Humoreske op. 20, Carnevale di Vienna op. 26, solo per citare alcune opere nelle quali al pianoforte è affidata tutta la sua poetica, fino al Concerto per pianoforte e Orchestra, caposaldo della letteratura pianistica.

Uno dei tratti distintivi, dunque, è che ’intera opera di Schumann sia pervasa dal suo sentimento poetico e letterario della musica, ereditato dal padre August (1773-1826), colto libraio, scrittore di romanzi e traduttore di Byron, che egli non poteva concepire disgiunta dal disegno di un’idea simbolica tradotta in lettere, in concetti dal rimando esterno rispetto al suono, eppure suoi generatori. Dalle Sinfonie alla liederistica, che ama ancor più per il suo amore per la poesia, Schumann traghetta una carrellata di immagini e di riferimenti, come nella terza Sinfonia op.97, detta ‘Renana’, che, narra il suo biografo, il violinista e critico musicale Wilhelm Joseph von Wasielewski (1822-1896), fu ispirata dalla vista del duomo di Colonia. Ma ciò non tragga in inganno: il suo è tutt’altro che un descrittivismo musicale, dal quale, anzi egli si distacca. La parola per Schumann è scaturigine di suono, laddove l’una sia parte dell’altro, e non ad essa sovrapposta o aggiunta, in una simbiosi perfetta, intrinseca alla musica stessa.

Tutta la sua vita è avvolta dallo spettro della sofferenza psichica fino all’ultima opera, le Geistervariationen, ovvero variazioni su un tema cosiddetto ‘degli spiriti’, che è parso scaturire dalla sua soggettività ormai irrimediabilmente compromessa, tanto che sua moglie ne nascose lo spartito, peraltro a lei dedicato, non comprendendone il valore e temendone l’origine legata ad angeli o a creature ultraterrene, forse gli spiriti di Mendelssohn e di Schubert a lui comparsi in sogno, forse ispirata da urlanti creature demoniache.

Ancor prima di lui nella famiglia d’origine era diffuso un certo malessere legato a stati depressivi della madre e a sciagure famigliari che lo segnarono.

Numerosi gli episodi allarmanti, narrati soprattutto da Clara nei diari e accennati anche da amici, conoscenti e biografi. Il più eclatante, quello del suo tentato suicidio con un tuffo nel gelido fiume Reno a Düsseldorf, nel 1854: uscito di casa in giacca da camera eludendo la sorveglianza, fu salvato da marinai e ricoverato, pare, dietro sua esplicita richiesta.

Nonostante il suo orizzonte psichico contemplasse tanto dolore, acuito peraltro da sconfitte professionali e qualche umiliazione, come quella di non essere più ritenuto in grado di svolgere le sue funzioni di direttore a Düsseldorf, e la conseguente dedizione a pratiche spiritiche divenute per lui un sistema maniacale di interesse al dialogo con entità superiori, o forse proprio per questo, il suo corpus compositivo risplende di insuperabile vitalità creativa, di una varietà di idee, vulcaniche come magma incandescente.

Magari la discesa nell’inferno dei disturbi mentali non sarebbe stata così drammaticamente inesorabile se vi fossero state cure adeguate. Ancora oggi, infatti, nonostante le cartelle cliniche, i documenti relativi alla malattia e le testimonianze siano tutti a disposizione degli studiosi, il che ha prodotto una messe di interpretazioni mediche sulla sua patologia, è piuttosto difficile stabilire con certezza il disastroso iter che condusse il sensibilissimo Robert a una fine così terribile, tra un’impasse e l’altra, dalla sifilide al delirio alcolico. Di certo risulta che una volta rinchiuso in manicomio, lo stato di salute, i suoi pensieri e le sue capacità intellettive peggiorarono progressivamente. Leggere quelle cronache sanitarie è straziante. Una mente così grande era ridotta quasi al perdere la dignità.

Privato inoltre delle visite della sua adorata Clara, ritenute nocive anche da lui stesso per la serenità di entrambi, in quella fase fu consolato dalla presenza di pochissimi amici e dell’amato Johannes Brahms, da poco approdato nella sua casa e divenuto parte del nucleo familiare, una volta benedetto quale “araldo della nuova era” nella veste di critico musicale della Neue Zeitschrift für Musik, da lui fondata.

A questa nuova era non giunse, se non attraverso l’ammirazione e l’amore dei suoi amici che, come Brahms continuarono a vivere e a creare nel solco da lui tracciato, pur distaccandosene. Nessun erede fu come lui. Tutto cambiò inesorabilmente. Il secondo romanticismo assunse tutt’altri connotati. E quale figura unica e irripetibile, Schumann rimane a testimoniare che è esistita un’epoca in cui, più di ogni altro fattore, la linea da seguire è stata dettata dall’estrema mobilità della musica unitamente al sentimento tedesco della poesia.

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