La campanella della politica a Riccardo Muti per questo Natale

di CINZIA DICHIARA-

Un concerto di amore per i giovani musicisti, per l’Italia, per la bellezza dell’Arte quello che stamani il maestro Riccardo Muti, monumento nazionale della direzione d’orchestra nel mondo, ha diretto a Palazzo Madama per il tradizionale appuntamento di Natale al cospetto del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e di alte cariche dello stato. Alla testa dell’Orchestra Luigi Cherubini, ensemble giovanile da lui stesso fondato, Muti ha diretto con la consueta sapienza musicale, animato il giusto dalla sua verve incessante, e più che altro scortato dall’impeccabile destrezza interpretativa. Quindi ha ricevuto dalle mani del presidente del Senato Ignazio La Russa il dono simbolico della campanella dorata in segno di gratitudine e di ammirazione”. Si tratta dello strumento in uso durante i lavori dell’Aula, come il senatore spiega nel porgerlo al maestro – “con cui di solito si cerca di riportare la tranquillità in Senato quando è un po’ in ebollizione, ma è anche un suono che nelle sue mani può diventare dolcissimo”.

Muti ha risposto all’omaggio con riflessioni estemporanee elargite all’uditorio mediante la sua abituale bonomia e la sua vivace intelligenza, pronta alla battuta di spirito partenopeo come l’esclamazione pronunciata al suono disturbante di un cellulare: “Stutatelo ‘sto telefono!”

E con la semplicità d’animo delle personalità di valore, semplicità che unitamente alla carica umana affonda le radici nella ricchezza, anche popolare, del sapere, del talento e della conoscenza, ha premesso: “Io non ho preparato un discorso e quando non lo faccio nessuno può prevedere cosa esce dalla mia bocca.” 

Espressione coerente con la personalità libera e mai allineata a convenienze. Ma grazie a valori da lui sempre propugnati, il breve, incisivo e appassionato discorso riesce a toccare corde meravigliose e nobili, con riferimenti che forse non siamo più abituati ad intercettare nella mentalità contemporanea della performance, del business dell’arte, del consumismo dei sentimenti, della tendenza all’oblio delle origini, della tradizione, della storia.

Le sue parole riguardano innanzitutto i destini della musica, cioé di quei giovani che si imbarcano in un mestiere difficile e mai scontato con l’intenzione sacrosanta di dedicare la loro esistenza alla musica: “Questa è la parte bella dell’Italia di cui si parla poco in genere, i media parlano poco di questi ragazzi che dedicano la loro vita a cercare la bellezza e l’armonia…”

È noto che il maestro ha molto a cuore l’argomento: Avete assistito ad un concerto di due composizioni estremamente complesse (l’Ouverture ‘Coriolano’ op. 62 di Ludwig van Beethoven e la Sinfonia ‘Roma’ op. 37 di Georges Bizet, ndr), suonate benissimo dal fiore della gioventù italiana.”

E aggiunge che il suo lavoro con l’Orchestra Cherubini è basato sull’intento di aiutare i giovani e trasmettere il suo insegnamento: “Io ho fondato venti anni fa l’orchestra Cherubini per tramandare gli insegnamenti che ho avuto da miei grandi insegnanti“.

In tal modo ha inteso offrire a questi ragazzi la possibilità di formarsi al meglio, tant’è che oggi molti di loro lavorano in orchestre importanti nel mondo. E aggiunge: “Io sono fiero di loro, perché loro danno un senso a tutta la mia vita di musicista”. Questo il suo dichiarato riconoscimento per l’impegno di questi giovani, con la considerazione che il frutto, se matura, matura dopo anni e anni e anni di sacrifici e di studi.”

Quindi, citando una massima di Seneca derivata dal primo degli aforismi di Ippocrate, riconduce al senso della caducità della vita e al valore dell’arte: “Questa è l’arte: ars longa, vita brevis”.

Poi, riferendosi a sé stesso, si sofferma sull’origine dei suoi inizi nell’humus popolare dalla Banda di Molfetta, suo paese natio, anche se in seguito si è formato a Napoli e a Milano. E cita con sincero orgoglio i suoi maestri, illustrando una sorta di albero genealogico dei suoi studi, risalente nientemeno che a Giuseppe Verdi tramite il suo maestro Antonino Votto, braccio destro di Toscanini. In tal modo vuol richiamare l’attenzione sull’importanza della figura di guida negli studi artistici, aspetto oggi troppo spesso posto in secondo piano e tutto da recuperare.

Come detto in altre occasioni”- chiarisce- “io non provengo da Accademie blasonate”. E aggiunge con una forte dignità: “Mi hanno fatto membro onorario dopo, ma io vengo dalla scuola italiana!”

Come un uomo del Risorgimento, ancora una volta non perde l’occasione per proclamare il suo amore indefesso per l’Italia e con la sua appassionata vena patriottica prosegue: “Quando ero direttore all’Orchestra di Chicago, quando uscivo dal concerto a trenta gradi sotto zero, avevo sempre un senso di calore dentro di me, perché di fronte all’entrata (della sede ndr.) dell’Orchestra sinfonica di Chicago c’è il grande Art Museum dove infisso nella pietra c’è scritto Michelangelo, Raffaello ecc”.

Tutto il suo eloquio e i suoi contenuti, sono rivolti a valori fondamentali, partendo dall’arte musicale, salvacondotto anche per ragazzi di contesti sociali emarginati. Ne porta l’esempio ricordando un suo incontro con dei giovani di Scampia, i quali volevano trovare attraverso la musica un senso di libertà, un senso di bellezza”. Per Muti la musica ha effettivo valore quale mezzo di edificazione sia personale sia collettivo, che permette di unire le persone nella convivenza pacifica.

Nel suo argomentare non ha trascurato di lanciare anche una piccola e innocua frecciatina ai critici musicali, menzionando al contempo i suoi successi americani e soprattutto evidenziando il riconoscimento del suo operato, da tempo tenuto in altissima considerazione oltreoceano.

Dopo aver citato l’imminente concerto di Capodanno che tornerà a dirigere a Vienna, promette di inviare i suoi auguri di là a tutti gli italiani: “Se avete voglia il primo dell’anno vi farò gli auguri da Vienna”. Ancora una volta con familiare cordialità e senza infingimenti da star.

Infine, essendo appena tornato dall’estremo oriente, decide di accomiatarsi con un proverbio cinese che sembra contenere la bontà morale e la dolcissima poesia di antiche discipline di pensiero: ’’È a forza di pensare ai fiori, che i fiori crescono’.

Caro ed eletto maestro Muti, ci auguriamo tanto che l’altezza del suo intendimento trovi sempre degni seguaci.

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