La Casa circondariale di Viterbo intitolata alla memoria dell’Agente di Polizia Penitenziaria Nicandro Izzo

VITERBO – La Casa circondariale di Viterbo è stata intitolata alla memoria dell’Agente di Polizia Penitenziaria Nicandro Izzo, in servizio nel carcere Poggioreale di Napoli che venne ucciso dalla camorra il 31 gennaio 1983.

A darne notizia è l’Associazione Nazionale Polizia Penitenziaria. Al termine del corso di formazione presso la Scuola Allievi di Cairo Montenotte (SV) venne assegnato alla Casa Lavoro di Gorgona. Nel 1969 venne trasferito alla Casa Circondariale della Spezia da dove, nel luglio del 1976, alla Casa Circondariale di Napoli Poggioreale dove è rimasto fino al 31 gennaio del 1983, data della sua morte”. “Izzo lavorava al controllo e accettazione dei pacchi indirizzati ai detenuti, dove svolgeva con fermezza e rigore il proprio dovere, attenendosi sempre alle regole senza consentire in alcun modo il passaggio di oggetti vietati, pur sapendo che molti dei pacchi controllati erano destinati a boss della camorra”, ricorda Donato Capece, presidente nazionale dell’ANPPE. Proprio per questa sua scrupolosa osservanza del regolamento fu condannato a morte dalla camorra. Proprio a causa delle numerose minacce arrivate a Izzo, il Ministero di Grazia e Giustizia dispose il suo trasferimento a Roma presso il carcere di Regina Coeli, per motivi precauzionali. Purtroppo, però, Nicandro non raggiunse mai quella destinazione perché la mattina del 31 gennaio 1983 fu raggiunto da un colpo di pistola alla testa mentre stava raggiungendo il pullman per tornare a casa. Izzo era sposato ed aveva due figli che all’epoca della sua morte avevano sei e otto anni”.

Capece plaude al Decreto firmato dal Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Russo e ricorda che “tra i nobili scopi statutari dell’Associazione Nazionale Polizia Penitenziaria vi è anche l’impegno di glorificare i caduti del Corpo degli Agenti di Custodia e del Corpo di Polizia Penitenziaria. Ricordare è importante e, purtroppo, nel nostro Paese continua a mancare una cultura della Memoria. Dopo le commemorazioni ufficiali, con il bacio sulle guance ai sopravvissuti agli attentati o ai familiari dei Caduti, con relativa retorica, che sono spesso serviti alla visibilità e a vantaggi politici per gli oratori, la solidarietà, spesso verbale, si è affievolita. Sembra quasi che si voglia cancellare il passato, ma i familiari dei Caduti, i feriti e gli invalidi, testimoni oggettivi restano lì come un monito. Vengono quindi considerati una memoria fastidiosa e ingombrante perché provocano il ricordo di tragicità e orrori. Le Vittime del Dovere sono state troppo spesso dimenticate da questa società distratta, che brucia in fretta il ricordo del dolore di chi è stato colpito negli affetti più cari. Ben pochi coltivano la memoria di quanti sono Caduti e tramandano alle generazioni future il loro patrimonio di valori morali, le loro certezze istituzionali, la loro fedeltà alle strutture democratiche. Sono rimasti i familiari ed i colleghi dei carabinieri, dei magistrati e dei poliziotti trucidati a ricordarLi”.

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