La grandezza di una famiglia nello splendore del Museo del Costume Farnesiano di Gradoli

GRADOLI ( Viterbo) – Armi ed armature, abiti ed accessori. Un variegato campionario di biancheria, gioielli, copricapo, guanti, calzature, borse e ventagli. Ma anche gli antichi registri dell’Archivio Storico Comunale e una collezione di ceramiche rinascimentali provenienti dagli scavi dei butti. È un’ampia raccolta che comprende non solo riproduzioni di costumi d’epoca rinascimentale e barocca quella che, a dispetto del nome, propone il Museo del Costume Farnesiano di Gradoli, ospitato a Palazzo Farnese.

Riveste, quest’ultimo, una grande importanza storico-artistica dal momento che rappresenta uno dei primi episodi compiuti di dimora umanistica, testimonianza della nuova etica del vivere rinascimentale. Nel 1517, infatti, il Cardinale Alessandro Farnese, futuro Papa Paolo III, incaricò Antonio da Sangallo Il Giovane della realizzazione dell’imponente struttura che, ancora oggi, domina l’abitato. La visita al complesso al civico 2 di Via Palombini è, di per sé, un’esperienza.

Arricchita, però, dall’allestimento avvenuto sul finire del 1998, dopo lunghi interventi di restauro avvenuti sotto l’attenta direzione dell’architetto Eugenio Galdieri. Nella ricca magnificenza decorativa e simbolica di tutti gli ambienti nobili del palazzo, riveste rilevanza emblematica la Stanza dei Monocromi, dove sono raffigurate scene di battaglia di mare e di terra che adombrano le leggendarie, mitiche origini della famiglia Farnese.

Una fantasiosa versione encomiastica data dal grande umanista Fra’ Annio da Viterbo – suggerisce il direttore, Fulvio Riccinelle sue Antiquitates e, in particolare, nel De Viterbiis viris et factibus illustribus, di cui Nanni fece omaggio a Pierluigi Farnese, patrono dei luoghi nonché padre del futuro Papa Paolo III che si premurò di gratificare lo studioso con una personale lettera gratulatoria”. Una decorazione pittorica che, negli ultimi anni, ha suscitato interesse e attenzione critica.

La maggiore applicazione ha contribuito ad approfondirne la conoscenza, esaltandone l’alta qualità artistica e la complessa elaborazione iconografica e iconologica, testimonianza diretta della sottigliezza intellettuale del cardinale, ma anche prova tangibile dell’azione delle raffinate maestranze della bottega di Raffaello, reduci dalle fatiche delle Logge Vaticane, che apportarono innovazioni concettuali e stilistiche.

Sui muri del palazzo di Gradoli sono riproposti i temi elaborati nelle incisioni realizzate da Agostino Veneziano, il Maestro B del Dado, Giovan Battista Palumba e, il più noto di tutti, Marcantonio Raimondi. Il modello tipologico della dimora aristocratica rinascimentale trova qui la sua più completa espressione nell’articolazione architettonica e nel complesso decorativo delle stanze nobili.

Incentrato su un articolato sistema unitario basato sui fregi dipinti delle pareti, l’orditura dei soffitti lignei cassettonati – decorati da complessi geroglifici dai complicati significati simbolici e sapienziali di matrice neo-platonica, scenette di contenuto mitologico e allegorico – nonché da una ripetuta reiterazione dei riferimenti araldici dei Farnese, sia del ramo laico, sia del ramo clericale, e sui resti dei pavimenti realizzati in cotto.

 

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