“La pietra e la cattedrale”: il saggio di Gianluca Zappa per i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri

di Redazione –

VITERBO – Per il centenario di Dante la casa editrice Edizioni di Pagina di Bari, propone nella collana Accenti il saggio di Gianluca Zappa “La pietra e la cattedrale“. Una lettura della Divina Commedia. Zappa è docente di letteratura italiana in un liceo classico, ha al suo attivo testi creativi (raccolte di liriche, poemi, commedie), la traduzione della versione teatrale de L’uomo che fu Giovedì di Chesterton, realizzata da Ada Jones (cognata dello scrittore inglese) e un saggio molto interessante, The Truman Show: l’uomo vero e l’Anticristo. Ora propone questa sua lettura della Commedia che, ci dice, nasce dalla frequentazione assidua del poema dovuta anche alla sua missione di insegnante: “Questo saggio è in parte mantenere una promessa, fatta a tanti miei studenti in anni di lavoro sul testo di Dante. E’ frutto di convinzioni maturate lentamente e condivise con loro, risente di uno scambio continuo che avviene nell’aula scolastica. E’ il figlio di un’avventura. Il centenario è stato lo stimolo per avere una scadenza precisa, e per non rimandare oltre quello che avevo promesso ai ragazzi, che spesso mi hanno chiesto di scrivere”.
Ma si può scrivere ancora qualcosa di nuovo sulla Divina Commedia? Non è stato già detto tutto?
Il mio metodo di lavoro è quello di confrontarmi direttamente con il poema, di cercare di penetrarlo, di viverlo. E questo cerco di passare agli studenti. Certo, non nego che alcuni maestri mi hanno aiutato a vincere una certa difficoltà che incontravo nell’accostarmi a Dante, io che in cinque anni di liceo classico avevo avuto sette docenti di italiano diversi e che, nei miessi studi universitari. Ho cercato di evitarlo in tutti i modi. La lettura, ad esempio, degli Studi su Dante di Romano Guardini è stata per me uno stimolo molto potente: mi ha fatto intuire che lì, in quei versi, c’era un mondo che mi interessava davvero. E così ho cominciato a leggere con passione, lasciando da parte le letture critiche. Dico la verità: spesso ho fatto la scoperta che intuizioni che credevo originali non lo erano affatto, che qualcun altro aveva già sottolineato certi aspetti. In questo senso ho avuto anch’io la sensazione che “tutto fosse stato già detto”.
E allora?
Allora mi sono chiesto che senso avesse proporre una “mia” lettura di Dante. E’ una questione di onestà.
E si è risposto?
Sì. E’ un problema di accenti. Altri hanno detto molto, non tutto, certo, però hai sempre la possibilità di estrarre qualcosa da questo molto, qualcosa che ti sta particolarmente a cuore, che ritieni indispensabile per affrontare adeguatamente il mondo di Dante. Ed è precisamente questo il tuo accento inconfondibile e nuovo.
La pietra e la cattedrale… cioè?
E’ un invito ad una posizione corretta davanti alla Commedia. Questo grande poema è un immenso edificio che va letto come un tutto che si tiene, che ha un senso. Dentro c’è un cammino di consapevolezza, una maturazione progressiva. Dante scrive dopo che il cammino si è concluso e che questa maturazione è avvenuta, ma rappresenta il cammino, che parte da un disorientamento totale per poi mettere piano piano a fuoco le questioni essenziali, per rimettere ogni cosa al suo posto. Invece ancora oggi abbiamo della Commedia l’idea di singoli episodi particolarmente riusciti o significativi (specie della prima Cantica) e perdiamo completamente il senso di tutta la costruzione. Siamo ancora abituati a soffermarci sulla pietra, non pensiamo alla cattedrale. Io pongo l’accento su questo aspetto e vorrei aiutare a leggere il poema a partire da uno sguardo che tiene conto del tutto e lo si può fare, perché è Dante stesso che ci aiuta a farlo.
Come?
Con dei rimandi interni ai canti e tra i canti e le cantiche, con una costruzione abilissima del testo. La Commedia è costruita secondo l’approccio simbolico della Sacra Scrittura, quell’approccio che era così vivo nell’uomo medievale e che ispira le grandi realizzazioni dell’epoca (pensiamo appunto alle cattedrali, alle loro facciate, all’organizzazione dello spazio, ai colori degli affreschi…). Questa accurata costruzione non ci lascia soli nella comprensione del testo che Dante sa e dichiara complesso, polisemos. Ci invita a seguire le tracce, gli indizi che ha disseminato per noi. Dante spiega Dante. L’errore peggiore che si può fare è non rispettare questo suo sforzo, non comprenderlo fino in fondo. Ed è un errore fatto soprattutto dalla critica romantica, che ha come sovrapposto un proprio universo a quello dantesco.
Da qui la sua rilettura piuttosto decisa dei canti V e XXVI dell’Inferno…
Capolavori nel capolavoro, ma travisati. Pensiamo, ad esempio al canto di Ulisse, del tutto diviso in due parti da certe letture critiche che vanno per la maggiore: una prima nella quale l’eroe greco è il dannato di Malebolge, una seconda in cui diventa una sorta di “spirito magno” del Limbo. Ne esce a pezzi l’unità del canto, ma anche il genio di Dante, che avrebbe così creato qualcosa che non si tiene in piedi. E poi non dimentichiamo la questione dello zibibbo?
Lo zibibbo?
Mi rifaccio ad un’acuta metafora di Erich Auerbach, che critica i dantisti che si comportano come i bambini che rubano lo zibibbo e sentono molto poco del gusto della torta. Ci si esalta di fronte alla bellezza di certi versi (come ad esempio il “Quale ne’ pleniluni sereni…” di Paradiso XXIII) senza tener presente il sentimento profondamente religioso che li ha ispirati, anzi, dando di Dante l’immagine di un uomo dissociato, poeta nonostante la sua fede. Sbagliano completamente: è proprio la dottrina di Dante che genera quelle immagini, è l’immensa profondità e serietà della sua esperienza religiosa che fa nascere la sua poesia. Quella esperienza va recuperata, va in qualche modo rivissuta. Altrimenti la Divina Commedia diventa semplicemente un’altra cosa.
Da qui l’ultimo capitolo del suo saggio, che invita a guardare all’esperienza di Dante.
Certo, perché a me sembra che Dante stesso ci scongiuri a guardare quell’esperienza, a cercare di comprenderla, per quanto in fondo indicibile. Il fascino della sua opera è tutta in quel “io vidi”, in quella verità di visione che egli non si stanca di metterci davanti agli occhi. Dobbiamo seguirlo, sforzarci di farlo.
E poi resta il fascino della cattedrale…
Dell’ordine che Dante ha immesso nel suo poema, dove tutto si risponde, tutto si tiene, tutto si chiarisce. D’altro canto chi come lui contemplava l’ordine divino presente nell’universo, non poteva non concepire un universo poetico perfettamente ordinato. Fino a curare i minimi dettagli, come quel miracoloso verso centrale che ho scoperto.
Ha scoperto il verso centrale della Commedia? Questo è nuovo! E quale sarebbe?
Lasciamo che il lettore del saggio lo scopra da solo…

 

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