La recente riflessione sulle morti invisibili delle persone senza fissa dimora è un’accusa toccante e potente alla negligenza della società

La recente riflessione sulle morti invisibili delle persone senza fissa dimora è un’accusa toccante e potente alla negligenza della società. Il racconto, ancorato alla tragica storia di un senza dimora di nome Jack, trascende le mere statistiche e ci costringe a confrontarci con la realtà disumanizzante del morire senza essere visti né pianti. L’autore intreccia magistralmente esperienza personale, dati convincenti e un invito all’azione, lasciando il lettore con un profondo senso di disagio e una rinnovata comprensione di questa crisi pervasiva.

La forza del pezzo risiede nel netto contrasto tra la vita vibrante che Jack ha vissuto e l’assoluta invisibilità della sua morte. La sua curiosità intellettuale, l’apprezzamento artistico e la profondità emotiva sono giustapposti alla fredda indifferenza di un sistema che lo ha deluso in ogni occasione. Questo contrasto evidenzia la tragica perdita non solo di una vita, ma anche di un potenziale, sottolineando i fallimenti sistemici che contribuiscono alla morte prematura di così tante persone senza fissa dimora.

L’argomentazione di Koh va oltre la tragedia individuale per esporre un problema sistemico di carenza di dati. La mancanza di una registrazione completa di queste morti le rende statisticamente invisibili, ostacolando la ricerca, gli sforzi di prevenzione e persino la dignità umana fondamentale del riconoscimento. Questa invisibilità perpetua un ciclo di abbandono, consentendo alla società di ignorare la portata della crisi ed evitare di affrontarne le cause profonde.

La riflessione è particolarmente efficace nella sua implacabile rappresentazione delle indignità subite anche nella morte. La mancanza di autopsie adeguate, i corpi non reclamati, l’assenza di necrologi e servizi funebri: questi dettagli dipingono un quadro agghiacciante di una società che non è riuscita a riconoscere il valore intrinseco dei suoi membri più vulnerabili. Il peso emotivo sui membri della comunità dei senzatetto, i quali vivono con la costante paura di essere “i prossimi”, sottolinea ulteriormente l’impatto devastante di questo pervasivo senso di “usa e getta”.

L’invito all’azione è sia specifico che sistemico. La necessità di cambiamenti politici, come la registrazione dello stato abitativo sui certificati di morte, è fondamentale per una raccolta accurata dei dati e un intervento informato. Tuttavia, il pezzo riconosce anche i più profondi cambiamenti sociali necessari, inclusi maggiori investimenti in programmi e iniziative di riduzione del danno e assistenza basata sul trauma. In definitiva, la soluzione risiede in un fondamentale cambiamento dei valori della società: un impegno a prevenire i traumi nella prima infanzia, garantire l’accesso a un alloggio a prezzi accessibili e promuovere una cultura di empatia e rispetto per tutte le vite umane.

L’immagine conclusiva di una morte solitaria e invisibile serve come potente promemoria della nostra responsabilità collettiva. La riflessione di Koh non è solo un lamento per i perduti, ma un invito all’azione che ci spinge a creare una società in cui ogni vita, indipendentemente dalle circostanze, sia riconosciuta, valorizzata e compianta. È un invito a vedere gli invisibili, ad ascoltare i silenziati e ad affrontare finalmente le profonde disuguaglianze che portano a queste tragedie evitabili.

Koh KA. Invisible deaths — mortality among people experiencing homelessness. N Engl J Med. 2024;391(20):1868-1870. doi:10.1056/NEJMp2405441.

Dr. Giovanni Ghirga

Pediatra

 

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