La violenza di genere. Dalle testimonianze nell’arte alle analisi psicologiche

di ANGELO RUSSO-

In questo affresco di Tiziano Vecellio del 1511 è rappresentata con estrema durezza un femminicidio. In primo piano si vede il marito, cavaliere, rivestito di un elegante abito a scacchi bianchi e rossi, che sono i colori della città di Padova, accecato dall’idea di essere stato tradito dalla moglie. La donna, con un gesto di possesso brutale, viene trattenuta con forza dai capelli. Il pugnale ha già colpito al petto la sua vittima e dalla ferita si vede il sangue che fuoriesce dalla veste bianca. Il resto della veste è giallo, il colore della gelosia. La moglie sembra volersi riparare con un gesto estremo, quanto inutile, dalla furia del marito geloso che, accecato dall’ira, compie l’insano gesto.

Sullo sfondo del quadro, si vede il miracolo: il marito geloso, ora pentito della sua violenza, inginocchiato davanti a Sant’Antonio che concede il perdono e per sua intercessione la moglie torna sana. Un’opera abbastanza rivoluzionaria quella di Tiziano che abbandona scenari più usuali e tranquilli per rappresentare con grande perizia, nei volti e nella postura, la brutale violenza dell’uomo e il terrore della donna.
Purtroppo ancora oggi la violenza sulle donne è una piaga difficile da estirpare. Le Nazioni Unite definiscono la violenza contro le donne come “qualsiasi atto di violenza fondata sul genere che comporti, o abbia probabilità di comportare, sofferenze o danni fisici, sessuali o mentali per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà.

Tra i grandi artisti del passato che hanno dipinto la violenza troviamo:

Tintoretto, Tarquinio e Lucrezia, 1610 circa, olio su tela, 187×214,5 cm, Ermitage, San Pietroburgo

Tintoretto, Tarquinio e Lucrezia, 1610 circa, olio su tela, 187×214,5 cm, Ermitage, San Pietroburgo

Gian Lorenzo Bernini, Il ratto di Proserpina, 1621-1622, Marmo di Carrara, h. 255 cm, Galleria Borghese, Roma

Edgar Degas, Lo stupro, 868–1869, Philadelphia Museum of Art

In questo contesto, da un punto di vista psicologico, poniamo l’attenzione su alcune forme di violenza, purtroppo sempre a danno delle donne.

Gian Lorenzo Bernini, Il ratto di Proserpina, 1621-1622, Marmo di Carrara, h. 255 cm, Galleria Borghese, Roma

Sgombriamo il campo da equivoci, lo stupro ha poco a che vedere con l’atto sessuale.
Sostanzialmente si tratta di dinamiche aggressive con componenti di rabbia, sopraffazione e violenza. Alcuni studi attribuiscono il 55% degli stupri al bisogno di potere, il 40% ad una forma di rabbia mentre il 5% sarebbero di tipo sadico. In tutti i casi esiste, nello stupratore, un pessimo rapporto con la propria sessualità e la coesistenza di disturbi di varia natura, i più frequenti sono legati al desiderio sessuale e alcune disfunzioni nell’ambito della stessa sfera sessuale. Lo stupro può diventare un modo per essere rassicurati rispetto alla propria adeguatezza sessuale negli individui che hanno difficoltà a stabilire relazione interpersonali. Il violentatore attraverso la sopraffazione della vittima esprime odio e rabbia per un bisogno di vendetta nei confronti delle donne in generale e difficilmente nella malcapitata vittima. Nella violenza di tipo sadico, fortunatamente la meno comune, la fonte di piacere proviene dal vedere soffrire la propria vittima;
sono frequenti in questo caso morsi, ustioni di sigaretta, schiaffi e pugni. Un ulteriore dato,
riguardo agli stupratori rilevato da diverse fonti, è il seguente: l’85% ha commesso reati in passato; Il 75% ha meno di 30 anni; il 70% è sposato; il 75% non conosce la vittima; il 50% era ubriaco; il 35% ha commesso un altro stupro.
C’è un pessimo mito da sfatare, uno “strano” punto di vista che attribuisce alla donna la voglia di essere violentata e di goderne. La “storiella” che a provocare l’uomo sia un certo tipo di abbigliamento che provoca e che lo renderebbe vittima delle sue reazioni non regge, tant’è che

Edgar Degas, Lo stupro, 868–1869, Philadelphia Museum of Art

spesso i violentati sono bambini o donne in età avanzata. Lo stupro sulla vittima ha effetti nefasti. Quasi sempre il calvario inizia con le prime cure mediche affrontate sempre con vergogna e, immotivati ma giustificabili, sensi di colpa. Successivamente subentra la paura di aver contratto malattie a trasmissione sessuale o quella di essere rimaste incinta. Ancora paura e indecisione su cosa fare, accompagnano per molto tempo la vittima. Denunciare o no la violenza? È questo un ulteriore dilemma: la paura di ritorsioni da parte dello stupratore, la pubblicità negativa o il disagio di fronte alle autorità giudiziarie possono giocare un ruolo fondamentale. Dopo lo stupro, possono verificarsi alcuni problemi di natura sessuale come diminuzione del desiderio, vaginismo (contrazione involontaria dei muscoli vaginali che non permettono il rapporto) o assenza
del piacere, ma anche altri effetti psicologici spesso rilevanti. La vittima deve convivere con vergogna, rabbia e orgoglio ferito. È necessario qualche mese prima che inizi la ripresa, anche se si sforza di apparire normale cercando di riallacciare i rapporti di amicizia e quelli con le persone significative. In realtà le paure sono ancora presenti. Ci vorrà ancora del tempo e, in molti casi, un valido aiuto terapeutico per superare l’angoscia del trauma subito. In molte donne violentate si manifestano, per lunghi periodi, incubi notturni e la paura di rimanere sole ma principalmente, e non potrebbe essere altrimenti, forme di sospetto nei riguardi degli uomini.

L’altra faccia della violenza: quella psicologica o stalking.
Esiste un tipo di violenza che, pur non arrivando alla violazione fisica del corpo di un’altra persona, riveste un’enorme importanza per la vastità del fenomeno e per gli effetti negativi che ha sulla psiche della vittima. Pur essendo considerata meno sconvolgente dello stupro, in realtà evidenzia una forma non trascurabile di discriminazione sessuale. Avviene preferibilmente negli ambienti di lavoro dove il contatto obbligato favorisce l’azione. La tecnica non è univoca ma si fonda principalmente con due diversi modi. Nel primo caso la richiesta è palese; in altri casi non c’è una richiesta specifica, ma il “violentatore” cerca di instaurare un gioco fondato sull’ambiguità e sul “far capire – senza dire”. In quest’ultimo caso esiste anche la vigliaccheria di avere sempre la possibilità di tirarsi indietro, “cadendo dalle nuvole”, in caso di non disponibilità, o reazione, da parte della vittima. Questo tipo di molestia è possibile che avvenga tra colleghi, ma l’azione è facilitata, e quindi più frequente, quando esiste un rapporto di dipendenza contrattuale. La
disoccupazione e la conseguente ricerca disperata di un posto di lavoro ha, in questi ultimi anni, favorito il dilagare di questa piaga sociale. In passato questo fenomeno veniva quasi esclusivamente descritto come prassi abituale per fare carriera nel frivolo mondo dello spettacolo: la giovane, ma piacente sconosciuta, se voleva l’apparizione (poco più di una comparsata) nel film di successo doveva mostrare le sue “qualità” al regista oppure al produttore. Invece oggi, di questo tipo di violenza esistono migliaia di casi al giorno. Molto subdola all’inizio si presenta sotto forma di sentimenti diametralmente opposti alle vere intenzioni. La vittima designata viene circuita con fare ammaliante e soggiogata da svariate promesse per migliorare la situazione lavorativa. L’accordo tacito è quello di mostrare un po’ di gratitudine e essere accondiscendente. Non sempre l’azione è mirata a contropartite sessuali, ma esistono le più svariate forme di gratificazione. C’è il titolare
d’azienda che vorrebbe avere la segretaria sempre pronta al sorriso, disponibile ad ascoltare i suoi problemi e sempre in piena forma da mostrare ai suoi clienti come una bella pianta d’arredamento – deve spettare a lui naturalmente il compito di “curarla e innaffiarla” – il lavoro passa in secondo piano e il vero intento è quello di coinvolgerla sempre più nelle proprie cose personali. Inconsciamente la segretaria diventa una sorta di specchio sulla quale investire le frustrazioni legate alla propria insicurezza di fondo fino a quando, ed è la fine, la vittima non mostra di essere animata e fornita di “bagaglio pensante”. Nel migliore dei casi viene collocata ad altro incarico, più
frequentemente licenziata. La “donna/pianta da accudire” deve essere bella e fiorita solo per il suo capo, guai se dona il proprio profumo ad altri, la collera e la gelosia potrebbero innescare anche forme di cattiveria e ritorsioni.

angelorussoviterbo.it

Print Friendly, PDF & Email
Condividi con:
LEGGI TUTTE LE NOTIZIE