L’arte tra psicoanalisi e psicologia sperimentale

di ANGELO RUSSO-

VITERBO – Freud, pur nella sua grandezza tentò, senza successo, di rendere biologica la Psiche (Freud Biologo della Psiche, al di là della leggenda psicoanalitica – Frank J. Sullowei). Abbandonò il progetto nella consapevolezza che i meccanismi dell’inconscio non potevano essere trattati allo stesso modo della chimica. In riferimento all’arte l’inventore della psicoanalisi ci rimanda concetti che sono assimilabili alle sue teorie. L’arte per Freud è vista in chiave curativa come una sorta di liberazione da inibizioni inconsce di cariche emotive connesse a traumi. Portare alla luce della coscienza, attraverso l’opera d’arte, pulsioni spesso imbarazzanti e difficilmente accettabili nel vivere sociale, diventa come una “ripulitura” in forma più accettabile e più facilmente divulgabile. Freud era quasi esclusivamente appassionato dell’arte antica, tra gli autori moderni fa un’unica eccezione per Salvador Dalì, forse perché intravede nell’artista, per usare

Salvador Dalí 1904/1989 – Si avvicina il sogno

un termine moderno, un “testimonial” del sogno. Freud infatti dedicò tanta parte della sua opera proprio ai sogni.
C.G. Jung, psichiatra Svizzero, inizialmente allievo di Freud, viene proposto dalla letteratura come l’analista dell’anima e fondatore della Psicologia Analitica discostandosi in modo sostanziale dai concetti del suo primo maestro. Il concetto di arte per questo grande studioso è più legato alla creatività. L’arte attinge ad una delle più grandi intuizioni dello psichiatra svizzero: l’inconscio collettivo. Conseguentemente la capacità espressiva si nutre di archetipi, di simboli, di miti, di fiabe di allegorie e fare arte è più legato al processo di individuazione, concetto coniato da Jung che rimanda alla vera ricerca di sé stessi.
Jung fu anche un abile pittore e scultore e nel 2013, con il suo libro rosso, fu esposto alla biennale di Venezia anche se, il papà della psicologia analitica, non intendeva essere percepito come un artista, per lui l’arte doveva essere un modo per comprendere, capire, a trovare la propria strada, la propria vocazione nella vita.
In generale l’opera d’arte può essere considerata come una modalità di comunicazione, una tecnica che permette all’artista di elaborare dei messaggi non verbali sul proprio modo di “sentire” di scoprire la propria anima.
Le relazioni tra la psicologia e l’arte sono ancora più ravvicinate di quanto si può evincere dalle precedenti considerazioni. La psicologia sperimentale e l’arte astratta, per esempio, sono addirittura nate nello stesso periodo: a cavallo del secolo tra ottocento e novecento. Gli studi sulla psicologia della forma (gestalt) effettuati in quel periodo influenzarono sicuramente un gruppo di pittori emergenti dell’epoca. Gli psicologi studiando la percezione evidenziarono che “il tutto non è formato dalla singola somma delle parti, ma va aggiunto qualcosa in più: l’aspetto fenomenologico in stretta connessione di chi guarda. L’esperimento con lo stroboscopio (strumento capace di proiettare un punto luminoso a distanza su una parete) eseguito da Max Wertheimer ne fu la prima dimostrazione. Tale esperimento si svolse in una stanza buia dove due proiettori venivano accesi e spenti con una sincronia tale che il puntino luminoso dava l’idea di muoversi, in un lampo, sulla parete. Pur nella staticità degli strumenti usati l’oggetto luminoso veniva percepito come oggetto in movimento. Wertheimer con ulteriori studi cercò di approfondire come poteva verificarsi il fenomeno mediante il quale linee e figure astratte, nella percezione visiva, si trasformavano e si organizzavano come strutture. Fu inoltre elaborato il concetto di figura – sfondo. Per mezzo di una illusione visiva le immagini possono essere percepite sia come figura in primo piano che come sfondo. Furono Mondrian, Klee, e Kandisky i primi ad operare nell’arte con forme astratte simili a veri esperimenti psicologici. Per gli astrattisti l’arte non doveva riprodurre il mondo visibile, ma rendere visibile il mondo attraverso l’elevazione della spiritualità e il risveglio dell’anima. Ulteriori ricerche nel campo percettivo-pittorico si ispiravano ai lavori del fisiologo tedesco Herman von Helmholtz che qualche decennio prima si era interessato al colore, ed alla stimolazione della luce sulla retina. Nella sua opera sull’ottica fisiologica del 1867 Helmholtz scriveva: “il colore dell’erba è formato da molti raggi luminosi, verdi, blu, gialli e violetti. Questo spettro di raggi stimola la retina e si trasforma nel cervello di chi osserva, in un unico colore. Il verde”. Queste scoperte scientifiche influenzarono alcuni artisti che le adottarono come mezzo per rinnovare la loro pittura. Georges Seurat fu il pioniere, le figure e la natura sono dipinte con un metodo, per allora rivoluzionario: una miriade di piccoli punti colorati accostati l’uno all’altro con lo scopo di avvicinarsi il più possibile all’impressione che la luce originale ha sull’occhio. Il verde dell’erba, per esempio, era formato dai punti di colore suggeriti dagli esperimenti del fisiologo tedesco. Le scomposizioni meccaniche, attuali, per riprodurre i colori con la tecnica della quadricromia, affondano le radici negli esperimenti di allora. Ma non solo l’arte astratta si fonde con la psicologia. Gli studi gestaltistici, in particolare, hanno evidenziato che l’acquisizione mentale del mondo esterno, che si manifesta attraverso l’azione del guardare, forma un interscambio tra le proprietà dell’oggetto osservato e l’osservatore. In tal modo la visione non è una semplice registrazione dell’ambiente circostante ma diventa una scelta che privilegia tutte le strutture che siano significative per il soggetto che guarda: alcune si perdono nell’indifferenza altre ci toccano nel profondo.

(Foto di copertina: Paulo Klee 1879/1940. Castello e sole)

 

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