Università Unimarconi

Le “ciambelle” del Beato Giacomo alla Trinità

VITERBO – Oggi, nella nella ricorrenza della festa liturgica del Beato Giacomo di Viterbo, alle ore 18:30, nella Chiesa della SS. Trinità verrà celebrata una solenne liturgia, al termine della quale, in ossequio alla tradizione, verranno distribuite a cura dei Padri Agostiniani le ciambelle benedette, confezionate secondo un’antica ricetta conventuale.

Il servizio d’onore alla statua del Santo verrà prestata dai Cavalieri Costantiniani di San Giorgio.
La nascita di Giacomo avvenne intorno al 1255 a Viterbo; anche se una certa tradizione lo vuole appartenente alla nobile famiglia Capocci, non è sicura la sua discendenza dalla potente casata. Abbracciò ben presto la vita religiosa, entrando nel 1272 tra gli Eremitani di Sant’Agostino, la presenza dei quali nel territorio viterbese era ben radicata e rimontante certamente alle origini dell’Ordine. Ancor prima della Grande Unione ordinata da Papa Alessandro IV nel 1256, infatti, gli Agostiniani avevano eretto alcuni cenobi nell’Alta Tuscia. È documentata, in particolare, la fondazione di un eremo in località Monterazzano, a circa sei chilometri da Viterbo. All’incirca nel periodo in cui nacque Giacomo, gli Agostiniani si trasferirono definitivamente da Monterazzano a Viterbo, dove provvidero ad edificare una Chiesa in stile gotico dedicata alla SS. Trinità. Fu, quindi, nel nuovo, vasto complesso conventuale della SS. Trinità che il Capocci intorno al 1270 vestì l’abito ed intraprese il curriculum di studi umanistici rivelando sin dagli inizi le sue doti di profondo ingegno.
Tra Parigi e l’Italia
Nel 1274 il giovane frate fu inviato a Parigi a frequentare la Facoltà Teologica dell’Università più celebre dell’Europa medievale, dove incontrò due altri brillanti studenti agostiniani, i romani Egidio e Giacomo. A Parigi Giacomo subì l’influenza dell’insegnamento di Tommaso d’Aquino che ebbe senz’altro modo di incrociare in Italia e forse proprio a Viterbo prima della sua partenza per Parigi. Il Capocci ebbe sempre profondo rispetto e venerazione per il più grande teologo del Medioevo. Ne è riprova la calorosa testimonianza che egli renderà in occasione del processo di canonizzazione di Tommaso d’Aquino: «Credo che il nostro Salvatore abbia inviato in questo mondo, per illuminarlo, prima l’apostolo Paolo, poi Agostino, e finalmente fra Tommaso, il quale non avrà uguali fino alla fine dei secoli». Alla morte del Doctor Angelicus ottenne per concorso la cattedra per commentare il Maestro delle sentenze.
Tornato in Italia nel 1281, Giacomo consegue il titolo di Lector novus nel Capitolo provinciale celebrato a San Martino di Campiano e viene destinato ad incarichi autorevoli
Insieme ad Egidio Romano ritornò a Parigi nel 1286 per riprendervi gli studi teologici, conseguendo il baccellierato nel 1288 e, al termine del prescritto tirocinio, il dottorato nel 1293. Su designazione di Egidio Romano, eletto Priore Generale dell’Ordine, fu nominato nello stesso anno Maestro Reggente dello Studio parigino. è in tale carica che Giacomo rivela pienamente il particolare acume di carattere speculativo per cui gli venne presto attribuito, come era consuetudine tra i grandi maestri della scolastica, il titolo di Doctor speculativus.
Dopo il suo ritorno in Italia, verso la fine del 1299, Giacomo venne designato come Definitore della Provincia Romana per il Capitolo Generale di Napoli. Nella capitale del Regno angioino rimase per due anni come Primo Lettore del locale Studio Generale di Sant’Agostino alla Zecca, fondato dagli Agostiniani in quella città.
Arcivescovo di Benevento e Napoli
Durante il soggiorno napoletano, il Capocci venne nominato da Bonifacio VIII (1294-1303) Arcivescovo di Benevento con bolla del 3 settembre 1302. Si trattò, evidentemente, di un riconoscimento per la difesa che l’agostiniano aveva fatto pochi mesi prima dell’autorità e del primato del Papa nell’opera De regimine cristiano. Dopo poco più di un anno, il 12 dicembre del 1203, su istanza di Carlo II d’Angiò, Giacomo fu trasferito da Papa Caetani alla sede metropolitana di Napoli. Per la sua feconda azione pastorale, Giacomo seppe guadagnarsi la stima e la venerazione del Re e del figlio Roberto, Duca di Calabria, come è attestato nei Regesta angioini degli anni 1302-1307. Tra i meriti di maggior rilievo di Giacomo, quale Arcivescovo di Napoli, vi è l’impegno costante nel promuovere i lavori per la costruzione della nuova cattedrale, per la quale, grazie alla protezione del Re, ottenne larghe concessioni e privilegi .
La sua attività pastorale dovette essere esemplare, sia nel breve periodo di governo della Chiesa di Benevento che nei cinque anni trascorsi alla guida della Diocesi di Napoli. In vari passi del De regimine christiano, specialmente nella parte seconda, capitolo IV, Giacomo si era espresso con chiarezza sull’ufficio e sui doveri del vescovo, insistendo sull’obbligo di pascere il gregge di Cristo «verbo, exemplo et temporali subsidio», cioè con la predicazione, con l’esempio e con l’elemosina.
La sua memoria fu subito circondata di venerazione nell’Ordine Agostiniano, in Viterbo e nelle Diocesi di Benevento e di Napoli, divenendo ben presto oggetto di culto.
Il culto pubblico venne confermato ufficialmente da Pio X nel 1911, su istanza dell’Ordine Agostiniano.
Le opere
Come filosofo scolastico e scrittore politico, Giacomo occupa un posto importante tra i pensatori del suo tempo. Per tutto il secolo XIV e nei primi anni del secolo XV, godette di grande fama ed autorità, com’è comprovato dai numerosi manoscritti che riproducono le sue opere e dalle copiose citazioni di esse da parte dei dottori della scuola agostiniana ed anche di dottori di altre scuole teologiche.
La sua di Giacomo è legata soprattutto al De Regimine christiano, opera scritta nel 1301-1302 in occasione della lotta tra il Papa Bonifacio VIII e il Re di Francia Filippo il Bello, e che può essere considerato uno dei primi e più significativi trattati medievali di ecclesiologia, concentrato sul tema del governo della Cristianità e dell’ordinamento gerarchico dei suoi poteri.

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