Liberi di scegliere: il nuovo progetto della Fondazione Oltre Noi

DI MARTINA DI BARTOLO-
VITERBO- Si è svolta oggi all’Auditorium di Valle Faul (Viterbo) la conferenza finale del progetto “Liberi di scegliere dove e con chi vivere”. Dopo i saluti iniziali dei presenti:.
Marco Lazzari, Presidente Fondazione Carivit,  Francesca Burla, Presidente Associazione ETA BETA ODV, Alessia Brunetti, Presidente Fondazione Otre Noi ETS, Daniele Stavolo, Presidente FISH Lazio
Alessandra Troncarelli, Assessore Politiche Sociali, Welfare, Beni Comuni e ASP,  (azienda pubblica di servizi alla persona), Daniela Donetti, Direttore Generale ASL Viterbo, Marco Marcelli, Direttore UOC di NPI AUSL Viterbo, Pierangelo Conti, Assistente Sociale Coordinatore del Servizio Sociale Professionale per il Comune di Viterbo.

La parola è passata a Roberto Speziale, presidente ANFFAS il quale ha raccontato il progetto Liberi di scegliere. “Bisogna mettere in atto i sostegni che si sono progettati, che la legge stessa ha posto – spiega Roberto Speziali- quei diritti fondamentali di cui parla la legge non vengono messi in atto perché mancano le risorse e i budget progettuali che sono utili a garantire la messa in atto del progetto. Liberi di scegliere è un progetto basato sulla personalizzazione della risoluzione del problema. Molto spesso- prosegue Roberto Speziale – il sistema è incapace di preoccuparsi dei bisogno personali del disabile cercando di standardizzare le soluzioni. Ma ogni disabile ha le sue necessità ed i suoi bisogni che possono essere differenti da quelli di un altro disabile perciò il nostro progetto ha come obiettivo la progettazione individualizzata attraverso strumenti scientifici che sono in grado di individuare i bisogni di ciascun disabile.
Con l’aiuto della legge 112 – conclude Roberto Speziale– stabiliremo il budget e le risorse per far si che il progetto “liberi di scegliere “ sia il più concreto possibile.

La parola è passata poi a alla Dottoressa Maria Chiara Pagnottelli, psicologa e psicoterapeuta, Dottoressa Linda Morini, assistente sociale e Dott.ssa Tiziana Spagnolo, educatrice professionale le quali hanno raccontato il progetto attraverso delle slide raffiguranti i vari step progettuali.
Si è partiti dal modello bio psicosociale e normativo 328 solo oggi si è entrati nell’ottica di questa legge. Abbiamo individuato 11 campioni, utenti di età compresa tra i 18 e i 33 anni, sono stati selezionati dalla ASL. Oggi degli 11 progetti – spiega Linda Morini– ne abbiamo riportati solo 10 poiché purtroppo uno dei pazienti è deceduto qualche giorno fa. Noi siamo qui a rappresentare queste 11 famiglie”.

Le tempistiche entro cui si è svolto il progetto vanno da agosto 2020 (quindi prima della pandemia) con la conclusione a Novembre 2021.
All’inizio si è fatta la stesura dei progetti con dei questionari,  si sono stimati i bisogni, desideri e obiettivi di ciascun ragazzo disabile. Poi si è fatto un confronto tra i sostegni attuali e riprogrammati. Si sono confrontati i budget in atto e quelli riprogrammati. Evidenziando il costo in termini di denaro e di tempo che impiegano le famiglie.

Restituzione dei progetti:

• la fase di restituzione del progetto di vita alle famiglie è stata condotta mediante due step.
• SETTEMBRE 2021 revisione dei report
• NOVEMBRE 2021 restituzione dei progetti alle famiglie
• 1) una restituzione individuale alla persona e/o ai suoi famigliari DEL PROGETTO DI VITA
• 2) un incontro plenario al quale hanno presenziato le famiglie, le associazioni promotrici del
progetto, la ASL (Dott. Marcelli) e l’equipe di progetto

Restituzione finale:

Durante l’incontro plenario è stato condotto un brainstorming interattivo al fine di narrare l’esperienza condivisa e di mettere a confronto le percezioni iniziali e finali inerenti al concetto di “dopo di noi” del progetto di vita indipendente.
Questo ultimo aspetto è stato inoltre un parametro di rilevazione della ricerca attraverso la somministrazione di questionari di impatto pre e post ricerca.

Perché è necessario un cambio di paradigma nella valutazione dei bisogni?

In assenza di una reale conoscenza e valutazione dell’effettivo godimento dei diritti esigibili, le famiglie sopperiscono all’assenza di sostegni formali mettendo a disposizione risorse personali in
termini di tempo e denaro per migliorare la qualità di vita del proprio familiare.
Se non vengono erogati più i sostegni familiari e informali e non è stata costruita una rete di supporto all’autonomia “durante noi” si crea una urgenza che rende spesso inevitabile una istituzionalizzazione della PcD.

Qual è il vantaggio di partire da un bisogno per creare un sostegno?

•Quando le famiglie sopperiscono a carenze nei sostegni in modo autonomo, attraverso sostegni informali, è perché né i bisogni né gli obiettivi del sostegno sono stati rilevati, i sostegni possono risultare mal distribuiti,
•La presenza di bisogni di sostegno non valutati e non inclusi nei budget dei sostegni rende il distacco dalla famiglia più problematico perché la vita autonoma richiederebbe un sostegno formale anche per aspetti più quotidiani e semplici della vita, non inclusi nel budget di salute.

Queste sono state le considerazioni finali delle dottoresse riportate nelle slide:

• La presenza di laboratori sulle autonomie di vita o di autonomie sociali deve portare all’esecuzione
generalizzata della competenza appresa in ambito formale e informale (ad esempio la competenza deve essere messa in atto in ambito familiare o lavorativo, oltre che nella costruzione di una vita sociale, all’esterno della struttura pubblica. In alcuni casi si è creato l’equivoco che un ambiente riabilitativo, soprattutto se quell’ambiente è protetto, venga utilizzato come contesto sociale , invece la riabilitazione serve per acquisire sostegni per viversi nella comunità di riferimento. In molti progetti abbiamo rilevato la difficoltà nel fornire sostegni di inclusione nella vita comunitaria alternativi all’intervento informale delle famiglie. Nei progetti infatti l’inclusione in contesti comunitari risulta fortemente collegata alle attività del PAI.

Nei progetti di vita si tiene conto dei servizi riabilitativi, mentre sarebbe importante considerare come ambiente utile ai fini inclusivi soprattutto il contesto sociale e comunitario.
Nei progetti di vita abbiamo sostituito parte dei sostegni in atto con supporti temporanei che gradualmente portino la persona a applicare in autonomia le abilità acquisite con la riabilitazione. Ciò rappresenta anche un risparmio di risorse pubbliche e riduce il rischio di istituzionalizzazione legata al precipitare delle condizioni di vita in assenza di una preparazione. Ad esempio è presente nel nostro territorio un orto urbano che potrebbe rappresentare uno spazio inclusivo successivo ai progetti riabilitativi di agricoltura, attraverso la costituzione di supporti educativi in grado si far mettere in campo alla PcD le abilità acquisite con i progetti di agricoltura del PAl anche in contesti comunitari.

La conferenza si è conclusa con gli sviluppi futuri sul territorio:

•Realizzazione di un servizio che offra una consulenza alla persona e alla famiglia;
• Avvio di un rapporto in co-progettazione, consulenza e/o attraverso una convezione pubblica per far si che l’equipe a richiesta degli interessati possa redigere il progetto di vita;
• la realizzazione di un sistema di mappatura dei servizi territoriali che tenga conto dei sostegni
informali e non solo di quelli formali;
• favorire buone pratiche di condivisione e sensibilizzazione al diritto di un progetto di vita sulla base delle aspettative e dei desideri della persona con disabilità.

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