Macchina di Santa Rosa per tutti?

Gli interventi di questi giorni, volti ad aprire il Trasporto della Macchina di S. Rosa a chiunque, fosse anche di diversa religione, fanno il paio con quelli che hanno voluto contrapporne – o giustapporne – la valenza religiosa e quella spettacolare, traendone poi conseguenze anche sul piano della gestione organizzativa e giuridica della manifestazione.
Temo che taluni di questi interventi abbiano subito la suggestione della ineffabile bellezza del Trasporto, da un lato, e della voglia di applicare un entusiasta “politicamente corretto” in linea con i tempi, dall’altro.
Anticipo immediatamente che aprire il Trasporto alle donne è una prospettiva da benedire; i tempi cambiano, ed essendo finalmente in grado di renderci conto che siamo tutti esseri umani (nonostante il parere di alcuni improvvisati scribacchini della conservazione), il fatto che un uomo o una donna entrino in formazione tra ciuffi, spallette e stanghette deve dipendere esclusivamente dalla sua dotazione fisica e muscolare.
Ma torniamo al discorso iniziale.
C’è un punto di fondo a risolvere tanti dubbi. Che cosa è il Trasporto della Macchina di S. Rosa? Spettacolo? O espressione del folklore?
Il concetto di folclore è molto, molto serio. Ha a che vedere con la spiritualità religiosa, con l’identità comunitaria popolare, con la tradizione; è stata studiato in Italia da antropologi del calibro di De Martino, Seppilli, Tentori, personaggi di caratura internazionale che hanno contribuito a fondare letteralmente la scienze etnoantropologiche in Italia.
La Macchina di S. Rosa è patrimonio dell’Umanità non per le sue luci, ma per il suo significato etnoantropologico e segnatamente identitario sul piano religioso e rituale. Ha ragione don Luigi Fabbri quando ne sottolinea il significato religioso, anche se ormai la “festa” appare come un evento spettacolare gestito da una istituzione pubblica come il Comune, che richiama il pubblico, soprattutto non viterbese, per la sua vertiginosa esperienza notturna.
Ma vi sono dei “paletti” invalicabili; paletti che riguardano la sovrapposizione della forma folklorica, religiosa e partecipativa sia rispetto alla dimensione di pubblico spettacolo (con conseguenze sui criteri da applicare in fatto di sicurezza), sia rispetto ad un universalismo indistinto che finirebbe per stravolgere il significato religioso e identitario di un evento che resta indissolubilmente “cristiano”.
Non ci sono dubbi che si possano vedere a dorso dei cavalli del Palio fantini di altre regioni (accade già) o di religioni e di diversa fede.
Ma di certo non è sotto la Macchina di Santa Rosa che si può e si deve celebrare l’incontro e l’inclusività – non la sublimazione, sovente impossibile – delle fedi e delle religioni; per questo ci sono i luoghi del lavoro, della politica e della democrazia, della partecipazione, dell’uguaglianza, del diritto e del rispetto.

Francesco Mattioli

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