Meditazione davanti a Rosina da Viterbo

di DON GIANNI CARPARELLI-

VITERBO – Aveva più o meno 12-13 anni. La nostra Rosina spesso usciva di casa senza farsi vedere dal padre Giovanni. Portava nella sua borsa pane, frutta e altre piccole cose che racimolava in casa e andava in giro per le strade a trovare i suoi amici poveri. Era un po’ la sua piccola processione per le stradicciole del paese, il nostro paese di allora. Fino a quando un giorno il padre, che lo sospettava, la fermò. E qui la cronaca si trasforma in racconto della fede. Da quella borsa o “parannanza”, uscirono delle rose profumate. Rosina si preoccupava di chi potesse avere fame di attenzioni, di sorrisi, di una parola buona, di essere ascoltato o semplicemente salutato e che non si sentisse, direbbe oggi qualcuno illuminato dallo spirito: escluso, abbandonato, spazzatura e scarto da gettare via. Quando Rosina usciva di casa era come se una carità rivestita di affetto semplice, iniziasse un cammino pieno di luce da Porta Romana verso la casa … questa casa dove ora noi siamo riuniti per imparare a vivere come sentiva e viveva la nostra Rosina. La prima “macchina” di Santa Rosa? E’ nata in quei giorni lontani, verso il 1245-46. Era una macchina viva, semplice, umile, ma vera. Era la macchina di carne e sangue di una persona che applaudiamo nelle feste, ma non sempre imitiamo nella vita. Nelle nostre strade e nelle nostre case non mancano coloro che aspetterebbero con gioia il passaggio di Rosina, quel passaggio che entra nelle case e nei cuori. Anziani soli nelle case di riposo che aspettano una telefonata o una visita. Famiglie con figli disabili che a volte si sentono soli con pesi non facili da portare. Persone che pur capaci di mostrare un sorriso portano dentro sofferenze e ansietà. Donne e uomini che non sanno come affrontare il giudizio per la loro diversità. Bambine e bambine piantati davanti a uno schermo per passare il tempo. Giovani presi di mira perché non conformi agli standard della moda. Persone dette “straniere” che faticano per trovare un luogo di rispetto. Lavoratori stagionali a volte sfruttati… debbo continuare? Non c’è bisogno anche perché poi ci sono tante belle oasi di luce come se Rosina riuscisse e rivivere tra le mani di tanta brava gente che mai riceverà un attestato di benemerenza, ma che è invece presente e, come semi buoni, danno vita ad altri semi buoni. Come se da una mano del Signore, l’altra ancora inchiodata, fiorisse un rametto di rosa che porta sollievo a chi è stanco e affaticato. Dobbiamo frantumare il “vitello d’oro” (ricordi Esodo 32?) che ci affascina e riscoprire i cammini di Dio. Amici, sorelle e fratelli, qui ci troviamo per cantare “Viva Santa Rosa”. Apriamo la bocca per cantare, apriamo il cuore per vedere e per sentire, apriamo le mani per donare. Incontriamoci: gruppi, associazioni, persone delle istituzioni, del Governo e della Chiesa, volontari veri non solo perché listati come tali… evitiamo di riempire la nostra bocca di belle parole e di programmi mai messi in pratica, diventiamo ambasciatori di presenza, non solo di pergamene incorniciate in argento per gli uffici. C’è chi non trova lavoro. C’è chi dorme per strada. C’è chi litiga di notte per una risposta sgarbata. C’è chi sporca ovunque. C’è chi diventa peggiore nelle carceri sovraffollate. Ci sono non pochi che non conoscono la parola educazione e rispetto. Ci sono chi spreca e chi non ha. Ci sono strade e quartieri ricchi di indecenza. Ci sono aspettative burocratiche senza senso. Ci sono stili di guida da boss delle strade. Impariamo ad essere veri non apparenti e scintillanti su troni che verranno infranti dal tempo. Viterbo ha bisogno di Santa Rosa, ma che esca di casa nel silenzio e nella umiltà, non solo il 3 e 4 di settembre. Per girare nelle nostre strade e case. E aprire il grembiule. Il grembiule della coscienza che si rende conto della realtà, anche se non conosciamo immediatamente le soluzioni. Questo è il compito di tutti, anche della Chiesa vera, la Chiesa di chi crede e non solo di chi segue alcune devozioni. E se ti senti parte della Chiesa che crede, è anche il nostro compito. Non ci basti recitare le novene, se poi la “novena” non si trasforma in vita quotidiana. Anche questa Santa Messa che stiamo celebrando non sarà vera se non ci aiuta a capire che Santa Rosa, oggi, siamo noi. Che Gesù Cristo oggi, siamo noi, anche io e anche tu. Usciamo insieme e con Rosina apriamo il grembiule e la parannanza di una presenza presente. E chi, come il padre Giovanni, vorrebbe impedirlo con le chiacchiere o con le promesse… si converta. O taccia.

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