Mirella Freni, soprano tra i più grandi del ‘900, manca da tre anni al suo affezionato pubblico. Ne parliamo con Leone Magiera      

di CINZIA DICHIARA-

Fulgido astro del teatro lirico mondiale, la cantante lirica Mirella Freni, che l’immaginario collettivo associa immediatamente al personaggio pucciniano di Mimì, è scomparsa da tre anni, il 9 febbraio 2020. Invitare a parlarne il maestro Leone Magiera, pianista, direttore d’orchestra, docente di noti cantanti lirici, il quale l’ha conosciuta appieno per esserne stato il maestro e il marito per circa un ventennio, è parso uno dei modi migliori di celebrarla.

Leone Magiera, infatti, non soltanto ha condiviso con l’illustre soprano un fondamentale e lungo tratto di vita ma è stato al suo fianco altresì come artista: dapprima maestro, quindi partner concertistico, consigliere, supporter e ancora maestro. L’unione della brillante coppia fu allora coronata dalla nascita dell’adorata figlia Micaela, il cui nome appartiene a una figura melodrammatica cara ai due musicisti, poiché legata al debutto di Mirella a Modena, nel 1955, nella Carmen di Georges Bizet. Una vita professionale ricca di successi, vissuta in giro per il mondo e a contatto con i grandi nomi del firmamento musicale, uno per tutti Herbert von Karajan, al quale peraltro proprio di recente Leone Magiera ha dedicato un volume di ricordi con la prefazione di Mirella Freni, a dimostrazione che il filo rosso della musica e dei sentimenti li ha sempre accomunati.

  • Buonasera e grazie molte di questo incontro. Apriamo la nostra carrellata con un cammeo dell’artista e della donna: chi era Mirella Freni?

Era una donna molto piacevole, molto simpatica che, come tutti noi musicisti, pensava prevalentemente alla musica. Il canto era il suo chiodo fisso. Sempre preparata al massimo, ha studiato moltissimo. La sua voce era certamente un dono di natura: la voce per il teatro si ha fin dalla nascita, la si eredita, la si riceve in dote. Poi però bisogna studiare e forgiarla, mettendola a punto. Lei era anche favorita dalla conformazione della bocca e dell’apparato vocale, poiché aveva un’apertura del palato davvero ampia. Bambina prodigio, già a 9 anni cantava e a 10 si esibì in un concorso della Rai a Roma intonando Un bel dì vedremo da Madama Butterfly.

  • Ripercorrendo alcune tappe salienti, dagli esordi col concorso Viotti nel 1958, nonché dall’affermazione definitiva al Teatro alla Scala nel 1963, fino all’ultima recita nella Pulzella d’Orléans di Čajkovskij a Washington nel 2005, quale possiamo considerare il momento più esaltante della sua lunga carriera?

Probabilmente l’incontro con Karajan. Essere la cantante preferita da un direttore di tale notorietà era una notizia che fece presa su tutto il mondo musicale. Lavorò con lui per diversi anni, dalla Scala a Salisburgo, poi a Vienna e in numerose altre città e teatri. Di sicuro è stato il direttore più importante e decisivo per lei.

  • La sua voce è stata definita da esperti e critici musicali di ogni dove. Sintetizzando: plastica, piena, rotonda, dall’emissione perfetta, dal legato omogeneo, con acuti splendidi, coloratura pulita, fraseggio forse troppo controllato ma ineccepibile. Lei che ne è stato il maestro, può descriverci le straordinarie qualità timbriche nonché tecniche della Freni?

Non era particolarmente smagliante nei passaggi di agilità ma tutto il resto è precisamente come descritto. C’è da dire che aveva una natura musicale e interpretativa tale che poteva rispondere agevolmente alle richieste dei grandi direttori. Karajan era molto esigente, dal punto di vista artistico e non soltanto vocalmente tecnico. E lei certamente era sostenuta, oltre che dalla voce, da una grande facilità interpretativa.

  • Nel ruolo di personaggi teatrali più disparati è andata via via maturando e perfezionando il suo approccio al testo; come era solita prepararsi ad affrontare lo studio e la recita di una nuova opera?

Le occorreva, come a tutti generalmente – e sorride-  qualche mese anche abbondante di preparazione. Inoltre cercava di capire il personaggio pscologicamente e dal punto di vista storico-letterario. Amava leggere i lavori letterari dai quali l’opera scaturisce; ad esempio, per la Bohéme, Scènes de la vie de Bohème di Henri Murger. Si documentava adeguatamente.

  • Susanna, Zerlina, Manon, Tosca, Violetta, Desdemona, Nannetta, Fedora, Adina, Elvira: un lungo elenco di donne immortali. La Freni ha dato voce e vita a personaggi fondamentali del melodramma. Quali eroine ha impersonato con una reale compartecipazione di sentimenti, quasi sentendosele cucite addosso,?

Più o meno tutti i ruoli che ha interpretato. Certo è cambiata attraverso gli anni. Inizialmente, con Susanna nelle Nozze di Figaro di Mozart e con Nannetta nel Falstaff di Verdi la voce era di soprano lirico leggero. Poi è andata maturando progressivamente. In tal modo Mirella ha potuto approfondire la propria capacità drammatica e di conseguenza è passata, sempre con molta partecipazione, a un altro tipo di repertorio. Dopo i 35 anni, e più verso i 40, ha abbracciato il melodramma verdiano, cantando per la prima volta, proprio con Karajan, nell’Otello di Verdi.

Come capita soprattutto tra i melomani, in giro si era diffuso un effettivo scetticismo rispetto a tale cambiamento e invece si trattò di un grandissimo successo, ripetuto col Don Carlo. Inoltre ha cantato Manon di Puccini, ha avvicinato opere di Čajkovskij, imparando il russo. È vero che in quel momento aveva l’aiuto di Nicolaj Ghiaurov (divenuto il suo secondo marito n.d.r.), però imparare un’opera in russo non è impresa facile per un italiano.

– Peraltro le è stata conferita una laurea in lingue honoris causa

Si, si – sorride compiaciuto – Di certo l’evoluzione che la portò ad affrontare un repertorio di maggiore peso drammatico è avvenuta col direttore austriaco: con Karajan ha lavorato davvero molto.

  • Mirella ha saputo toccare le corde più sensibili del pubblico, non soltanto dei loggionisti ma anche ovviamente degli addetti ai lavori, degli altri artisti: musicisti, direttori, Karajan la adorava, e colleghi esemplari, da Placido Domingo a José Carreras. Però, più di ogni altro, Luciano Pavarotti ebbe con lei un’amicizia fraterna collaborando in un tandem armonico e sereno

L’amicizia con Pavarotti deriva dal fatto che sono stati bambini assieme. Eravamo tutti e tre di Modena, quindi eravamo molto amici. Anche Luciano studiava con me e studiavamo assieme costituendo un sodalizio fin dall’inizio sorto in modo spontaneo. Io insegnavo loro le opere e discuterne tra noi era il nostro vivere quotidiano. Cosicché, la scelta del modo di pronunciare una frase o di interpretare un personaggio era un lavoro di costruzione che partiva dal confronto fra noi.

  • Un rapporto privilegiato dunque; e con altri colleghi incontrati di volta in volta?

Mirella ha avuto sempre rapporti di collaborazione e intesa molto belli. Mi sovviene di Franco Corelli. Hanno lavorato insieme a diverse opere, non molte. Di certo Roméo et Juliette di Charles Gounod, che hanno dato al Metropolitan dopo 20 anni che l’opera mancava dalla programmazione, è stato un grande successo. In seguito è uscito anche il cd, che è ancora in circolazione. Era il ’67 e dirigeva Francesco Molinari Pradelli: 22 recite. Un grandissimo spettacolo che venne definito “leggendario”.

  • Mirella è stata acclamata nei più importanti palcoscenici del mondo, dal Covent Garden di Londra al Teatro Nazionale di Tokyo, dalla Wiener Staatsoper al Teatro Colón di Buenos Aires, e basti pensare alle sue centoquaranta esibizioni al Metropolitan di New York, ma non ha mai posato da diva. La sua schiettezza era tutta emiliana, come la giovialità e un certo senso pragmatico delle cose. Neanche quando il mondo si è inchinato ai suoi successi ha mai perso una semplicità nel piglio unitamente alla simpatia umana. E una certa determinazione la contraddistingueva fin da bambina, allorquando, pare che alla domanda sul suo futuro professionale rispondesse immancabilmente di voler fare la cantante lirica. Sono tali qualità che hanno avuto la meglio, scongiurando in lei ogni inclinazione al protagonismo tout court

Si, lei era proprio così. Era Mirella per tutti. Il divismo non le interessava. Solo la musica. Era pazza per l’opera fin da ragazzina. Alle volte si sobbarcava ore di coda per poter accedere al loggione del teatro di Modena, presa dal melodramma fin nel midollo.

  • Il rapporto di madre con la figlia Micaela, la quale peraltro ha dedicato a voi genitori il bel libro La bambina sotto il pianoforte raccontando le gioie e le difficoltà di essere figlia di una coppia di musicisti celebri, vicina a Mirella fino all’ultimo

Un rapporto molto buono. Lo è stato sempre, sia con la madre che con me. Il problema era che noi eravamo di continuo in giro per il mondo e secondo me Micaela ha sofferto molto di questa lontananza, che ha recuperato negli ultimi anni, quando Mirella ha smesso di cantare, e soprattutto verso la fine, quando l’ha accudita e l’ha assistita, molto generosamente, giorno e notte.

  • Quale testimone di una dimensione felice nel teatro lirico, insieme a Mirella e insieme a mostri sacri della bacchetta come Carlos Kleiber, Georg Solti, Peter Maag, Riccardo Muti, Lorin Maazel, Georges Prêtre, Claudio Abbado, Carlo Maria Giulini, Seiji Ozawa e innumerevoli altri, lei e Mirella hanno ricevuto l’apprezzamento dei grandi della terra, pensiamo all’esibizione newyorkese del soprano al Palazzo di vetro di fronte a U Thant allora presidente dell’Onu, o al recital del duo Pavarotti-Magiera al Bolshoij di Mosca per Wladimir Putin (erano altri tempi). Tuttavia per gli artisti i ricordi legati a grandi emozioni sono talora connessi ad altri fattori. Qual è un ricordo artistico insieme alla Freni che ancora oggi la avvince?

Forse la collaborazione con Karajan del quale io fui assistente per diversi anni, cioè il passaggio di Mirella al repertorio verdiano. Vivemmo quella fase professionale e umana con grande emozione. Ricordo chiaramente il mio stato d’animo quando potei ascoltarla nelle sue prime opere verdiane come Otello e Don Carlo, e, successivamente, quando interpretò anche l’Ernani alla Scala, e poi Simon Boccanegra con la direzione di Abbado.

  • Di recente il teatro della sua città, Modena, è stato intitolato oltre che a Pavarotti anche alla Freni, onorando così un duo iconico della lirica. Dopo onorificenze e lauree honoris causa questo giusto riconoscimento è stato accolto ovunque con gioia. Lei era presente alla cerimonia di intitolazione

Si, mi sono commosso anch’io. Questa iniziativa mi ha molto toccato, suscitando gran piacere e soddisfazione, assolutamente. Mirella, e devo dire anche Pavarotti con i frequenti recital per canto e pianoforte alla Scala, al Covent Garden, al Bolshoi, sono stati i miei allievi più importanti. Non me ne vogliano gli altri famosi allievi come ad esempio Fabio Sartori che ha inaugurato due volte la stagione scaligera.

Ancora oggi ricordo con affetto i momenti passati in questo teatro sia con Mirella, sia con Luciano.

  • Se vuole, qual è il messaggio che la cantante le ha lasciato?

Un attaccamento al lavoro spesso spasmodico: sempre la musica al primo posto. Devo dire che qualche volta l’arte ha preso il sopravvento sugli affetti privati. In tal modo abbiamo perso molte altre cose. Fare musica, era questo il discorso predominante. E ogni successo era per noi due una vittoria!

  • Questa unione di arte e di vita vi ha portato a condividere molto; avete vissuto intensamente la vostra arte, così come possono vivere due grandi musicisti

Il ricordo predominante della nostra vita a due riguarda la reciproca collaborazione. Ci criticavamo anche a vicenda circa le scelte interpretative, spesso anche pianistiche. Abbiamo tenuto moltissimi concerti insieme e l’attenzione vicendevole non è mai mancata.

Abbiamo avuto una vita molto bella dal punto di vista artistico. E nel riparlarne e ripercorrerla è inevitabile sentire un’ondata di nostalgia. Ma continuo a lavorare. Sto scrivendo un libro sulla tecnica del Canto. Vi affronto l’interpretazione da dare a 15 arie per il registro di Soprano: un mio omaggio a Mirella.

(Foto della pagina Fb di Mirella Freni).

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